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The Walking Dead apre le porte del Regno di Ezekiel e del cuore di Carol

The Walking Dead, dopo il massacro di Negan, è ripartito con l’episodio 7×02, puntando i riflettori su un’altra pagina del bellissimo libro di questa settima stagione.

C’era bisogno di smorzare un po’ la tensione in The Walking Dead, di prendere fiato dopo la morte di Glenn e Abraham. C’era bisogno di staccare un po’ la spina e tornare a guardare oltre l’orizzonte, verso il ‘vasto mondo’ che non vediamo l’ora di conoscere completamente.

Dopo Hilltop e i Saviors, scopriamo finalmente chi altro sta muovendo le pedine di un gioco molto complesso. Si tratta di Re Ezekiel, sovrano de ‘Il Regno’ e di quei cavalieri con le lance che Morgan, Carol e Rick avevano incontrato strada facendo.

Gli amanti del fumetto aspettavano da tempo questa entrata in scena così clamorosa, questo ruggito di novità e di speranza che Ezekiel, la sua Shiva e il suo Regno vogliono portare alle vicende dei protagonisti di The Walking Dead.

Lo spettatore, in questa puntata di The Walking Dead, è messo davanti ad una nuova realtà. Deve prendere atto di tante cose insieme e gli occhi con cui ci si pone davanti a questo Re con la sua tigre sono gli stessi occhi di Carol. Diffidenti, interrogativi, dubbiosi, scettici. 

Il Regno di Ezekiel sembra un grande circo. 

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L’utopia è presente dal primo all’ultimo minuto e lo scopo di tutta la puntata, come detto sopra, è farci terribilmente calare nei panni di chi, per la prima volta, vede una realtà del genere in The Walking Dead. E’ davvero possibile? Sul serio?

Tutto comincia con la ruota. L’inquadratura iniziale non è mai casuale in The Walking Dead; ormai lo abbiamo imparato. La ruota gira e ci fa subito pensare ad un mezzo in movimento, un fuoristrada a giudicare dall’aspetto iniziale. Ma ecco che già la prima impressione è sbagliata. E’ una ruota sì, ma non c’è nessun mezzo motorizzato a farla muovere. Ciò che le permette di trasportare Carol, ferita e in preda alle allucinazioni, è solo un cavallo.

Carol esprime tutto il nostro stato confusionale e ci fa dubitare di tutto quello che vediamo. Uomini a cavallo con armature che sconfiggono i vaganti, zombie che assumono il volto di persone vive poco prima di essere uccise. Grida, nitriti, flash di luce. Tutto si accumula con il solo scopo di generare una forte sensazione di doversi allontanare da tutto per restare al sicuro.  

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Il risveglio di Carol sembra sancire definitivamente l’entrata nel circo o nel sogno utopico, a seconda del nome che gli si vuole dare. Fuori dalla sua stanza sventola, generando un piacevole rumore, uno scolapasta con qualche vecchia chiave appesa. Una sedia a rotelle permette alla donna di visitare tutta la cittadina: orti, frutteti, gente che chiacchiera sotto i portici, bambini che imparano ad andare a cavallo dentro un tondino come in un vero maneggio, persone che sorridono, ragazzini che vanno a scuola, la crostata a colazione, un leader con una tigre al guinzaglio che si fa chiamare Re. Tutto questo non è davvero possibile nel mondo di The Walking Dead. No. Carol lo sa, lo spettatore anche.

L’ultima volta che abbiamo avuto l’assaggio di una realtà del genere abbiamo avuto la riprova del fatto che non fosse davvero possibile. Woodbury era un’illusione, per non parlare di Terminus. Alexandria era crollata sotto il peso di quell’utopia e, anche dopo essersi debolmente stabilizzata, ancora doveva riuscire a sostenersi autonomamente. Hilltop continua a coltivare quanto basta per sfamare Negan e i suoi Salvatori. Cosa ha di diverso questo Regno?

La diffidenza di Carol diventa la nostra. Il suo voler nuovamente fingere per assicurarsi una fuga rapida e sicura è comprensibile e umano.

