Peaky Blinders ha finora prodotto due stagioni composte da 6 episodi ciascuna: ciò permette di definirla una “miniserie”. Di conseguenza, visto ciò che la prima stagione (su cui ci concentriamo oggi) ha prodotto, possiamo parlare di mini capolavoro. Le dinamiche che vengono presentate in questa “period series” sono in un certo senso uniche, nonostante la ricorrenza nella storia della tematica toccata.

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Siamo nel 1919 a Birmingham, in un’Inghilterra ancora scossa dagli eventi della prima guerra mondiale: nel quartiere in cui si svolgono principalmente gli eventi, salta immediatamente agli occhi il degrado sociale in cui la povera gente sopravvive. A reggere le sorti della malavita di questa città c’è Tommy Shelby (Cillian Murphy), intento a scalare tutte le gerarchie con la sua banda, chiamata “Peaky Blinders“: il nome deriva dall’usanza di nascondere delle lame fra i cappelli, usate in fasi di combattimento (la banda è realmente esistita, ma in un periodo antecedente a quello descritto). In particolare, egli cerca di creare un business molto ampio attraverso i guadagni dalle scommesse illecite sulle corse di cavalli; tuttavia ad ostacolare i suoi progetti, oltre alle bande rivali, giunge l’ispettore capo Campbell (Sam Neill), aiutato da una graziosa “talpa”, Grace (Annabelle Wallis), che rischierà di rovinare tutta l’indagine iniziando una relazione proprio con Tommy.

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In Peaky Blinders, funziona benissimo il cast: un nucleo di attori più o meno noti in grado di donare carisma a personaggi tutto sommato già visti (quanti poliziotti arrivati per ripulire la città abbiamo visto? Quanti gangster romantici e sofferenti? Quanti agenti sotto copertura tentati dal fascino del male?); questo infatti è ricollegabile a ciò che si diceva all’inizio, ed è un ulteriore punto di forza della serie, rendere interessante qualcosa che rischia di diventare “già visto”.  La serie di Steven Knight ha anche dimostrato, con una cura davvero ammirevole, di volersi distaccare dalla media confezionando un prodotto con una propria individualità. E riuscendo nel proprio intento. Indimenticabile la scena iniziale della intera serie, con il cavallo che viene fittiziamente “benedetto” da una presunta “polvere magica” per la corsa, in cui emergono tutti i tecnicismi di una produzione che riesce a ripetersi senza essere noiosa. A ciò si aggiunge una delle più intriganti colonne sonore (con una sigla d’apertura decisamente d’impatto, e alcune musiche volutamente anacronistiche rispetto al tempo di svolgimento della storia), che integra il buon collaudo creatosi fra limitata lunghezza dell’intreccio e basso numero di personaggi (elemento che giustifica le sole 12 puntate in 2 stagioni).

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Sembra proprio che Netflix sappia scegliere i prodotti da accaparrarsi e da inserire nella propria proposta multimediale: Peaky Blinders è uno di quelli che l’abbonato non può farsi sfuggire.