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Sono Fleming, Ian Fleming. Dov’è finito James Bond?

Si prenda un bel ragazzo, intelligente e creativo, donnaiolo e misterioso, gli si affianchi un gruppo di belle ragazze, si agiti tutto (senza mescolare, sia chiaro) in un contesto da seconda guerra mondiale, si costruisca una spy story dalle mille sottotrame e si confezioni il prodotto con una fotografia affascinante. Risultato finale? James Bond, uno dei tanti. E Ian Fleming? È suo padre, ma sarebbe voluto essere suo fratello. Un fratello gemello. Non c’è riuscito, e la serie tv a lui dedicata lo dimostra.

SONO FLEMING, IAN FLEMING. AH SÌ? – E dire che non mancavano i buoni presupposti. Prodotta nel 2014 dalla BBC America, in collaborazione con Sky Atlantic, “Fleming” è una serie a metà, incartata tra mille filoni non sviluppati. Un po’ come Fleming, quello vero. Personalità intrigante, lo scrittore. Annoiata, a tratti banale, l’uomo. È possibile scindere lo scrittore dall’uomo? In fondo, non sono la stessa persona? No, se si concentra tutta l’attenzione sugli aspetti più stereotipabili della sua vita, dimenticando per strada i semi della nascita della creatura più riuscita. Fleming sarebbe voluto essere James Bond, ma non ne ha il physique du role, “Fleming” sarebbe voluta essere una serie alla James Bond, ma non ne ha le potenzialità. L’errore è di fondo, non nella costruzione. La serie è ben fatta, però nasce male e muore peggio. Il prodotto finale non è un granché.

UN AMPLESSO A METÀ –  Un po’ come in “1992”, sesso e sigarette sono un semplice riempitivo. Le sequenze più passionali, abbozzate e tenute in piedi dalla naturale sensualità di Ann O’Neill (alias Lara Pulver, già ammirata nei panni dell’eterea Irene Adler in “Sherlock”), stuzzicano ma non intrigano, lasciano spazio all’immaginazione, senza mai affondare il piede sull’acceleratore. Il tema sessuale di “Fleming”, in sostanza, è una metafora dell’intera serie. Il rapporto di Ian con Ann, tema centrale del racconto, non si evolve mai, resta sempre nella casella del via, ritrovandosi continuamente nella ripetitività dell’esposizione del bel corpo della Pulver. Non ci sono altri piani di analisi, l’amplesso è a metà. Corsi e ricorsi, immagini sovrapposte, perché Fleming è un Bond a metà.

NON SI PERDE LA TESTA PER “FLEMING”  – E poi c’è l’indifferenza che si instaura tra Ian e gli spettatori. Non si vuole essere lui, non si vuole non essere lui. Dominic Cooper (l’Howard Starke di Capitan America, ricordate?), protagonista di un’ottima interpretazione, non ha responsabilità: il problema è, ancora una volta, del personaggio. Troppo poco letterario per coinvolgere il pubblico, troppo poco odioso per permettere a chi lo osserva di allontanarsene del tutto. Non c’è mai empatia, nel bene e nel male. “Fleming” ha, in buona parte, i vizi di Bond, ma non ha lo spessore psicologico per sopportarli del tutto e creare un contraltare vincente. “Fleming” vaga in solitaria, senza avere supporto dagli spettatori. Non comunica con loro, è una normale conseguenza.

COS’È “FLEMING”?– Un altro equivoco di fondo è l’intento della serie. Il matrimonio tra gli spiriti americani e british non s’ha da fare. Non è un biopic canonico alla mamma Rai (nessuno ne sente la mancanza e Beppe Fiorello non è presente nel cast), non è il racconto di una storia d’amore, non è la genesi di uno dei parti letterari più vincenti del Novecento e neanche una spy story. “Fleming” incarna tutte queste anime, senza farne propria alcuna. È una collezione di generi, un po’ come il rapporto incostante di Ian con le donne e le opere d’arte. La fotografia barocca e ricercata è sterile, senza contenuti, in questo senso il miglior scatto possibile del Fleming televisivo. La serie che voleva essere un capolavoro è invece un prodotto modesto, gradevole ma poco originale. Un passatempo, nulla più.

Ad un certo punto, Ian ordina al bancone un Vesper (il celebre cocktail di Casino Royale): il cameriere, infastidito dalla particolare richiesta, gli allunga una bottiglietta di Kina Lillet. Altra metafora involontaria (le più riuscite della serie): “Fleming” non è un Vesper, ma un Kina Lillet. Agitare senza mescolare, in certi casi, non è sufficiente, a meno che non ci si chiami James Bond.

@antoniocasu_