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22.11.63: il passato gioca brutti scherzi

22.11.63 è la miniserie televisiva di Kevin Macdonald con protagonista James Franco. Basata sull’omonimo romanzo di Stephen King, la serie oscilla tra il fantasy e il thriller politico facendo viaggiare nel passato il personaggio principale Jake Epping fino al 1960 con un unico obiettivo, postogli dall’amico Al: salvare J.F. Kennedy e cambiare la storia del mondo.

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Il problema posto da 22.11.63 è una questione che abbiamo tutti almeno volta affrontato nella nostra mente:

se potessimo cambiare il passato, che evento modificheremmo?

La trama della serie concede la possibilità di agire in quest’ottica, e sembra seguire con convinzione la comune teoria delle tantissime persone appartenenti alla generazione anni ’50: con Kennedy il mondo sarebbe stato migliore. Promotore di questo pensiero è Al Templeton (che sembra proprio essere un sessantenne), esecutore l’insegnante di letteratura Jake Epping. Per tutte le otto puntate, a nessuno viene in mente che l’assassinio di Kennedy potrebbe non essere l’unica cosa da cambiare: siamo (noi telespettatori insieme ai personaggi) tutti convinti di quello che il protagonista sta facendo, del fatto che valga la pena rischiare la vita per un evento così importante. Eppure, proprio al momento della verità, 22.11.63 ci dice che non la pensa come noi: il finale di stagione fa passare un messaggio molto chiaro, cioè che cambiare il passato non significa sempre miglioramento. Nello specifico, sembra proprio che la storia ci voglia dire che Kennedy sia stato sopravvalutato in tutti questi anni; infatti, dopo che Jake è riuscito nel suo intento (con non pochi sacrifici) e ritorna nel 2016, si ritrova in uno scenario a dir poco apocalittico (a voler azzardare sembra quasi frutto di una guerra nucleare) e incontra il suo alunno della scuola serale Harry Dunning (per il quale nel passato aveva ucciso il padre, un violento che sarebbe stato autore dell’omicidio della moglie e dell’altra figlia) che gli spiega la situazione degli ultimi 50 anni: personalmente, non ha tratto giovamento dalla morte del padre (“era comunque mio padre“); a livello mondiale, Kennedy era stato rieletto e c’erano stati dei bombardamenti a cui era seguita l’istituzione dei “Campi Kennedy”, luoghi in cui accadevano cose di cui nessuno aveva voglia di parlare. In pratica, un disastro tale che costringono Jake a tornare indietro e annullare tutto, lasciando dunque che la storia faccia il suo corso. Ma quindi il messaggio qual è? Che Kennedy non sarebbe stato quello che tutti credono, oppure che in generale il passato non va cambiato?

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Per quanto originale risulti il finale di 22.11.63, la serie ha delle incongruità spiacevoli rispetto alle iniziali premesse. Se qualcuno pensa che la serie si concentri principalmente sulla storia di Kennedy e sugli sforzi fatti per salvarlo, rimarrà deluso; se nelle prime due puntate (di un livello qualitativo sbalorditivo) l’impressione è che la trama sia concentrata principalmente sulla vicenda Kennedy (e quindi su un’interpretazione della storia che conosciamo), ben presto ci accorgeremo che ad essere al centro sono le relazioni personali: Bill, Sadie, i coniugi Oswald vivono un incredibile (e improbabile) intreccio di conoscenze che fa passare totalmente in secondo piano la salvezza di Kennedy, sembrando a tratti quasi un riempitivo temporale in attesa del gran finale (che torna invece ai livelli delle prime due puntate). La storia d’amore, il rapporto complicato con Bill (che a sua volta ha una relazione con la moglie dell’assassino di Kennedy), sono elementi che diventano centrali, invece che sussidiari o collaterali. La mala gestione di questo aspetto ha il suo picco nel suicidio di Bill: un incredibile spreco. Tra l’altro, oltre all’aspetto negativamente riempitivo, si avverte un evidente rallentamento di ritmo dell’intera serie proprio dovuto a questo gioco psicologico di affetto verso persone alle quali non ci si può affezionare. Tuttavia, va spezzata una lancia a favore della sceneggiatura: l’ultima puntata quasi giustifica questa attenzione maniacale per i rapporti personali, trasmettendoci una notevole quantità di emozioni e suggestioni che ci fanno salutare la serie con maggiore serenità.

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Di fatto dunque 22.11.63 è una serie che lascia un messaggio molto suggestivo e, onestamente, molto condivisibile: non è detto che il sogno di una generazione corrisponda alla realtà. Inoltre, la serie non si sbilancia nell’inventare un mondo alternativo, ma parla sommariamente di bombardamenti e campi: ottima scelta, perchè non è quello il punto che si vuole comunicare, e concentrandosi troppo sulle conseguenze si sarebbe persa l’attenzione verso il messaggio di non cambiare il passato. Al proposito, è a dir poco toccante la scelta di Jake di rinunciare a cambiare il destino di Sadie (proiettata alla morte nel momento in cui fa la conoscenza del protagonista) per permetterle di continuare a vivere, seguendo il consiglio dell’uomo con il cappello. Alla luce di tutto questo ottimo materiale, è davvero un peccato la gestione dei rapporti tra i personaggi che ha portato ad alcune puntate centrali al di sotto delle aspettative. In un’ipotetica scala da 1 a 10, il mio voto sarebbe 7.