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La depressione abissale che assale dopo aver visto l’ultima puntata di Sherlock

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 4×03 di Sherlock.

Sherlock
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Stavolta è diverso, fottutamente diverso. Ogni fan di Sherlock è abituato al piacere agrodolce dell’attesa che spesso si confonde con l’autolesionismo, ma niente è per sempre. E il problema finale di Sherlock potrebbe essere realmente tale. Perché non sappiamo se la quinta stagione vedrà mai la luce e ancor meno quando o come. Perché un cerchio si è chiuso e aprirne uno nuovo sarebbe piuttosto pericoloso. Perché quel finale, senza cliffhanger (ad esclusione del misterioso saluto di Moriarty) e dal sapore malinconico dell’addio, ci ha fatto cadere nell’oblio. Una depressione abissale ci assale, e le nostre domeniche di gennaio non sono più le stesse.

Dobbiamo abituarci all’idea. Almeno dobbiamo provarci. Non è semplice, quando ci si innamora di una serie tv: i personaggi non sono più semplici personaggi, ma amici o nemici. Le loro avventure diventano nostre, e la narrazione si trasforma in un’emozione condivisa che eleva l’empatia ad arte. È successo anche con Sherlock, e l’assenza di un contatto quotidiano o settimanale portato avanti continuativamente complica ulteriormente le cose. Gli appuntamenti erano sporadici, Sherlock si faceva attendere per anni intrappolandoci in una morsa di dubbi e speranze, senza lasciarci fiato.

Era bello perché durava poco. Era bello perché era semplicemente stupendo crescere in compagnia di un amico dal carattere complesso ed una cerchia di uomini e donne dai mille volti, scoperti episodio dopo episodio. Quest’avventura è durata sette anni e una manciata di ore, una ventina in tutto: sarebbe bastata una giornata, ma non avrebbe avuto lo stesso sapore. La magia della narrazione dilata il tempo fino ad annullarlo. Non saremmo cresciuti con loro, non li avremmo attesi con ansia e ora non ci mancherebbero così tanto.

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Pensarci ora, ad una settimana dal meraviglioso epilogo della quarta stagione, è più doloroso. Allo stupore per un finale inatteso è seguita la naturale elaborazione del lutto, resa più difficile dal tarlo del dubbio: torneranno? Oppure no? Moffat e Gatiss si sono resi disponibili ad andare avanti, ma tutto dipenderà dalle decisioni di Cumberbatch e Freeman, sempre più inseriti nel mondo del cinema. Non sappiamo che strada prenderanno, ma sappiamo che un sì comporterebbe l’ennesima attesa, una gestazione lunghissima che ci accompagnerebbe verso un nuovo inizio, un nuovo Sherlock e una nuova vita.

La serie che abbiamo amato negli ultimi sette anni è finita a prescindere dall’avvento o meno di una stagione successiva. Se fosse stato il solito crime, non ci saremmo posti il problema, ma Sherlock è molto di più: è la storia di un uomo che ha dovuto affrontare i fantasmi del proprio passato e fare del genio una nota straordinaria in un mondo ordinario. Sherlock è il prequel inusuale di un mito che si confronta con il bagaglio di esperienze della sua stessa leggenda: cosa dovremmo aspettarci ora? Questo capolavoro ha realmente altro da dire?

Il finale frettoloso reso necessario dal rischio incombente di dover chiudere la serie lascia intendere che Gatiss e Moffat abbiano ancora molto da dare, e questa è l’unica sicurezza. Una certezza non da poco, se si pensa al lavoro mastodontico che hanno fatto per dare un senso all’adattamento di un canon dai confini inesplorati. La quinta stagione non sarebbe una banale operazione commerciale dettata dalle esigenze di una BBC privata del prodotto di punta ed un fandom malinconico rimasto orfano, di questo ne siamo sicuri.

Ai posteri l’ardua sentenza. The Final Problem è uno degli capitoli migliori della storia di Sherlock per il carico di emozioni contrastanti che ha saputo regalarci ma quella conclusione, degna di un ottimo mini episodio slegato dalla puntata madre, non è il vero atto finale che gli autori hanno in testa per la creatura che hanno cresciuto in questi anni. Meriterebbero una nuova occasione per stupirci per l’ennesima volta, prenderci in giro e divertirsi alle nostre spalle, mentre noi godiamo nel farci del male in una lunga attesa. Se lo meritano, ce lo meritiamo. E lo meriterebbe anche il nuovo Sherlock, il Watson di sempre e un Mycroft da esplorare, una Eurus da conoscere meglio ed un Moriarty in bilico perenne tra le sicurezze di una morte e le incertezze di una resurrezione improbabile. Ma non dipende da noi. E stavolta è più difficile. Fottutamente più difficile.

Antonio Casu 

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