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Quello che abbiamo capito della prima stagione di The OA

A conclusione della sua prima stagione The OA ha lasciato spiazzati tanto il pubblico quanto la critica. I molteplici livelli di lettura non rendono agevole la comprensione di una Serie concepita fin dal principio per indurre all’incertezza.

L’obiettivo di questo articolo sarà allora quello di chiarire alcuni misteri rimasti insoluti.

Come pure mettere in evidenza dettagli interessanti che potranno essere sfuggiti durante la visione. E, nella sua parte conclusiva, dare un senso –per nulla univoco ma aperto all’inevitabile dubbio – al racconto che Prairie ci ha presentato.

Nell’affrontare una serie come The OA il presupposto fondamentale per una serena visione sta nell’accettare la cosiddetta sospensione dell’incredulità. È Prairie stessa a chiederci di farlo, rivolgendosi al suo pubblico, quei quattro ragazzi della piccola comunità di Crestwood che ha radunato in una soffitta.

Dovete fingere di fidarvi di me, finché non lo farete davvero.

Se vogliamo davvero confrontarci con The OA dobbiamo accettare di ignorare le incongruenze e lasciarci trasportare dal racconto. Sì, perché The OA è in primo luogo un racconto. Il fatto che nel primo episodio la sigla inizi soltanto al minuto 57 ne è chiara dimostrazione: solo nel momento in cui prende avvio la storia di Prairie appaiono i titoli di testa. Come in ogni racconto realtà e finzione si mescolano e si sovrappongono. La potenza immaginifica del favolistico riempie di vitalità gli avvenimenti rendendoli paradigmatici. Ma ci torneremo più avanti.

Parte integrante di questa cornice fiabesca è senz’altro Khatun. Una figura che richiama nel nome Delent-Sagan-Khatun, la consorte di uno spirito ospite/ padrone del mondo secondo la tradizione sciamanica siberiana. In arabo, la lingua parlata da Khatun, il termine indica un generico titolo nobiliare. Ma abbondanti da questo punto di vista sarebbero i possibili –anche se non stringenti- riferimenti al folclore slavo e turco.

Più utile sarà allora soffermarsi su due elementi: il primo riguarda i suoi abiti. Sotto le vesti orientaleggianti è possibile notare nel quarto episodio (minuto 6) la presenza di una probabile t-shirt. La scritta è parzialmente leggibile e potrebbe essere ricomposta in un ‘South of the Border’, nome di un locale-attrazione lungo l’Interstatale 95, in South Carolina. Che si tratti di un easter-egg a riprova dell’irrealtà del racconto?

Il secondo dettaglio è ancora più interessante. Chi ha avuto la possibilità di godersi The OA in alta definizione l’avrà forse notato: sulla fronte di Khatun c’è una scritta in braille. Scritte simili ma meno leggibili corrono anche sulle sue braccia. Proviamo a tracciarne una ricostruzione.

The OA

Ne avete cavato qualcosa? È indubbio che le prime parole siano “Wer wenn”. Si tratta dell’avvio della prima delle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke.

Chi, se io gridassi, mi udirebbe mai dagli ordini
degli angeli? e quand’anche mi traesse
uno d’improvviso al cuore; io languirei della sua
più forte presenza.
Poiché il bello non è nulla,
null’altro che, del terribile, principio che noi appena sopportiamo ancora,
e tanto lo ammiriamo, perché esso disdegna, quieto,
di distruggerci. Un angelo, uno qualunque, è terribile.

Immagini del genere sono frequenti in tutte le Elegie del Rilke e pure hanno ispirato il capolavoro filmico di Wenders, Il cielo sopra Berlino.

Ma non è questo l’unico caso in cui compare una scritta in braille in The OA. Esempi di questo tipo si possono trovare in almeno altri due contesti.

Abbiamo già messo in evidenza la presenza della scritta “Rachel” in braille nel palazzo dell’FBI (Episodio 7, minuto 7:15). La telecamera si sofferma sul gruppetto composto da Prairie, i genitori e il consulente dell’FBI, Elias Rahim. La ripresa relega i personaggi nell’angolo di sinistra, dando ampio spazio al bancone della segreteria alle spalle del quale è chiaramente leggibile il nome di Rachel.

La seconda riga di testo sembra all’apparenza costituita da punti non coerenti con la scrittura braille, forse casuali. Non si può però escludere che nascondano un messaggio criptato mediante l’aggiunta di punti in eccesso.

Ma torniamo a Rachel: che sia in realtà un’agente dell’FBI sotto copertura? I sospetti su di lei non sono pochi. È l’unica tra i prigionieri infatti a non ricevere nessun movimento e, come già sottolineato, le piante nella sua prigione a differenza delle altre sembrano essere morte. In realtà quest’ultimo punto è opinabile dal momento che al minuto 3:10 dell’ottavo episodio quelle stesse piante appaiono sicuramente vive.

