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Dexter, lo psicopatico che piace

Non è mai facile creare una serie che trasmetta un messaggio uniformemente interpretato da tutti. Lo è ancora di meno se la serie si concentra esclusivamente sulla psicologia di un solo personaggio: in questo caso, Dexter Morgan. La situazione si complica ulteriormente se questo personaggio è un serial killer che uccide solo i “cattivi“: si, ma uccide.

Questa premessa è indispensabile per comprendere la difficoltà dell’argomento che Dexter propone: come gli spettatori si approcciano ad un tale soggetto?

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Il punto di partenza deve essere l’analisi della concezione di “vigilante“; costui in genere è un soggetto che opera per il bene di una comunità, ma fuori dalle regole, quindi senza essere sottoposto alla legge (pensiamo ai supereroi). Dunque, per farla breve, il vigilante piace solo (e non è neanche detto) alla comunità che protegge; potrebbe piacere a qualche individuo delle forze dell’ordine; sicuramente non piace al legislatore o al giudice. Nel caso di Dexter, il suo essere vigilante non è così lineare o puro come in generale; infatti, egli uccide per impedire di uccidere: le sue vittime sono assassini (l’omicidio è la prerogativa minima per rientrare nel codice) o nello specifico serial killer.

La domanda è: Dexter fa tutto questo per bene della comunità oppure perchè ha bisogno di uccidere? La serie ci spinge chiaramente verso la seconda opzione. E soprattutto, è giusto o sbagliato? Qui entriamo in un’ottica di soggettività difficilmente interpretabile, ma quello che è certo è che agli spettatori piace Dexter e quasi lo comprende, ammirando il suo intento di indirizzare quel disagio mentale soltanto contro le persone che “lo meritano”. Tuttavia, uccidere non è giusto, per tornare alla domanda precedente: e uccidere qualcuno che ha ucciso, non ti rende migliore dell’altro. Forse inizialmente sfugge quella che è la mostruosità del personaggio Dexter, visto più come una persona gentile che come un cacciatore di assassini.

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La svolta nell’individuare Dexter prettamente con uno “strano” serial killer, giunge nella seconda stagione, quando il sergente Doakes, che dall’inizio della storia nutriva sospetti su di lui, scopre la verità. Infatti, nel momento in cui Doakes viene fatto prigioniero, egli assiste all’impellente bisogno di Dexter di uccidere persone, scoprendone tutta la mostruosità: il duro Doakes ci appare piccolo, spaventato, “normale” rispetto a Dexter. In quel momento si inizia a cogliere un certo distacco nei confronti di quello che Dexter fa, una maggiore focalizzazione della cosa, come se venissimo svegliati e posti immediatamente di fronte alla cruda realtà. Questo ovviamente non cambierà la prospettiva benevola con cui il protagonista viene osservato, anche perchè egli, seguendo il suo codice, vendicherà la morte di Doakes avvenuta per mano della piromane inglese.

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Ma quindi, tornando alla prima domanda, perché accettiamo un serial killer? Sarà perchè ha un codice, come detto sopra? Forse la ragione è meno profonda e più generica: nel nostro essere è sempre esistito un sentimento di accondiscendenza e volontà di farci proteggere da quello che consideriamo un “eroe” e nel caso di Dexter, accettiamo quello che fa secondo il detto “Il fine giustifica i mezzi”. Per fortuna, in questi casi, la soggettività permette ad ognuno di noi di intendere la propria etica come meglio crede; fin quando è una serie Tv…