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Better Call Saul: nella 3×06 la metamorfosi in Saul Goodman è segnata

Seconda parte di stagione per Better Call Saul che si apre con un episodio ricco di spunti e con un finale inatteso quanto sperato. Nelle puntate precedenti la trasformazione di Jimmy McGill era avvenuta ponendo risalto ora sull’abbigliamento (un articolo dedicato lo trovate a questo link), ora sulla sua risposta alle avverse circostanze (il rapporto con Chuck in primis). Nella 3×06 tale processo sembra ormai compiuto. Con un salto temporale che sbrigativamente mette da parte la bagarre legale prolungatasi per svariati mesi, ritroviamo Jimmy e Kim intenti nei festeggiamenti. Un anno di sospensione e una diffida. Il risultato, viste le premesse, non è poi così vantaggioso ma permette comunque a Jim di preservare il lavoro.

Il fatto che Gilligan abbia sorvolato amabilmente sui mesi del processo e sul suo sviluppo ci dà un indizio importante su quale sia il proposito -se ancora non fosse chiaro- dell’intero Better Call Saul: nient’altro che l’analisi della complessa figura di Jimmy McGill e la sua metamorfosi in Saul Goodman. Non le questioni legali, non i complessi colpi di scena da aula giudiziaria tipici dei legal drama, semplicemente Jim. Jim e Saul. Saul e Jim.

Le due personalità convivono e si sovrappongono sempre di più, combattono una lotta interiore che pare però ormai inevitabilmente segnata. Better Call Saul

Hai ottenuto ciò che volevi, ora bisogna fare ciò che è giusto”, afferma Rebecca rivolgendosi a Jimmy. La risposta è secca e non lascia spazio a repliche. Un ‘no’ che segna ufficialmente la rottura irreversibile del legame tra i due fratelli. Non c’è ritorno. “È sempre tuo fratello”, “No, non più ormai”, replica seccamente Jim. Le strade dei due uomini sono destinate a non ricongiungersi mai più. Chuck, ora consapevole che la sua malattia è tutta psicologica, compie un atto estremo verso una inverosimile salvezza. Chiama la dottoressa che lo aveva già avuto in cura rendendosi evidentemente disponibile ad affrontare la terapia del caso.

Jimmy taglia i ponti, rinuncia a “fare ciò che è giusto”. Quella morale che da sempre gli altri hanno voluto imporgli e che ora, da ultimo, gli rinfaccia Rebecca non l’ha mai sentita realmente propria. E ora ha la maturità caratteriale per rifiutarne l’accettazione.

Ma allora, cosa sta diventando Jimmy, o meglio, cosa è sempre stato? Un uomo dalle mille contraddizioni che in sé unisce perversamente la volontà di far del bene a chi vuole bene (Kim) e l’assenza di scrupoli nel ricorrere a metodi non convenzionali per ottenere quel ‘bene’. Ora, tutta questa complessa, caotica, incoerente e dannatamente intrigante figura come può essere riassunta in un’istantanea improvvisa? In un nome che appare in sovraimpressione al termine di questo risolutivo episodio? Sembra incredibile, eppure Vince Gilligan riesce nell’impresa. “Saul Goodman?”, “Sì, un nome che è tutto un programma”, commenta Jim di fronte alla sorpresa di Kim.

Si gioca continuamente sulla maschera: per poter rimanere Jimmy deve diventare Saul.

Indossa un costume, crea un nuovo nome, eppure, in tutta quella finzione, dietro quell’apparire, si sente qualcosa di autentico. Un nome fittizio e nello stesso tempo che “ha molta energia” come ammette Kim. Saul Goodman è finalmente emerso. È solo un nome, ma quanta concretezza e insieme simbolismo ci sono dietro? Vale la pena soffermarsi qualche istante ad analizzarlo. L’origine risale ai tempi di Cicero (Illinois), quando Slippin’ Jimmy lo adotta nella truffa dei Rolex organizzata con il compare di sempre, Marco (1×04, “Eroe”).

S’all good, man! Va tutto bene, amico! È un nome che fa presa: accattivante, estemporaneo, da televendita. È l’essenza di Jim, del suo stile farsesco da bus bench laywer.

Un avvocato istrionico e magnetico, capace di bucare lo schermo. Molto distante dalla rigida compostezza di Howard, come già evidenziato, così pure dall’immagine “professionale” di uno studio come quello della Davis & Main. In questo episodio di Better Call Saul torna non a caso il logo della D&M per cui Jimmy ha lavorato: lo ritroviamo sulla tazza da cui beve a inizio episodio.

