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My Name is Earl è una favola. Senza lieto fine

Avete presente quella serie che parte da un concept geniale ed originale all’inverosimile, tira fuori una prima stagione da urlo e poi pian piano cade nell’oblio solo per la troppa voglia di strafare? Bene, quella era My Name Is Earl. 

Ed il fatto che questa serie non venga annoverata tra i più grossi capolavori del mondo comedy rimane a tutt’oggi inspiegabile. Chiariamo: in realtà il perchè è spiegabilissimo, in quanto la gestione delle 3 stagioni successive alla prima è stata oltremodo discutibile. Ciò che invece non ci si spiega è come quel genio di Greg Garcia, ideatore della serie, non sia riuscito a trovare il bandolo della matassa per consegnare alla storia My Name Is Earl come uno dei prodotti più geniali e meglio riusciti dell’universo comedy. 

Fa abbastanza rabbia pensare che My Name Is Earl sia finito pressochè nel dimenticatoio. Perchè, come già detto mille volte in quest’incipit d’articolo, il concept di base era geniale ed originale per davvero. Un ladruncolo da 4 soldi che vive ai margini della società e del sistema, Earl J Hickey, in uno dei suoi tanti pomeriggi da balordo compra un gratta e vinci con dei soldi rubati ad un tale all’interno di un supermercato. Ma non è un gratta e vinci qualsiasi: è un gratta e vinci da ben 100mila dollari. In preda all’esaltazione, comincia una corsa sfrenata e giubilante in mezzo alla strada e viene investito da una macchina. Il gratta e vinci scivola via e con esso scivolano via anche i 5 minuti di gloria di un uomo che non si meritava tutta quella fortuna. 

Di più: scivola via tutta la vita di Earl. Che in ospedale viene raggiunto dalla sua fedifraga ed irriverente moglie, pronta ad approfittare del fatto che Earl – abbondantemente sedato – si trovi in uno stato semi-confusionale per fargli firmare il divorzio e coronare il suo sogno d’amore con Darnell Turner, ‘amico’ della coppia ed amante della moglie Joey. Ad Earl, che già era in cattivi rapporti coi suoi genitori completamente delusi dal suo modo di vivere da fuorilegge incallito, non rimane che il fedelissimo fratello Randy, un bonaccione un po’ rimbambito.

Earl in pratica non ha più niente, con l’aggravante di aver pure perso un bigliettone da 100mila dollari che avrebbe potuto quantomeno migliorargli per un bel pezzo una vita vuota di contenuti e significati. Ma ecco l’illuminazione: alla tv vede parlare Carson Daly, un famoso show-man, che racconta di come la sua vita sia piena e soddisfacente grazie al fatto che quest’ultimo segue alla lettera i principi del karma: “Fai una cosa buona e qualcosa di buono ti accadrà, fai una cosa cattiva e ti si ritorcerà contro. E’ il karma”.

Parole che Earl immagazzina, parole che gli danno la forza di cambiare. Più in basso di così proprio non si può, ed Earl comincia a prendere coscienza del fatto che se si ritrova in una condizione così aberrante, la colpa non è della sfiga: la colpa è sua. 

Uscito dall’ospedale decide di mollare la strada del crimine per cominciare un percorso di redenzione che lo porterà a scoprire se’ stesso ed il mondo che gli sta attorno. Lo porterà a vedere tutto in una luce diversa, lo porterà a migliorarsi ed a migliorare la vita del prossimo. La seconda parola chiave di My Name Is Earl, dopo karma, è lista. Earl stila una lista di tutte le sue cattive azioni, ben 259, e da quel momento in poi il principale obiettivo della sua vita diventerà quello di rimediare alle malefatte commesse. Di diventare una persona migliore. Nemmeno a dirlo, affiancato dal fido fratello Randy.

E la cosa funziona, perchè appena Earl spunta un paio di punti dalla lista, magicamente il biglietto da 100mila dollari gli torna in mano. Ma Earl stavolta non si fa abbindolare, non si fa ingolosire dalla possibilità di andarsene magari in vacanza per mesi a godersi quei soldi. Quei soldi servono per una missione, e saranno la fonte di sostentamento che gli permetterà di non essere obbligato a trovarsi un lavoro, potendo dedicare intere giornate a cancellare punti dalla lista. 

earl randy
Earl e Randy

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il bello di questa serie non riguarda soltanto l’originalità della trama (parliamoci chiaro: di serie con similitudini infinite se ne trovano a bizzeffe ormai, ma una serie come questa l’avete più vista in giro?) ma anche lo spettacolare mix che c’è tra la commedia più standard – Earl, Randy, Darnell, Joey, Catalina e soci sono autori di sontuosi sketch comici a getto continuo, che rendono i 20 minuti di puntata godibilissimi – e l’opera improntata sulla riflessione relativa all’evoluzione\involuzione dell’essere umano. Su quanto incida la volontà di ogni singolo essere umano rispetto allo sviluppo della propria vita. Perchè Earl, che da truffatore si trasforma in benefattore, compie un’autentica rivoluzione esistenziale, dimostrando a tutti che cambiare è possibile e che a volte basta semplicemente volerlo per davvero. Mettendosi in gioco e compiendo dei sacrifici, è possibile.

