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La favola horror di Sweet Tooth: la voce dei bambini per raccontare la ferocia degli umani

ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sulle tre stagioni di Sweet Tooth

Il 2024 ha portato al compimento del percorso di Sweet Tooth. La serie tv firmata Netflix, tratta dall‘omonimo fumetto di Jeff Lemire, ha vissuto tre stagioni importanti arrivando a un finale denso e degno del percorso narrativo visto. Siamo di fronte a una di quelle gemme che avrebbero forse meritato maggiore risonanza, nonostante comunque un buon responso del pubblico. Un palcoscenico più ampio, però, non avrebbe guastato, perché Sweet Tooth è davvero una serie di altissimo valore. Sono molteplici gli elementi positivi che hanno contrassegnato le tre stagioni della serie Netflix. Su tutti, però, c’è il tono con il quale viene affrontato il racconto. Una voce favolistica che, dietro alla prospettiva dei bambini, cela un mondo di violenza e oscurità.

Il tono con cui viene raccontata la storia di Gus e degli altri ibridi è un inquietante accostamento tra l’ingenuità dei bambini e la ferocia del genere umano. Una sovrapposizione che segna molte produzioni young fantasy, ma che in Sweet Tooth raggiunge un livello impressionante di efficacia. Proprio su questo aspetto, dunque, vogliamo soffermarci per parlare di una delle serie più interessanti degli ultimi anni. Partiamo quindi dalla stagione finale, di cui qui potete leggere la recensione. Dalla conclusione di questa favola horror che ha saputo davvero rubarci il cuore.

L’emozionante finale di Sweet Tooth

Partire dal finale è importante per parlare del peculiare tono narrativo di Sweet Tooth, perché esso proprio nell’epilogo trova la sua definitiva realizzazione. Come detto, l’epilogo della serie Netflix è stato soddisfacente, per diversi motivi. Oltre una certa compiutezza narrativa, mai scontata, c’è anche la coerenza nell’aver mantenuto, dall’inizio alla fine, lo stesso tono nell’affrontare un racconto che più volte ha mutato forma. Dal road movie nella prima stagione alle connotazioni da prison drama della seconda, fino allo scontro evoluzionistico, frontale, del finale. Sweet Tooth ha avuto diverse anime, ma il racconto è andato avanti mantenendo sempre lo stesso identico tono favolistico.

Questo elemento trova, quindi, la sua realizzazione nel finale, perché suggella quel trionfo della natura che contrassegna l’epilogo di Sweet Tooth. Il modo in cui il racconto viene affrontato porta al finale come unico, e fisiologico, punto d’approdo. Quella coerenza narrativa di cui abbiamo parlato viene qui sublimata e si fa anche coerenza concettuale. Il tono del racconto sfocia direttamente nel suo contenuto e ci regala un finale semplicemente inevitabile. L’emozione provata, poi, è quella che viene costantemente filtrata dalla voce narrante. La prospettiva adottata è funzionale al messaggio conclusivo della serie e qui sta la prima, grande, meraviglia del finale della produzione Netflix.

I bambini ibridi di Sweet Tooth

La voce dei bambini e la violenza degli adulti

La coerenza di fondo che unisce il racconto e la sua cornice riconduce alla prospettiva della narrazione, che sin da subito è quella dei bambini. Gus è il grande protagonista della serie, un piccolo ibrido che scopre per la prima volta il mondo. Noi guardiamo e ascoltiamo attraverso di lui. I suoi sensi sono i nostri e proviamo la sua meraviglia, il suo stupore, ma anche la sua paura. La voce di Gus, andando avanti, si mescola a quella degli altri ibridi, il cui punto di vista viene sempre valorizzato. Narrativamente sono sempre i bambini ad avere il controllo. Lo sguardo sugli umani è sempre esteriore, anche laddove sono essi a porsi come protagonisti.

Questo deciso filtro conferisce al racconto un tono ingenuo e spontaneo. L’azione è visibilmente orientata al voler sottolineare la contrapposizione tra la violenza degli adulti e l’innocenza dei piccoli ibridi, costretti, senza alcuna colpa, a vivere in un mondo che li odia e cerca di eliminarli. Per tre stagioni assistiamo a questa dinamica e inevitabilmente ci poniamo dalla parte dei bambini, preparandoci anche noi a quel trionfo della natura che ci appare come l’unica soluzione possibile nel finale.

