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Cosa c’entrano gli alieni in Fargo?

Fargo, il film e la serie, è un microcosmo verosimilmente ideale, metaforico delle dinamiche caotiche che muovono le sorti dell’umanità. Il film e la serie si fondano su una dichiarazione di autenticità di ciò che verrà raccontato: questa è una storia vera e ce lo dobbiamo ficcare bene in testa. Si, certo, i nomi non sono gli stessi delle persone che hanno vissuto le vicende criminali, ma per rispetto delle vittime, tutto è stato riportato fedelmente identico alla realtà dei fatti accaduti.

Questo è il macro contenitore concettuale nel quale lo spettatore del film e della serie sa di doversi immergere, come se si trattasse dei prerequisiti necessari per poter guardare qualunque cosa si intitoli Fargo.

Fargo

La seconda stagione è ambientata nel 1979 a Luverne, nel Minnesota ma a due passi dal capoluogo del Dakota del Sud, Sioux Falls, il luogo del massacro.

Il palcoscenico illuminato per la seconda stagione di Fargo, incatenata alla prima come sorta di suo prequel, è il primo degli elementi svelati al pubblico ed è proprio il vero campo di battaglia del 1876 in cui i nativi d’America si scontrarono contro i coloni per obbligarli a vivere entro e non oltre la riserva Sioux. Il vero campo di battaglia del falso set cinematografico di un lungometraggio che vede Ronald Reagan come star. Un attore nativo americano parla con un membro dello staff, forse l’aiuto regista, per chiedergli quanto tempo ci vorrà ancora prima di cominciare, fa freddo e lui ha i mocassini. Infondo all’inquadratura una comparsa stesa a terra chiede una coperta. L’uomo dello staff rassicura l’indiano e gli dice “Questo è il vero campo mi hanno detto” dov’è morta la tua gente, la battaglia prima della fine per il tuo popolo. L’indiano risponde di essere del New Jersey allora l’altro, credendo di aggiustare il tiro, dice “Senti, io sono ebreo perciò credimi, io conosco le tribolazioni”.

Ecco che il manifesto del Fargo second season è stato annunciato definendo il luogo come simbolo di ogni conflitto, della terra di confine e quindi dello scontro per antonomasia. Definisce anche le identità di chi sarà attore nel campo di battaglia ovvero il popolo perseguitato, poco importa se si tratta di ebrei o indiani, di donne che lottano per l’emancipazione o di uomini che rincorrono il sogno americano.

Subito dopo, il discorso di Reagan “Direttamente dallo Studio Ovale” allarma i cittadini sulla crisi che avvilisce gli americani, una crisi di fiducia nei confronti del futuro che intacca l’identità della nazione. “Questa crisi è ben visibile nel dubbio crescente che avvolge il sentiero delle nostre vite…La fiducia nel futuro è sempre stato il punto dal quale partire”, il sogno americano, il valore fondante di una nazione dove ogni cosa è possibile.

Gli attori del microcosmo che a loro insaputa scateneranno il caos di una folle guerra, sono tutti figli disperati di quel sogno che ancora inseguono. Peggy non vuole essere solo una moglie che fa la parrucchiera, Ed non vuole essere solo un macellaio, Mike Millegan non vuole essere solo uno scagnozzo. Rye Gerhardt non voleva vivere nell’ombra dei suoi fratelli ed è proprio lui ad essere il portatore ignaro di una miccia esplosiva, il McGuffin che muove e forma il pretesto per la narrazione dei dieci episodi della seconda stagione.

Fargo

Rye è il burattino manovrato dai fili di un insensato destino, abbagliato dalle luci di un disco volante, dagli alieni, da un UFO. Resta immobile in mezzo alla carreggiata e Peggy, l’insoddisfatta e folle Peggy, lo investe di colpo con la sua auto. La sparizione di Rye causerà una guerra tra bande criminali rivali e tutta una serie di reazioni a catena costellate di morti e bagnate nel sangue di chiunque fosse nella traiettoria di questa scossa dettata dall’alto senza un perché.