Simili dubbi alimentano l’alone di mistero che avvolge il consulente dell’FBI, un eccellente Riz Ahmed che si conferma attore di livello dopo il successo di The Night Of (una recensione in questo articolo). La sua presenza, di notte, nella casa di Prairie è a dir poco sospetta. Tanto più tenuto conto della sua veste di consulente piuttosto che di agente sul campo.

Che sia stato lui a posizionare i libri per screditare la storia di Prairie? A sostegno di questa ipotesi c’è un elemento interessante. La scatola Amazon che contiene i volumi (Gli Oligarchi, L’Iliade, Book of Angels e Encyclopedia of Near-Death Experiences) reca una scritta: “1A5”. Si tratta di un formato Amazon distribuito soltanto a partire dal 2012.

The OA

Se Prairie è rimasta prigioniera per sette anni come potrebbe aver comprato i libri dopo il 2012? E come avrebbe potuto leggerli se è vero che recupera la vista soltanto durante la prigionia?

Se invece ipotizziamo che siano stati acquistati a seguito della sua ricomparsa i tempi vengono a stringersi. Prairie ottiene la connessione Internet che avrebbe potuto portare all’acquisto solo in un secondo momento, grazie a Steve. La narrazione inizia con probabilità il giorno seguente. Non ci sarebbe stato il tempo né per la spedizione né per la lettura.

Ma si era accennato a un altro ambito in cui compare il braille. A inizio del quarto episodio Prairie si trova nuovamente in uno stato di pre-morte. In questa dimensione sospesa dal tempo può osservare la presenza, distante, del padre. Facendo per voltarsi, l’uomo mostra alla telecamera entrambi i profili del volto. All’altezza degli zigomi è evidente la presenza di due scritte in braille. La poca chiarezza dell’immagine non permette però di avanzare ipotesi convincenti.

C’è dell’altro. Ricordate il fratello defunto dell’insegnante Betty (BBA)? Una sua foto compare in un breve frame nel quarto episodio (minuto 20). Vi ricorda qualcuno? La somiglianza col padre di Prairie è piuttosto stringente.

Chiamateli easter eggs, indizi, misteri: quel che è certo è che The OA ne è costellata.

Ma, in fondo, riavvolgendo le fila di questo articolo e tornando alle considerazioni iniziali è indubbio che l’elemento centrale nella Serie appaia il racconto. Che sia reale o solo parzialmente tale, esso costituisce la chiave di volta dell’intera vicenda.

Forse rappresenta una rielaborazione della mente di Prairie a una realtà troppo devastante per essere razionalmente affrontata. La codificazione dietro simboli di un orrore, quello di un reale rapimento, solo parzialmente rimosso.

Quel che è certo è che la narrazione viene a costituire anche e soprattutto il mezzo attraverso il quale Prairie e i suoi ascoltatori si scoprono uniti. Da un lato si attua così quel trauma vicario di cui parla lo stesso consulente dell’FBI: il dolore si fa collettivo tramite l’immedesimazione e la sua condivisione. E Prairie ha contestualmente modo di rielaborare le caotiche vicende di quegli anni intessendole in una trama unitaria, dando loro un senso, per quanto straordinario e in-credibile. E così facendo, affrontare il suo trauma.

Dall’altro la forza del racconto sta nell’attualizzare e fornire un’esperienza simulata all’ascoltare. Prendiamo Omero: l’Iliade nelle sue vicende di eroi viene a codificare un’intera scala di valori tradizionali. Diviene strumento di formazione collettiva: dall’amore filiale di Andromaca e l’eroismo civico di Ettore, fino al senso dell’ospitalità nell’incontro del troiano Glauco col greco Diomede.

Così avviene pure in The OA: nella partecipazione emotiva alle vicende raccontate da Prairie i ragazzi si identificano nei dubbi di Scott, negli errori di Homer, nell’amore di Prairie. E dubitano con loro, sbagliano con loro, amano insieme a loro. Fanno esperienza di quelle vicende, maturano una formazione.

Così, guardandosi allo specchio, Alfonso si scopre Homer.

The OA

I cinque movimenti diventano espressione della loro unione, della forza, dell’esser parte di un collettivo. I ragazzi, saldi nell’amicizia, possono così affrontare da una nuova prospettiva i piccoli, grandi problemi quotidiani. E, nel momento decisivo, di fronte al pericolo più grande, scoprirsi eroici.

È questo il senso ultimo di The OA. Il mistero finale che si nasconde dietro tante incertezze: la forza di un’oralità che, secoli dopo secoli, dall’Iliade alle fiabe, non smette di formare le nostre coscienze.

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