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9 domande agli autori de “Il mio primo dizionario delle serie tv cult”

“Che cosa abbiamo?” questa la domanda ricorrente in E.R. Medici in prima linea. Se dovessi rispondere io, ora, sarei in grave difficoltà. IL MIO PRIMO DIZIONARIO DELLE SERIE TV CULT , infatti, non è facile da definire. Me lo sono letta, d’un fiato, e mi sono divertita, stupita, ho ricordato bei momenti seriali, sono stata erudita… Insomma, non penso di esagerare nell’affermare che a questa lettura non manca proprio niente. Anzi, regala tanto e non a caso è  in cima nella classifica dei bestseller per la categoria Cinema e televisione su Amazon. Di cose da dirvi ne avrei, ma è meglio lasciar parlare Matteo Marino e Claudio Gotti, i due autori che, con le meravigliose illustrazioni di Daniel Cuello, hanno dato vita a questo libro imprescindibile per ogni amante del mondo seriale. Quindi, godevi l’intervista di questo due folli e poi datevi subito alla lettura di quella perla che è la loro creazione, se non l’avete ancora fatto!

Illustrazione di Daniel Cuello
Illustrazione di Daniel Cuello

Cominciamo dalle basi. Io l’ho letto e l’ho capito da me e voi potreste aver scritto questa perla anche solo per velleità (si sa come sono gli scrittori!), ma perché un amante delle serie tv dovrebbe leggere il vostro libro?

Matteo: Come rispondere a questa domanda senza tessere le proprie lodi e senza sembrare Wanna Marchi o Giorgio Mastrota? Vediamo… Per prima cosa direi che si tratta di un libro scritto da appassionati per appassionati. Speriamo che questo soprattutto traspaia: la passione. Le serie tv sono sempre più spesso opere che coniugano arte e intrattenimento. In molti casi non hanno nulla da invidiare ai capolavori della cinematografia. Quindi da tempo sentivamo il bisogno di “analizzarle”.

Claudio: Venendo io e Matteo proprio dalla critica cinematografica, abbiamo voluto applicare alle serie alcune tecniche di analisi filmica, cercando di non essere mai freddi, schematici o astrusi. Sono le serie che ci parlano, non noi che parliamo attraverso di esse. L’intenzione era quella di andare al “cuore” delle serie stesse, provando a proporre anche interpretazioni inedite, così che la lettura possa essere interessante anche per gli esperti, siano essi fan o addetti ai lavori. Ma abbiamo scelto un linguaggio chiaro e scorrevole, in modo da coinvolgere anche i neofiti.

Matteo: E poi c’è la struttura particolare che ci siamo divertiti a inventare per le schede: non, come al solito, trama, dati tecnici e critica, ma sette paragrafi tra cui Marchio, forse il più importante, e altri parecchio strani, come Vite parallele, Salto dello squalo e Ser(i)endipità. Speriamo che questo contribuisca a rendere la lettura fresca e divertente. In altre parole, se sai tutto di Twin Peaks la nostra scheda ti dovrebbe comunque interessare ed emozionare, e se abbiamo fatto bene i compiti potrebbe anche farti scoprire qualcosa che non sapevi; se non sai niente di Logge Nere, creme di mais e di chi ha ucciso Laura Palmer… dovrebbe farti venire voglia di vedere immediatamente tutte le puntate! A te e ai lettori il compito di dire se ci siamo riusciti. Insomma, nelle nostre intenzioni le schede non vogliono essere un arido elenco di dettagli e curiosità, ma un racconto il più possibile vivido, con retroscena, un pizzico di ironia e molta nerditudine.

Claudio: E se questo non vi ha convinto, dovreste avere questo libro perché ha una copertina strepitosa, disegnata da Daniel Cuello, autore anche delle illustrazioni presenti all’interno, che sono una più bella dell’altra e che fanno graficamente quello che cerchiamo di fare noi con la scrittura: catturare l’essenza di una serie e reinterpretarla.

Matteo: D’accordooo?

Avete dichiarato di esservi sparati circa 3.000 ore di serie tv prima di scriverne. Potreste risemantizzare la parola “alienazione”. Come è cambiato il vostro sguardo sul mondo dopo questa full immersion nella fiction?

Matteo: Tutte le serie presenti nel libro le abbiamo viste dalla prima all’ultima puntata, speciali natalizi compresi. È stata una nostra scelta “filosofica” e un po’ folle. Abbiamo fatto un conto e si tratta di 4.049 episodi (più di 3.000 ore, appunto!), ma molte di queste visioni le abbiamo spalmate negli anni. Anche se, da quando abbiamo iniziato a scrivere fino alla consegna delle prime bozze, in pochi mesi ne abbiamo fatti di ripassi e recuperoni! Quindi credo che ci siamo “alienati” per un bel po’ di ore al giorno. Anzi, non capisco dove abbiamo trovato il tempo per scrivere, ora che ci penso.