La favola horror

Una delle conseguenze più interessanti di questo peculiare tono narrativo sta nella conformazione che assume il racconto. Andando avanti, Sweet Tooth prende sempre più le sembianze di una vera e propria favola horror. Il tono favolistico è dato, come detto, dalla voce dei bambini. L’orrore invece dalla violenza, spesso gratuita e cieca, è degli adulti. C’è una certa contrapposizione anche tra forma e contenuto, che si fa simbolo di quell’opposizione tra gli ibridi e gli umani che anima l’intero racconto. Proprio per questo, in Sweet Tooth, ciò che è narrato ha la stessa valenza di come viene narrato, perché questa ambivalenza orienta tutta l’intera narrazione.

Siamo un po’ come dentro una di quelle storie che ci venivano raccontante da piccoli, dove puntualmente l’ingenuo e candido mondo dei bambini viene sporcato e rovinato dall’incursione del viziato universo degli adulti, che vive davvero di pochi esempi positivi. La crudeltà dei villain come Abbott o la Zhang si fanno totali, in contrasto con l’innocenza incontaminata dei bambini. E questi assoluti sono tipici delle favole, dove ogni chiaroscuro viene eliminato in nome dell’insegnamento e della morale.

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Gus in compagnia di Jep, uno dei pochi esempi positivi tra gli esseri umani

La lotta assoluta tra bene e male

Proprio l’eliminazione di questi chiaroscuri è uno dei tratti peculiari di Sweet Tooth. Non c’è alcuna sfumatura di grigio nella serie Netflix, ma ci sono solo il bianco e il nero. Il male e il bene. Ben nitidi e definiti. Anche questo è un elemento proprio della favola, dove buono e cattivo sono sempre ben individuabili. Affinché l’insegnamento sia chiaro non devono esserci sottintesi. In Sweet Tooth vediamo lo stesso processo. Non c’è mai un tentativo di umanizzare il disumano. Di creare un qualsiasi tipo di dubbio. C’è un messaggio, forte e chiaro, che trova il compimento nel finale.

Torniamo all’elemento di partenza, dunque. A quel finale che, come avevamo detto, è fondamentale per questo discorso. Il misericordioso trionfo della natura che ha chiuso la serie di Netflix è la conseguenza naturale della colpa degli umani che hanno macchiato il mondo con la violenza e non meritano più di godere dei frutti della Terra. Tuttavia, anche in questo epilogo, Sweet Tooth non rinuncia al proprio tono, mostrando una volta in più una coerenza disarmante, che si concretizza in un dettaglio particolare ma decisivo,

Quel dettaglio del finale di Sweet Tooth

L’epilogo della favola si consuma nel finale. Il bene trionfa sul male. Gli ibridi hanno la meglio sugli umani grazie alla mano provvidenziale della natura, ma la punizione non è totale. Gli umani, infatti, vengono graziati. Il loro tempo sulla Terra è terminato, ma l’afflizione è stata cancellata. Possono vivere in pace gli ultimi anni della loro specie, prima dell’estinzione. Siamo davanti a un dramma assoluto, ma presentato in tono, ancora una volta, dolce. La fine della specie umana, l’estinzione di massa, presentata però come un dono della misericordiosa natura. In questo dettaglio sta il trionfo definitivo del tono ingenuo e favolistico di Sweet Tooth, perché ancora una volta la prospettiva è quella genuina e innocente dei bambini ibridi, la cui ascesa a specie dominante sulla Terra non sarà segnata dal sangue dell’estinzione, ma dalla misericordia del perdono.

Non mancano assolutamente gli elementi horror in Sweet Tooth. Lo stesso finale, con l’estinzione di massa degli umani, è scioccante. Eppure non abbiamo mai la sensazione che l’oscurità possa prendere il sopravvento. Questo perché la prospettiva del racconto rimane sempre favolistica, imperniata sul candore dei bambini. Nel mantenere questo tono costante per tre stagioni la serie visibile su Netflix compie un piccolo capolavoro. Quella confezionata con Sweet Tooth è una splendida, dolce e terrificante, favola horror.

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