Quando si trova davanti al Re decide di indossare la sua maschera, quella che riesce ad indossare così bene da farci confondere ancora di più. Il suo scettico sorriso a 32 denti che sfoggia in risposta alla presentazione di Ezekiel è la massima espressione dell’utopia della puntata. Il suo ‘Mi prendi per il culo?!‘ a Morgan è solo la traduzione di tutto ciò che anche noi abbiamo pensato.

Dopo aver constatato la divergenza delle loro opinioni, Morgan e Carol possono definirsi ‘in pace l’uno con l’altra’. L’uomo ha potuto conoscere Ezekiel nei due giorni in cui la donna ha dormito per recuperare le forze e sa che ha ancora qualcosa da dire nella loro storia. Carol puntualizza a Morgan che non ha potere sulle sue decisioni né passate, né presenti e né future. Il peso che porta dentro è suo e non è condivisibile con lui, tanto meno con Ezekiel. 

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Le porte del Regno si aprono e gli autori ci mostrano, con tante sequenze particolari, di che pasta sia fatto questo Re.

Ezekiel è la persona che siede su un trono con una tigre a destra e un maggiordomo a sinistra, ma è anche una persona che prende parte in prima linea al lavoro sporco. Cattura i maiali con il suo braccio destro Richard, uccide gli zombie, affronta le trattative con i Salvatori. E’ un leader che ha occhio per tutti i suoi uomini: trova in Morgan la strada alternativa per Benjamin, tende la mano al suo uomo a terra, difende il suo popolo con tutti i mezzi necessari (anche l’omissione della verità). E’ un leader che si lascia chiamare Re e che accetta le lusinghe e le storie del suo popolo perchè sa che è necessario. E’ un vero leader perchè i suoi uomini non hanno un timore reverenziale nei suoi confronti, ma individuano in lui una vera e propria guida. E’ un leader che ha capito che uccidere non è la chiave per sopravvivere, perchè uccidere, e di conseguenza essere uccisi o perdere uomini, è solo una delle tante strade che si possono prendere.

Mentre i giorni passano Carol si rimette e progetta la sua fuga, Morgan istruisce Benjamin e noi capiamo cosa significava l’espressione di Richard ‘liberi a metà’. Il Regno è sotto trattativa con un gruppo, sempre lo stesso gruppo, sempre il gruppo di Negan. I Salvatori sono anche lì a richiedere il pagamento. Hilltop, Alexandria, il Regno, gli occhi di Negan sono ovunque e a questa idea bisogna abituarsi.

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Se a Negan non sfugge nulla di quello che succede nel mondo circostante, a Ezekile non sfugge nulla di quello che succede nel suo Regno. Ha evidentemente osservato Carol durante quei giorni e, dall’alto della sua astuzia, si è accorto della finzione della donna. E’ un acuto osservatore, questo lo avevamo capito, ma un’altra carta che si gioca il Re è parlare a cuore aperto, senza nessuna barriera.

Egli sa che Carol è in grado di capire e sa che può fare meglio le sue scelte se conosce tutte le pedine sulla scacchiera.

La donna dolce e innocente che interpreti è piuttosto astuta. Con me ha funzionato. Ti integri, ottieni la fiducia, pendi quello che ti serve e poi te ne vai. Come se non ci fossi mai stata.

Voglio solo andare. Via.

Ezekiel si racconta per far capire a Carol che il circo che ha visto non è poi così irreale. La speranza è davvero la Stella Polare del Sovrano, egli crede in un mondo migliore, crede che non possa essere tutto orribile. Su queste convinzioni ha costruito il suo Regno. Egli non ha paura di dire che quel ruolo gli piace, che mente alla sua gente perchè è necessario e che Carol deve solo guarire perchè è ferita dentro.

Carol ha bisogno di questo. Di sapere che ha un luogo in cui tornare, ma in cui non deve tornare per forza. Che può pensare a se stessa senza dover uccidere per altri, almeno per un po’. Che può smettere di fingere, perchè ci sono persone che la hanno capita davvero. E in quella casa, non distante dal Regno, forse riuscirà a ritrovare se stessa.

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