Claudio: Come è cambiato il nostro sguardo dopo questa full immersion? È diventato qualcosa che è insieme un sogno a occhi aperti e un accesso forse più consapevole alla realtà. Ci siamo fatti l’idea che le serie tv nel loro insieme siano una sorta di sapere enciclopedico: pensiamo a come ci fanno “evadere” dalla nostra routine quotidiana consentendoci di vivere giorno dopo giorno un posto di lavoro alternativo al nostro spettacolarizzandolo, dall’ambito medico a quello legale, da quello politico a quello casalingo…

Matteo: Ci fanno vedere come ci guardiamo in un determinato momento storico.

Claudio: E, comprese quelle ambientate nel passato o in mondi fantastici, sono capaci di rimandarci, per le loro implicazioni sociali, psicologiche, morali o amorose, alla nostra vita di tutti i giorni. Secondo noi fanno indubbiamente cultura. Diciamo che uno può vantare la propria cultura in base non più solo al numero (e alla qualità) di libri letti, ma anche al numero (e alla qualità) di serie viste…

Matteo: Con un libro sulle serie tv uniamo le due cose!

Claudio (ride): Giusto!

Come è cambiata, secondo voi, la fruizione dello spettatore da quando la serialità ha preso così largo spazio nella nostra vita?

Matteo: La serialità fa parte della nostra cultura e della nostra psicologia. Ci piace. Dai feuilleton ottocenteschi ai fumetti, dalle saghe romanzesche ai sequel cinematografici, passando per le favole della buonanotte che ci facevamo raccontare da bambini. Le serie rispondono spesso a questo mai sopito bisogno di storie da ascoltare. Ma certo qualcosa cambia nella fruizione. Dipende anche dal mezzo usato e dai diversi contesti.

Claudio: La fruizione di una serie tv è più casalinga, perciò più intima, diventa un tutt’uno con il “vivere la propria casa”. E dura nel tempo molto più di un singolo film, quindi è più favorevole a creare empatia nello spettatore, che a lungo andare arriva ad avere meno filtri e difese rispetto a quando si trova all’interno di una sala cinematografica.

Matteo: Un tempo si diceva che lo spettatore televisivo ha più distrazioni rispetto a quello cinematografico. Ma ora puoi mettere in pausa, rivedere un episodio, approfondirlo sul web…

Claudio: E comunque non viene meno la dimensione sociale della visione, perché spesso si guarda una serie anche per parlarne con gli amici non appena possibile, dal vivo o virtualmente.

Matteo: Si cercano forum, pagine facebook o gruppi dedicati alle proprie serie preferite, per discuterne o per omaggiarle, con parodie, fan art… Le serie tv stimolano tantissimo la creatività.

Claudio: Matteo, oltre al sito e alla pagina davidlynch.it, gestisce per esempio due gruppi fb, uno su X-Files e uno, naturalmente, su Twin Peaks. E segue non so quanti altri gruppi e pagine!

Matteo: La serie tv fa comunità, molto più dei singoli film.

I segreti di Twin Peaks, illustrazione di Daniel Cuello
I segreti di Twin Peaks, illustrazione di Daniel Cuello

Visto che stiamo parlando dei fan e ai fan: sappiamo quanta interazione ci sia tra la vita vera e il magico mondo delle serie tv. Voi stessi ci ricordate di quando Gilligan (ideatore di Breaking Bad) fu costretto a intervenire affinché i fan smettessero di emulare Walter White lanciando pizze sui tetti delle proprie case. Tuttavia, sempre voi ci spiegate quanto Lost sia stato un’esperienza collettiva grazie all’uso dei forum e dei social. Credete che questa sorta di cooperazione tra fan e autori potrebbe funzionare e dare vita, in futuro, a un nuovo modo di fare serie tv?

Claudio: Beh, ci sono stati casi in cui i fan hanno “sgamato” la piega che avrebbe preso una trama (è noto a tutti il caso di Lost) e gli sceneggiatori hanno dovuto addirittura cambiare la storia in corso d’opera. Da una parte occorre prestare attenzione a quanto i fan hanno da dire, loro sono il primo termometro che ci indica se una serie funziona, e possono sia influire a livello promozionale, per via delle pagine e dei gruppi di cui parlavamo sopra, sia funzionare come laboratorio di “idee”. Ma attenzione: pur trovandoci in un’epoca d’oro delle serie tv, bisogna guardarsi dai rischi dell’assuefazione o di prodotti troppo a tavolino, costruiti “studiando” le reazioni del pubblico. Insomma, con i fan bisogna sempre averci (e saperci avere) a che fare.

