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Quantico non è un’opera d’arte. È una piacevole distrazione

In passato ho scritto qualche articolo su questa serie e non erano pezzi molto lusinghieri. In 1 , 2 , 3 , cercavo di porre l’attenzione dei lettori prevalentemente su quattro punti chiave:

  1. Sono tutti dei bonazzi/e spropositati/e

  2. Il trucco disasterproof che resiste ai peggiori cataclismi

  3. È un’americanata

  4. Mette a dura prova la sospensione dell’incredulità

Oggi mi ritrovo a scrivere di Quantico senza ricredermi di mezza virgola – eccetto la questione del trucco, tant’è che nel finale dell’ultimo episodio (Clear) Alex scoppia a piangere e (magia!) le cola il trucco! (sia lodato il cielo, a me cola sempre per molto meno!) – ma ho rivalutato parzialmente la mia posizione a riguardo. Cosa intendo dire? Beh, è semplice. Sapete quelle giornate che definire nere è un eufemismo? Quelle nelle quali non vedete l’ora di andare a dormire così la giornata finisce? Ecco. Ero proprio in una di quelle giornate. Me ne sarei andata volentieri subito a nanna, ma ho pensato che una buona serie tv potesse conciliarmi il sonno e distrarmi dai miei pensieri prima che il mio inconscio decidesse di ripropormeli in forma onirica e mostruosa.

Stavo per spararmi un episodio di una delle due serie che sto seguendo in questo momento e che adoro (mi riferisco a American Crime Story e a 11.22.63), quando mi sono ricordata che è ricominciato Quantico. Per il mio gusto, non c’è paragone e lo dico a sfavore della serie di cui sto scrivendo. Però non so, avevo voglia e bisogno di leggerezza e, per quanto guardarsi una serie tv sia quasi sempre un’operazione leggera, ho optato per i casini dell’FBI. NON ME NE SONO PENTITA. E questo non perché ritenga la serie qualitativamente migliore di quanto pensassi prima, ma perché ho capito che è una buona cura. Cerco di spiegarmi. Quando ero ragazzina, mentre facevo merenda con lo strepitoso pane e nutella della nonna, guardavo Xena. Non ho mai pensato che fosse un capolavoro della serialità, né che fosse credibile: era chiaramente un’americanata (rieccheggia la voce del nonno che dice MAH, COSA GUARDI? AMERICANATE QUELLE!). Non c’era in me un senso di emulazione nei confronti dell’eroina, né una ricerca di senso o di piacere estetico, molto più semplicemente mi distraeva e lo faceva con una leggerezza che a volte è salvifica.

Ora, non voglio di certo paragonare Quantico a Xena (che, benchè sia una trashiata assoluta, si è guadagnata un posto nell’Olimpo delle serie tv e nel mio corazon), ma il concetto è lo stesso. Credo ancora che sia veramente tutto troppo poco credibile – pensate anche solo alla storia di Samar, la finta sorella di Shelby e tutto l’ambaradam con suo marito e Caleb, o Elias che diventa un super avvocato e porta avanti sette milioni di processi contro l’FBI nel giro di qualche mese, o anche semplicemente il fatto che sono in gioco tutte le forze possibili e non si sgama l’attentatore nemmeno per sbaglio, ma daiiiiii-, che per molti versi sia la riproposizione americana e poliziesca di Uomini e Donne, e che, spesso, sia addirittura troppo veloce. Questa non vuole essere l’apologia di un bel niente, tuttavia se uno vuole staccare la testa e guardarsi qualcosa di godibile e per nulla impegnativo, Quantico fa al caso suo. E non pensate che con questo mia discorso io voglia svilire la serie, tutt’altro. Credo, sinceramente, che faccia bene, che liberi dai pensieri, che sia una distrazione che uno dovrebbe concedersi quando può.

E se lo si guarda senza pretese, Quantico è il perfetto accompagnatore del panino con la nutella della nonna. E, credetemi, serve anche questo, al giorno d’oggi. Comunque, la cosa più bella della puntata resta la citazione a Mr Robot.

Elisa Belotti

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