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Pablo Escobar, l’arte della distruzione

Infame, ma necessaria premessa: codesto insieme di sillabe contiene qualche spoiler, se ne raccomanda la lettura a un pubblico di adulti consenzienti e coscienti di aver appena letto questo mini-foglietto illustrativo d’apertura. Tenere lontano dalla portata degli analfabeti.

Partiamo dall’immagine in copertina: Pablo si sta mettendo a posto i capelli, un gesto molto “estetico”, che si contrappone al timore che lui incute. Vi state chiedendo perché quel baffuto grassottello incute timore? Perché Pablo distrugge ogni cosa: la pace, la vita delle persone, la Colombia…e lo fa a regola d’arte, ragionando e procedendo in funzione di un disegno che gli è apparso come una visione in tempi non sospetti, quando era solo il paffuto genietto del quartiere e già si atteggiava come il futuro capo della baracca.

La sua forza, come si può facilmente evincere guardando quel capolavoro chiamato “Narcos, sta nell’intelletto: una mente di una finezza e di un’acutezza micidiali, che ha elevato ad arte la prontezza di studiare contromosse impeccabili alle strategie nemiche e di prendere decisioni in grado di spedire al Camposanto decine, centinaia o forse addirittura migliaia di persone senza la benché minima esitazione, poiché ad essa è associata la seconda caratteristica fondamentale di Pablo, la capacità di distruggere ogni cosa.

Pablo Escobar
Pablo all’inizio della sua “carriera”

Escobar nasce come un normale criminale sudamericano arricchitosi grazie al commercio di contrabbando e la corruzione, due strategie abbastanza classiche per vivere facendo fesso il prossimo. Si però quella testa, quella memoria pachidermica, quel modo imprenditoriale di essere disonesto ambiscono a qualcosa di più e l’incontro con un tale detto “Cucaracha” glielo fornisce: la cocaina.

Quella notte, ispirato  dalla leggiadra melodia di Tuyo” di Rodrigo Amarante, il cervello di Pablo elabora un piano che inonderà di polvere bianca il mondo intero e occhio perché non stiamo parlando di un pasticcere con una fissa per lo zucchero a velo, bensì di una macchina da soldi desiderosa ad arricchirsi il più in fretta e il più abbondantemente possibile, masticando e sputando ogni conseguenza il più lontano possibile dal suo impero.

E’ la visione a cui ci si riferiva qualche riga più in su, la nona sinfonia del “patron: uno spartito macchiato del sangue di un numero che non volete sapere di innocenti.

Escobar nel pieno del suo dominio
Escobar nel punto più alto (o basso?) del suo dominio

Come per i grandi scrittori, però, se la prima opera è la più semplice di tutte, continuare la produzione rappresenta un ostacolo notevolmente più arduo.

La penna di Pablo viene bloccata dall’arrivo di un esercito di nemici facenti parte sia del proprio mondo sia di quello a lui avverso, quello del bene. Certo, la prima fase del piano gli è valsa un guadagno che l’ha proiettato nell’Olimpo degli uomini più potenti e ricchi del Mondo, ma qui si tratta di restare in piedi mentre la feccia, lo Stato e la polizia (compresa quella straniera) tentano di trascinarti nel baratro: come si fa?

Ovviamente rimboccandosi delicatamente le maniche della camicia, facendo un lungo respiro e poi mulinando il machete su quei figli di puttana, anzi, “hijos de puta” finché non annegheranno nel loro stesso sangue e ti lasceranno in pace: Escobar fa abbattere aerei di linea, uccide militari, minaccia governi, rivolta come un calzino lo status quo che in teoria sarebbe il grande sogno di ogni artista che abbia calcato questo pianeta, ma magari scatenando il proprio fervore su uno strumento musicale, un foglio o un palco, non su una società intera.

Quest’approccio aggressivo ed estremo, che in altri contesti potremmo chiamare “periodo rosso” crea una bolla di terrore attorno al narcotrafficante che cambierà tutto, in primis lui stesso: tramuta l’acume in malvagità, l’ingegno in perfidia, l’avarizia in cupidigia, l’ambizione in spietatezza.

Pablo Escobar
Il volto anziano di Pablo: il simbolo del suo declino

L’esagerazione stanca prima di tutto chi la mette in atto, finendo poi per abituare un uditorio che inevitabilmente prende le distanze dall’artista, decretandone la definitiva distruzione. 

Così succede anche a Pablo Escobar, che come Icaro osa, per l’appunto esagera e finisce con il dover fare per la prima volta in vita sua i conti con le conseguenze delle sue azioni, che lo condannano all’isolamento, alla povertà e alla paura: gli assi nella manica sono esauriti, quel senso di novità si è dissolto come il suo patrimonio, ormai il “patron” ha in mano solo più un pugno di mosche e un attimo prima di diventare il trofeo degli uomini che a lungo gli hanno dato la caccia capisce una cosa che gli arrecherà ben più dolore della morte; capisce di essere ormai ridotto a un simulacro del vecchio sé stesso, una controfigura stanca e impalpabile, spoglia di tutte quelle orribili caratteristiche che gli hanno permesso di scalare una montagna fatta di scheletri, affermarsi e poi cadere, aggiungendo il suo stesso teschio a quella mole.

Una figura simile non va apprezzata, ma capita: immedesimarsi nella crudeltà in persona deve essere uno sforzo intellettuale che renderà ulteriormente approfondito il giudizio finale nei confronti di quest’uomo che, come giusto che sia, non potrà che essere negativo perché forse si potrà invidiarne il patrimonio, l’ascesa e la popolarità, ma NESSUNO vorrà mai essere come lui, perché la virtù risiede nella creazione e nell’unificazione, non nella distruzione e nell’annientamento.