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Se l’avessero intitolata London Maiunagioia almeno avremmo saputo cosa aspettarci. Dimenticatevi Sansa Stark, persino lei ha più ‘culo’. È Danny ad aggiudicarsi il podio del più sfigato delle serie tv e temo che deterrà il primato a lungo.

 

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London Spy è una miniserie per molti aspetti innovativa. Scritta da Tom Rob Smith e targata BBC, tratta una storia omosessuale senza però enfatizzare questo aspetto: nonostante ci siano diverse scene di sesso esplicito, infatti, forse più che in Looking, non è dell’omosessualità in quanto tale che si vuole parlare, tutt’altro. London Spy è la storia di come un incontro può modificare il corso della propria vita e non in positivo. Ma l’aspetto più importante è che se Danny o Alex (l’uomo di cui s’innamora il protagonista) fosse stata una donna, il corso degli eventi non sarebbe cambiato. Insomma, London Spy non è una ‘storia gay’, è semplicemente una storia e come tale va seguita.

La prima puntata si apre con l’incontro tra Danny (interpretato da un a dir poco meraviglioso Ben Whishaw) e Alex (Edward Holcroft). È evidente fin da subito che i due sono profondamente diversi: Danny è romantico e dedito agli eccessi, mentre Alex è sociopatico. Tuttavia i due riescono pian piano a trovare un equilibrio fino a quando Alex non scompare misteriosamente. Danny inizia a indagare con l’aiuto di Scottie (Jim Broadbent), ex agente dell’MI6 e amico del ragazzo, e scopre così che anche Alex era un agente e aveva scoperto qualcosa di estremamente importante e pericoloso…

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Un thriller insomma. Un thriller appassionante, contraddistinto da colpi di scena graduali ma scioccanti. Un thriller lento, caratterizzato da piani sequenza intensi. Ma la lentezza della narrazione è essenziale: se la regia fosse frenetica e adrenalinica, come siamo abituati per il genere, probabilmente non avremmo a che fare con una miniserie che passerà alla storia, sarebbe soltanto una come tante altre. Invece, qui siamo davanti a molto di più.

London Spy rinnova il genere. Come ho già detto è un thriller di spionaggio, eppure non ci sono inseguimenti, non ci sono mitragliatrici, non ci sono cattivi orbi che non riescono a mirare. In realtà, non ci sono cattivi e questo è forse ciò che rende questa storia ancora più ansiogena e claustrofobica.

Inoltre, non bisogna dimenticare la caratterizzazione da paura dei personaggi e la bravura degli attori (e sì, sono ancora leggermente infastidita che Ben Whishaw non abbia vinto il BAFTA, nonostante Mark Rylance in Wolf Hall sia a dir poco straordinario). Ben costruite anche le relazioni tra i vari personaggi, specialmente il rapporto padre/figlio tra Danny e Scottie, che è forse quello dominante nella serie, caratterizzato da momenti di complicità e di tenerezza, come anche di scontro più o meno violento.

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Anche i personaggi che appaiono poco sono ben scritti e restano impressi. Basti pensare a Rich, interpretato da un magistrale Mark Gatiss, che ancora una volta si dimostra un artista e un attore versatile, perfettamente calato nella parte di un magnaccia, drogato e spacciatore, dedito agli eccessi e alle orge gay. Meraviglioso il monologo che Rich fa nella vasca da bagno: vale tutti i premi del mondo solo quella scena! Ah, e pretendo uno spin off su Rich, sia chiaro a tutti!

Altro guest, nella quarta puntata, invece, è per la sorpresa di tutti Riccardo Scamarcio che, per l’ansia di dover parlare in inglese (sorprendentemente pulito), si dimentica di saper recitare. La presenza di Scamarcio è stata molto criticata, soprattutto perché fa ripetutamente col braccio il gesto di scopare. La scena con lui è stata ritenuta volgare nonostante nella puntata precedente venga mostrata un’orgia quasi senza censure.

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Che dire poi di Charlotte Rampling, che ha invece un ruolo un po’ più consistente? Fredda, spietata, calcolatrice, interpreta la madre di Alex e, conoscendola, si capiscono i motivi del disagio esistenziale e comportamentale del ragazzo. Che però è fino in fondo capace di amare e quanto profondamente lo si capisce solo nell’ultima puntata, la più straziante.

Insomma, London Spy è uno di quei capolavori che non possono mancare nel bagaglio di un serial addicted.

Se non l’avete ancora visto, recuperatelo, ma assicuratevi di avere accanto almeno un paio di scatole di kleenex: questa serie è persino più triste di Doctor Who. E ho detto tutto.