Matteo: Riflettevo su una cosa, a questo proposito. Pensavo a tutti i cosiddetti “haters” che girano sui social, ma anche ai fan entusiasti (io quando metto al chiodo la mia veste di critico faccio spesso parte di questa seconda categoria). Non credo che scrivere e girare esattamente tutto quello che vogliono o si aspettano i fan sia la strada giusta. Uno showrunner deve essere libero di osare e anche di sbagliare, secondo me. In fondo noi quando vediamo una nuova puntata di una serie che amiamo (ma anche un pilot) vogliamo andare sul sicuro, ritrovare ciò che già ci piace, ma sotto sotto speriamo di innamorarci dell’inaspettato. Per questo spero che la terza stagione di Twin Peaks, a 25 anni di distanza, ci stupisca, non sia cioè un museo del fan service bensì un salutare cazzotto nello stomaco, qualcosa che magari non piaccia a tutti ma che sappia farci rimanere a bocca aperta. E con Lynch sono praticamente sicuro che sarà così.

Della divisione delle schede abbiamo parlato sopra. Quindi, a bruciapelo e senza pensarci troppo, in ordine: un personaggio, una puntata e un salto dello squalo che non dimenticherete mai.

Matteo: Personaggio, Dale Cooper. Metodo tibetano, caffè e torta di ciliegie, il registratore, i sogni, le visioni… Dale Cooper è per sempre. Puntata, ne devo dire almeno due, il pilot di Twin Peaks e il finale della terza stagione di Lost (“Not Penny’s boat” e “Dobbiamo tornare indietro”). Salto dello squalo… Dawson’s Creek. La morte di un personaggio principale per essersi chinato a raccogliere una pallina di gelato caduta mentre stava guidando è a suo modo indimenticabile. Ma c’è una ragione anche dietro quella scena ridicola, e nel libro la raccontiamo. Poi Dawson’s si riprende alla grande e tutto insieme, nel doppio episodio finale. Quando lo rivedo ancora mi vengono i lacrimoni.

Claudio: Concordo sul finale della terza stagione di Lost, uno dei colpi di scena più potenti di tutti i tempi. Purtroppo non dimentico, di Lost, anche il salto dello squalo, con l’isola che fa puf! Personaggio: più scontato, nel senso che è indimenticabile per tantissimi, Samantha di Sex and the City; più particolare, René Ferretti di Boris.

Dawson's Creek, illustrazione di Daniel Cuello
Dawson’s Creek, illustrazione di Daniel Cuello

Anche se guardare serie tv significa viaggiare in altri mondi, un dato di fatto è che siamo in Italia e un paio di domande sull’Italia vi toccano per forza. Nella scheda di Buffy si parla anche della questione della lingua. Esiste tutto un gergo inventato nel Buffyverse (l’universo buffiano) e tutta questa vitalità linguistica viene persa nel doppiaggio italiano. Doppiaggio sì, doppiaggio no?

Matteo: Doppiaggio nì. A volte il problema è nelle traduzioni. Famigerati gli errori presenti nell’adattamento di Twin Peaks, da «Nell’oscurità di un futuro passato il mago desidera vedere. Non esiste che un’opportunità tra questo mondo e l’altro» (il testo originale dice, invece, «un uomo canta tra due mondi») a «Senza medicine lui è perduto» (che traduce, male, «Senza le medicine lui indica»). Certo, si tratta di frasi sibilline che è difficile tradurre senza il contesto, ma l’adattamento italiano così le ha private di senso. Oggi, quando assistiamo a un adattamento non felice, questo è dovuto soprattutto a due fattori: la fretta con cui purtroppo si deve realizzare una puntata per stare dietro alla messa in onda originale, e budget troppo bassi. Questo fa spesso sì che chi traduce lo faccia velocemente e solo con i dialoghi davanti, senza vedere le scene, e se in sala doppiaggio si è costretti ad andare davvero di corsa eventuali errori rimangono e si registra senza “profondità”: niente rumori di fondo, voci tutte sullo stesso piano, eccetera. Un effetto bruttissimo. Ed è un peccato, perché in Italia abbiamo voci eccezionali.

Claudio:The Big Bang Theory, per esempio, all’inizio a molti italiani non faceva ridere. È vero che spesso molti giochi di parole dell’inglese sono intraducibili, ma qui erano stati addirittura eliminati molti riferimenti nerd e compiuti grossolani errori di traduzione. Fortunatamente sono poi cambiati il traduttore e il direttore del doppiaggio e il risultato è sensibilmente migliorato. Però in quanto italiani possiamo vantare voci che fanno ormai parte del nostro “DNA auditivo”, come lo stesso Francesco Pannofino o sua moglie Emanuela Rossi, che interpreta la casalinga morta di Desperate Housewives, indimenticabile voce fuori campo.