Intanto la ragazza banconista alla macelleria dove lavora Ed, Noreen Vanderslice, legge Camus, Il mito di Sisifo costretto a spingere un grosso masso per tutta la vita. Aleggia per tutte le dieci puntate la ricerca di un senso, di una guida, di un modo per trascorrere la vita verso una direzione e Camus lo demolisce costantemente con le citazioni che la ragazza riporta e che Ed si ricorda. La vita non è che un’assurdità tra un inizio e una fine prive di senso. Betsy Solverson non è d’accordo. Lei sta per morire e sua figlia è ancora troppo piccola. La sua vita e la sua morte non sono prive di senso per lei. Lei ha fede, forte come Giobbe citato dalla giudice assassinata da Rye. Anche Lou Solverson crede che sia un onore portare quel macigno, proteggere la sua famiglia. Lo dice a Peggy in macchina, subito dopo la morte di Ed che non è riuscito a sopravvivere al caos. Peggy però in qualche modo crede di aver vinto, di essersi realizzata. Quello che ha visto alla TV l’ha vissuto finalmente in prima persona. È stata artefice del suo destino, lei crede, quando invece è stata solo una teatrante nelle mani di una volontà che la guarda dall’alto e che ne ha condizionato gli avvenimenti di cui ha preso parte. Lou Solverson è stato salvato dagli alieni che non erano molto convinti di come stessero andando le cose nell’ultima sanguinosa battaglia per la famiglia Gerhardt.

Gli alieni non sono un deus ex machina buttato a casaccio per dare pepe al racconto o giustificare la fortuna di questo o quel personaggio. Tutt’altro. Sono un espediente pop ed ingegnoso che immerge lo spettatore nell’immaginario collettivo di un’America reduce dalla guerra in Vietnam, dove gli hippy parlano di inquinamento e le donne affermano di avere le stesse doti degli uomini. Non solo, gli alieni sono anche il perno di un’intricata simbologia che vede il microcosmo Fargo come la riproduzione in scala del mondo e dell’umanità. Gli alieni danno il senso di ciò che è accaduto ma si tratta di un senso insensato, assurdo ed inspiegabile, come la vita per Camus.

Gli alieni causano il principio della narrazione e ne condizionato l’esito, come il doppio verso di un palindromo (titolo dell’ultimo episodio) senza traduzione. Sono presenti in ogni singolo episodio, ogni singola puntata accoglie in se un riferimento agli UFO. Una volta sono i disegni di Maggy, un’alta volta è la voce fuori campo di HG Wells in La guerra dei mondi. Il tipo della stazione di servizio che parla di rapimenti alieni e poi ancora la colonna sonora o i disegni del padre di Betsy iconicamente alieni.

I disegni di Hank di alieno non avevo niente in realtà. Il suo, come spiega nell’ultima puntata, è un tentativo che guarda alla risoluzione dei conflitti nella cessazione di ogni incomprensione. Se esistesse un unico linguaggio identico per ciascuno di noi, allora il caos cesserebbe ed il disegno, il senso e lo scopo delle nostre vite sarebbe finalmente svelato ad ognuno di noi.

L’allucinazione di Peggy nello scantinato le chiede se comprende la differenza tra pensare ed essere perché “La mente umana, stimolata dalla persistente ricerca di un significato, cerca e non trova nient’altro che contraddizione e mancanza di senso” perciò devi scegliere: o pensi cosa vorresti essere o diventi quello a cui ambisci.

Fargo

La rivoluzione, dice Mike Milligan, che per i pianeti è naturale, per l’umanità è sinonimo di una crisi, di una frattura che genera caos. Lo stesso caos che lascia esplodere l’alter ego del mezzo sangue Hanzee, adottato come assassino dai tedeschi Gerhardt in una nazione che lo discrimina ancora. Hanzee impazzisce (o rinsavisce?) proprio come Peggy ed entrambi scopriranno il loro alter ego nella puntata LopLop, nome dell’alter ego dell’artista Max Ernst. Mine vaganti che non fanno la differenza in un mondo senza capo né coda. Un mondo dove potrebbero essere gli alieni a determinare il corso degli eventi, tanto per noi non farebbe differenza.