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#VenerdìVintage – 10 motivi per cui abbiamo amato John Locke

Per l’illustrazione di qualcosa che valica ogni conoscenza umana, Lost ha usato tutte le componenti come piccole metafore addette a crearne una sola, enorme.

Ogni persona (John Locke in primis), come ogni evento ed ogni variabile solamente pensata hanno generato una conseguenza. Ognuno di questi elementi è funzionale alla creazione, nascita e sviluppo fino a giungere alla morte.

Al termine di tutto, oltre i misteri e gli imperscrutabili quesiti sull’esistenza, Lost ha voluto evidenziare semplicemente ciò: l’identità è irripetibile, ed ogni persona, così come ogni cosa, genera la storia di qualcun altro.
I personaggi sono una delle componenti metaforiche che organizzano l’enorme sistema di Lost e, tra questi, ce n’è stato uno servito da connettore delle coscienze di ogni singolo spettatore.
Svestendosi immediatamente di ogni forma di reticenza, ha contribuito a porci ognuno su uno stesso piano interpretativo e giustificare i presupposti per essere amato.

E’ possibile apprezzare John Locke per una sola ragione o per dieci di queste, il tutto avrebbe lo stesso, unico senso.

 

 

1. Sorriso all’arancia
John Locke

E’ una delle prime scene. John Locke è un personaggio già presentato, ma non ancora completamente definito in termini di predisposizione ed intenti, motivo per cui tale momento è cronologicamente adatto al lavoro deduttivo ed immaginativo dello spettatore.
Non ha ancora interagito con alcun superstite, quando senza esitazione volge lo sguardo a Kate, in lontananza, e con un’inquietante atmosfera che fa da quadro sfoggia un insolito ed esuberante sorriso color arancio.
Dopodiché, si volta e mastica la buccia d’arancia che copriva i suoi denti.
Alberga in noi un senso di premura e distacco nei confronti di Locke, da quel momento fino alla progressiva realizzazione che l’affetto che proveremo per lui sarà inizialmente causa di un magnetismo mistico.
Locke sorride a Kate con un’arancia dinanzi ai denti per pura goliardia e ciò non esige spiegazione.
Dopotutto, abbiamo da tempo imparato a “non dirgli quello che non può fare”.

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