Matteo: E Giuppy Izzo, che presta la sua voce a Meredith Grey e fa certi pezzi come voce narrante da brividi. Giuppy Izzo è la voce narrante nella mia testa.

Claudio: E poi ci sono tutti i doppiatori di serie più storiche come Friends e Sex and the City, che abbiamo visto prima che potessimo optare per la visione in lingua originale…

Matteo: L’ideale sarebbe avere la possibilità di scegliere tra le due versioni, come capita su Netflix. E dare tempo e risorse per lavorare bene ad adattatori e attori.

Sempre parlando di Buffy, ma non solo, si affronta il tema della censura italiana nei confronti di alcune tematiche: l’omosessualità è tra queste. Se pensiamo a Orange Is the New Black, ma non solo, l’atteggiamento pare essere – fortunatamente – un po’ cambiato. Quindi le serie tv sono uno specchio sui nostri tabù culturali? Come è cambiato questo atteggiamento?

Claudio: Decisamente sì. E addirittura anticipano di molto lo sblocco di questi tabù. Pensiamo a Phoebe di Friends e alla sua scelta di portare avanti una gravidanza per altri già nel 1998, o al coraggio con cui Sex and the City ha parlato per la prima volta ed esplicitamente di sesso in tv, non in maniera morbosa, ma indagativa, costruttiva, riflessiva. Si osa di più nei canali a pagamento, tipo HBO, Showtime, Sky, Netflix, che consentono di mettere in scena più liberamente temi difficilmente sviscerabili sulla tv generalista, con un linguaggio più diretto e rappresentazioni meno edulcorate.

Matteo: Tv generalista che comunque ha calato i suoi assi, penso per esempio a Dawson’s Creek e al tema dell’omosessualità adolescenziale. E alla purtroppo prematuramente chiusa (guarda caso!) Via Zanardi, 33, sit-com italiana con un ragazzo gay tra gli universitari protagonisti.

In questo elenco di 33 serie tv, ne vengono trattate tre italiane: Boris, Gomorra e Romanzo criminale. Si sa bene cosa s’intenda con “americanata”, ma il marchio dell’italianità, in una buona serie tv, qual è?

Claudio: Beh, Boris gioca proprio – e di continuo – con il binomio italiano/americano. Uno dei tormentoni della serie, ripreso anche dalla sigla di Elio e le Storie Tese, è il “così italiano” detto in maniera dispregiativa di un certo modo di recitare o di comportarsi. A un livello più profondo di lettura potrebbe però riferirsi anche a un altro atteggiamento, tipicamente italiano, che consiste nell’essere troppo legati a stilemi e gusti stranieri, in primo luogo americani. Ora, il marchio dell’italianità nelle tre serie cult che hai citato sta proprio nel raccontare storie italianissime, che fanno leva su un’infinità di importanti riferimenti culturali, storici, etnici, politici e sociali che ci toccano da vicino e che possiamo comprendere in maniera più istantanea rispetto alle serie americane, il cui contesto non ci apparterrà mai del tutto. E quelle tre storie vengono raccontate con uno standard qualitativo più alto grazie alla libertà concessa dai canali a pagamento che le producono. In questo, sì, abbiamo imparato dagli americani.

Vi cito. Riferendovi a una battuta di The Big Bang Theory, dite: «Secondo questa celebre e controversa interpretazione della meccanica quantistica, ogni volta che facciamo una scelta si compiono anche tutte le altre scelte possibili perché a farlo sono i nostri doppi negli universi paralleli». Esistono quindi davvero universi paralleli dove non state guardando serie tv?

Claudio: Se esiste un universo parallelo in cui Matteo non sta guardando una serie tv, è perché probabilmente è impegnato a scriverne una!

Matteo: Magari, grazie! Anch’io non riesco a immaginarmi Claudio senza serie. Se non ha gli occhi sullo schermo in qualche universo, probabilmente è perché sta scrivendo fitto sul suo taccuino degli appunti…


Claudio:
Guarderei e non guarderei la serie di continuo, diventando “parallelo” a me stesso…

Matteo: O più probabilmente, se non stiamo guardando serie tv, è perché in quella realtà parallela siamo già morti.

Claudio: Del resto, valar morghulis.

Geniale
Geniale

Un saluto agli amici di Serie Tv, la nostra drogaSeriamente Tv, www.davidlynch.it, danielcuello.com, Il mio primo dizionario delle serie tv cult!