Il riferimento, come Vince Gilligan ci ha abituato, è voluto: la tensione con i soci della Davis & Main era esplosa nella scelta di Jimmy di mandare in onda uno spot tanto fortunato quanto incoerente con lo ‘stile’ e l’‘immagine’ del rinomato studio legale. Come in quell’occasione, anche ora Jimmy e Kim si ritrovano fianco a fianco sul divano a visionare la pubblicità. Stavolta però non c’è nessun rimbrotto, nessuna paternale da parte del capo. Jim è diventato padrone di sé stesso. È diventato quello che in fondo è sempre stato: Saul Goodman, un teleimbonitore capace di vendere qualunque cosa. In quel nome si coagula l’eterno conflitto della sua personalità: Saul e Goodman, l’inganno e il bene.Better Call Saul

Uno spazio importante in questa recensione del sesto appuntamento stagionale di Better Call Saul va riservato anche a Nacho.

L’apertura dell’episodio ci presenta lo scagnozzo dei Salamanca alle prese con una quotidianità criminale. Nelle prime immagini a farla da padrone è però il vecchio Hector. La malvagità della sua natura emerge per contrasto nell’indifferenza -specchio di un più profondo disinteresse morale– che attua nei suoi gesti. Prende il caffè, legge il giornale, grugnisce appena come forma di saluto. Per lui è tutto routine: anche il pestaggio brutale di un sottoposto colpevole di essere poco ‘produttivo’.

C’è un po’ di Fargo in Better Call Saul, in quella descrizione di un micro-mondo diviso in buoni totalmente buoni e cattivi infinitamente malvagi; e tra questi due estremi la formicolante, inesauribile e contraddittoria umanità di chi non può iscriversi in nessuna delle due categorie.

Di chi compie azioni malvagie per amore, che fa errori e si perde in un circolo vizioso senza scampo o che viene a trovarsi dalla parte del male senza accettare pienamente questa collocazione. È l’ambiguità umana di Kim che difende Jimmy pur conscia della sua colpevolezza, di Saul che compie raggiri per tornaconto e, da ultimo, di Nacho. In lui si distingue la pacatezza, la moderazione già emersa nel primo incontro con Jimmy di contro alla follia di Tuco, a stento ricondotto alla ragione nell’episodio 1×02 di Better Call Saul (“Mijo”).

Si percepisce distintamente il peso delle azioni che è costretto a compiere, un pestaggio brutale del tutto evitabile. Lo sguardo che assume al quinto minuto dell’episodio esemplifica al meglio questa sua esausta sopportazione. La richiesta da parte di Hector di usare l’attività del padre di Nacho per il traffico di droga è la goccia che fa traboccare il vaso. Anche in Nacho esistono due facce: quella del criminale e quella del bravo figlio di immigrati che lavora diligentemente nella ditta paterna. E nessuna delle due esclude l’altra, convivono e si sovrappongono come quelle di Jimmy e Saul.Better Call Saul

La pillola che nasconde sotto la scarpa anticipa i futuri sviluppi: la malattia di Hector ben nota a chi è formato alla visione di Breaking Bad. Piccoli indizi li troviamo anche ora nel tremore incontrollato e innaturale che accompagna le azioni quotidiane del vecchio Salamanca.

Un grande spunto su come peggioreranno le condizioni del boss della droga ce lo fornisce invece il confronto con una scena di Breaking Bad. Episodio 2×08: Jesse e Walt mascherati puntano una pistola alla testa di Saul. “Non sono stato io, è stato Ignacio!” replica disperato l’avvocato, scambiando i due per emissari del Cartello (“Simpre soy amigo, siempre, siempre soy amico del Cartel!”). Ignacio ovviamente altri non è che Ignacio Varga, detto Nacho. Appare estremamente probabile dunque che Saul sia coinvolto nella faccenda che vedrà forse Nacho tentare di eliminare l’anziano patriarca dei Salamanca. O comunque renderlo innocuo, magari attraverso un veleno inserito nella stessa capsula che Varga nasconde sotto il piede.

In una sovrapposizione di intrecci all’azione potrebbe partecipare lo stesso Mike per tramite di Gus. Proprio Gus, che in questo episodio appare ancora stancamente remissivo nei confronti di Hector. Ma, come sappiamo bene, il freddo calcolo rende spesso Fring disponibile a mettere da parte l’orgoglio in vista di una soddisfazione più piena. Un’azione diretta nei confronti dei Salamanca difficilmente sarebbe stata accettata dal Cartello e Gus non è ancora abbastanza potente per permettersi uno scontro diretto (che avverrà invece in Breaking Bad). Per diventarlo avrà bisogno di un laboratorio in cui produrre direttamente la droga sottraendosi ai vincoli del Cartello. La struttura prescelta è quella che ben conosciamo da Breaking Bad: una lavanderia industriale i cui vapori chimici copriranno in maniera eccellente i fumi della produzione di metanfetamina. Sul finale spazio anche a un gradito ritorno, quello della bella Lydia, fornitore di metilammina di Gus.

Gli intrecci stanno per sciogliersi in Better Call Saul, ce ne rendiamo conto ora più che mai. Ora che tutto pare pronto per incastrarsi alla perfezione in un fantastico gioco di corrispondenze.

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