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American Gods ci ha regalato il finale che speravamo

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 1×08 di American Gods 

“I have as many names as there are winds. As many titles as there are ways to die.”

Ad un certo punto ci è sembrato di avere a che fare con Daenerys Targaryen, e invece no. Lui esiste da molto più tempo, e resisterà ancora più a lungo. Si è fatto attendere come solo uno come lui avrebbe potuto fare, svelando la propria identità solo al termine di una prima stagione incredibile. American Gods ha chiuso i battenti con il finale più prevedibile e auspicabile, ci ha finalmente rivelato la vera identità di Mr. Wednesday (dopo averlo trasformato nel segreto di Pulcinella) e ha scoperto le carte come mai aveva fatto nei sette episodi precedenti.

Il secondo atto del capolavoro della Starz ripartirà con maggior chiarezza da una guerra ormai dichiarata. Ora sappiamo con chi abbiamo a che fare e cosa ci aspetta. Conosciamo il modus operandi di una serie tv difficile da decifrare, unica nel suo genere, e attendiamo impazientemente l’arrivo dei prossimi episodi senza avere un’idea precisa di quale sia lo schieramento da sostenere. Dovremo stare calmi e limitarci ad analizzare i temi del meraviglioso season finale di domenica scorsa. Sono tanti, come sempre.

American Gods

Come avevamo detto a proposito della 1×06 e della 1×07 (se volete dare un’occhiata alla recensione, la trovate qui), il nodo focale della prima stagione ruota intorno ad un quesito vecchio quanto il mondo: è nato prima l’uovo o la gallina? Chi è più importante per l’altro? Il Dio nei nostri confronti? O viceversa? Ogni interpretazione possibile meriterebbe una discussione approfondita, ma è netta la linea di demarcazione tra i vecchi e i nuovi dei. I primi cercano (e trovano) un rapporto di dipendenza, ottenuto attraverso l’indispensabilità. E si può arrivare a questo per mezzo di una privazione sistematica. I vecchi dei ci costringono a fare una sintesi che ci riporta all’essenziale, togliendoci tutto il resto. La preghiera è un grido di speranza disperato, senza compromessi.

Un mondo senza le catene della religione è un mondo perduto, ma alla devozione tipica dei culti antichi si contrappone l’adorazione caratteristica dei nuovi. Alle privazioni odiniane che riducono il mondo in cenere corrisponde la generosità apparente del nuovo credo, seducente e sudbolo. Ci danno l’illusione della scelta, un libero arbitrio nel quale siamo noi stessi delle celebrità, schiavizzati tuttavia in un circolo vizioso che ottiene lo stesso risultato di una preghiera. Il nostro atto di fede è la ricerca disperata di approvazione su un qualunque social network. Abbiamo la pancia piena e un cuore alla deriva nel quale rimbomba l’eco di una Media divertita, manco fossimo finiti nell’universo di Black Mirror (ricordate la democrazia dell’apparenza?).

American Gods

Cosa è rimasto dei vecchi culti? Una facciata accattivante, svuotata di ogni significato. Da questo consegue il tentativo disperato di Ostara, capace di risorgere perennemente attraverso un culto che non impone altro che cliché e fa di tanti Cristi dei semplici invitati alla festa a loro dedicata, inadatti al nuovo corso. Loro, a differenza di Media e Mr. World, vivi grazie ad un compromesso che distrugge tutto restituendoci un mondo plasmato da un chirurgo plastico. Loro, vincitori di una battaglia che ci porterà alla grande guerra di American Gods, hanno trascinato con sé chiunque non avesse più una ragione d’esistere, inclusa la dimenticata Bilquis.

I nuovi dei si sono adattati alle nostre esigenze, e noi ci siamo adattati a loro di conseguenza. Un po’ come ha fatto American Gods con il linguaggio televisivo, innovato sapientemente senza dar vita ad una rivoluzione isolata. L’impresa non era semplice, e ora possiamo affermare sia andata a buon fine. Il capolavoro di Neil Gaiman è molto diverso dall’opera ideata dal duo Fuller-Green, e non poteva essere altrimenti: trasporre fedelmente il romanzo avrebbe portato a più di una forzatura, vanificando la ricerca costante dell’armonia espositiva. Ci sono riusciti, e non possiamo far altro che ringraziarli: ci siamo divertiti, abbiamo riflettuto e siamo consapevoli che il meglio debba ancora venire. Li adoriamo, con devozione.

Antonio Casu 

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