E poi My Name Is Earl, con estrema delicatezza ma senza snaturarsi dal suo essere comunque comedy, va ad affrontare con coraggio una miriade di tematiche sociali importantissime. A partire dall’omosessualità nella provincia, quando nella 1×01 il rude Earl aiuta l’ex compagno di scuola Kenny James a non aver paura di mostrarsi per quel che era veramente, continuando coi problemi legati al fumo proprio nella 1×02, dove Earl, per farsi perdonare dalla madre del suo amico Donny Jones finito in galera 2 anni a causa sua, decide di restituirle quei 2 anni col proprio figlio convincendola a smettere di fumare. Ed ovviamente impegnandosi in prima persona dando il buon esempio, smettendo di fumare lui per primo ed aiutandola a fare lo stesso. 

Ma ancora oltre: un punto della lista è ‘Preso in giro stranieri’, così Earl decide di aiutare un gruppo di immigrati ai margini della società insegnandogli l’inglese, aiutandoli così ad emergere e migliorare le proprie vite, con un grande messaggio di integrazione razziale a fare da sottotesto e sottofondo. 

In altre circostanze Earl si trova ad avere a che fare con i cosiddetti fenomeni da baraccone, persone che lavorano in un circo ‘sfruttate’ per le loro particolarità fisiche (c’è la donna barbuta, il nano, il ragazzo affetto da gigantismo e via dicendo) ma che oltre alla vita da circo ed all’amicizia che condividono tra loro, non riescono ad uscire a testa alta in mezzo alla gente, vergognandosi della loro condizione. L’ex bastardo li aiuta ad accettarsi, primo passo per farsi accettare dagli altri, e più che focalizzarsi sui loro difetti tira fuori da tutti quanti i loro innumerevoli pregi, contribuendo a far sviluppare in ognuna di queste persone autostima e fiducia in se’ stesse.

Insomma, in ogni puntata c’è un grandissimo messaggio di fondo (Earl ha a che fare anche con persone mutilate, sordomute e tanti altri che vivono difficoltà d’ogni genere, in più rimette pian piano in sesto anche il rapporto coi suoi genitori, in varie puntate che toccano l’importantissima tematica esistenziale del rapporto padre-figlio) il tutto senza appesantire troppo il contesto, mantenendo una natura leggèra e scanzonata. 

Cambiare, migliorarsi. Rivoluzionare la propria vita. Prendere coscienza dei propri errori, avere il coraggio di fare ammenda una volta per tutte ammettendo a se’ stessi ed agli altri di aver fatto un’infinità di sbagli. Non aver paura di fare del bene. Earl ha 40 anni, si sveglia in un disastro e piuttosto che affondare, risorge. E il karma pian piano, da leitmotiv imprescindibile, scivola al ruolo di pretesto. Perchè Earl Hickey capisce che a fare del bene ci si guadagna e basta, a prescindere poi dal fatto che ti ritorni esattamente tutto con gli interessi.

La prima stagione di My Name Is Earl era un capolavoro vero. Un mix di comicità, epicità, sentimenti, emozioni, riflessioni. Scintillante. Il tutto corredato da fantastiche musiche country e rockeggianti. La seconda stagione carina, la terza molto meno, la quarta leggera ripresa ma ormai era troppo tardi. Cancellata, senza aver avuto la possibilità di regalare al pubblico un finale non dico all’altezza dell’inizio, ma quantomeno degno. Greg Garcia ci è rimasto talmente male che in Aiutami Hope!, sua serie del 2010 conclusasi nel 2014, ha inserito una sorta di finale di My Name Is Earl proprio nel pilot, dove i protagonisti si trovano davanti alla televisione ad ascoltare un giornalista che racconta la grande impresa compiuta da un uomo in grado di riparare tutte le sue malefatte, riuscendo a rimediare ad una lunghissima lista di cattive azioni. Il riferimento ad Earl è più che palese. 

La verità è che My Name Is Earl ha proposto una tipologia di commedia talmente intensa ed innovativa che non poteva durare più di 2 stagioni, massimo massimo si sarebbe potuti arrivare a 3. Greg Garcia si è spinto fino alla quarta senza nemmeno offrire una conclusione definitiva, gli ascolti sono crollati e questo potenziale capolavoro assoluto è stato cancellato.

Ed è un peccato cosmico. Perchè la storia di Earl è una storia di redenzione, determinazione, forza di volontà, altruismo, coraggio, fede intesa nell’accezione più ampia del termine. Racconta la voglia di cambiare senza aver paura di fare sacrifici e scendere a compromessi prima di tutto con se’ stessi. Di uscire a testa alta da una realtà degradante, provando a portarsi dietro quanta più gente possibile. Insomma, My Name Is Earl è una favola. Purtroppo, senza lieto fine. 

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