Suicidio, bullismo, armi, stupro, droga, sesso: 13 Reasons Why mostra il lato oscuro e inquietante dell’adolescenza. E molte di queste tematiche ruotano attorno a un unico personaggio: Bryce Walker.
Bryce Walker è il classico idolo della scuola: alto, biondo, sportivo, ricco e popolare, il ragazzo è tutto ciò che gli adolescenti invidiano. È un viziato rampollo di buona famiglia, con un padre assente che compensa il suo silenzio con regali e denaro, a cui basta schioccare le dita per essere circondato da belle ragazze adoranti e da amici pronti ad assecondarlo in tutto e per tutto. Ed è proprio questo il punto fondamentale: Bryce Walker è abituato ad avere tutto ciò che vuole senza nessuno sforzo.
La sua convinzione di essere padrone di tutto ciò che lo circonda, lo porta ad estendere la sua mania di possesso anche sulle persone che gli stanno accanto, a cominciare dagli amici. Quando Justin, il suo migliore amico, si trova in gravi difficoltà familiari ed è costretto a fuggire di casa, Bryce lo aiuta senza fare domande: lo ospita nella sua gigantesca villa, gli dà da mangiare e gli regala vestiti e attrezzature sportive. Sembrerebbe un gesto altruista e così lo interpreta anche Justin, ma non è così: Bryce sfrutta il denaro del padre per “comprare” l’amicizia del malcapitato, che in questo modo si sente indissolubilmente legato a lui. Justin si ritrova inconsapevolmente intrappolato in una rete invisibile, dalla quale non può uscire. Ed è per questo che è disposto ad assecondare ogni desiderio dell'”amico”, perfino quelli più folli e pericolosi.
Bryce considera Justin una sua proprietà e ritiene logico potergli sottrarre senza remore tutto ciò che ha.
Ed è così che ad una festa succede l’irreparabile: Jessica, la ragazza di Justin, è a letto ubriaca, quasi incosciente. Bryce si presenta con prepotenza alla porta e costringe Justin a farlo entrare, appellandosi a un astratto e improbabile vincolo di “fratellanza”. Justin è talmente soggiogato dal ragazzo che più di una volta è stato la sua ancora di salvezza, che non riesce ad opporsi. Ancora una volta obbedisce e aspetta impotente che Bryce, nella stanza, si approfitti della ragazza che ama.
Ma questo è solo l’inizio: Jessica non è certo la prima né l’ultima vittima del ragazzo. Poco dopo, Hannah Baker subisce la stessa violenza, solo perché Bryce, trovandola in intimo nella sua piscina, pensa che questo sia il “via libera” per poter consumare un rapporto con lei. A nulla valgono le proteste della ragazza. Bryce è sordo ai rifiuti, ai deboli tentativi di ribellione, inutili contro la sua irruenza. Ma se per Jessica la reazione istintiva è la rimozione, per Hannah è il suicidio. E sarà questo l’evento che darà il via a una catena infinita di segreti, bugie, violenza e morte.
Bryce Walker è un villain decisamente ben costruito: non prova empatia verso il prossimo e, soprattutto, non si rende conto del male che fa. Per lui è normale appropriarsi di cose e persone, senza dare alcuna spiegazione. Nella sua logica perversa, tutto ciò di cui si appropria è un suo incontestabile diritto. E, cosa ancora peggiore, è talmente affascinante e persuasivo da convincere di questo anche gli altri. Così come persuade Justin che sia “normale” condividere la propria ragazza ed approfittarsi di lei mentre è incosciente, convince tutti di essere un ragazzo generoso e brillante che tutte le ragazze vogliono. Nella sua testa, non ha approfittato di ragazze deboli e indifese, ma ha semplicemente assecondato il loro desiderio di andare a letto con lui.
Il punto di forza del personaggio è proprio questa sua profonda convinzione di essere nel giusto, la sua totale incapacità di provare rimorso, unita a modi di fare apparentemente amabili e seduttivi.
Ed ecco perché la terza stagione ha rovinato il personaggio meglio scritto di 13 Reasons Why
La terza stagione, aprendosi con la morte di Bryce, invita a osservare al microscopio la sua vita, con uno sguardo più attento alla sua dimensione privata. Di per sé l’idea può essere interessante, ma il problema è lo sviluppo che è stato dato al personaggio: improvvisamente, Bryce rivela un insospettabile lato umano, privo di qualunque coerenza con quanto visto prima di quel momento. Viene mostrato il suo background familiare, si insiste esageratamente sul rapporto inesistente con il padre, quasi come se questo potesse “giustificare” in qualche modo il male che ha fatto e la sua totale mancanza di empatia.
Viene mostrato un Bryce pentito, che vuole rimettere insieme i pezzi della sua vita e chiedere perdono alle sue vittime. Ed ecco che avviene la trasformazione: il ragazzo va in terapia, impedisce che i suoi amici bullizzino i più deboli e recupera il rapporto con una madre fin troppo remissiva. È un’evoluzione troppo repentina per non suscitare perplessità. Lo sguardo su Bryce diventa troppo indulgente e sembra quasi che lo spettatore sia invitato a entrare in empatia con lui. Il punto è che non è possibile farlo. Qualcosa nella mente di chi guarda gli impedisce di provare sentimenti di indulgenza verso Bryce, perché è troppo il male che ha fatto, tante sono le persone che, da vive o da morte, urlano vendetta.
E poi arriva il colpo di grazia: Bryce si innamora!
Il cambiamento di Bryce, da uomo violento che vede le donne come oggetti di sua proprietà a ragazzo innamorato che vuole cambiare radicalmente la sua vita è davvero troppo repentino. Non è da escludere una possibile evoluzione del personaggio, ma il modo in cui avviene, in questo caso, non è credibile. La scintilla dell’amore scoppia improvvisamente, lasciando lo spettatore perplesso, perché non ha avuto modo di osservare con calma e metabolizzare la nascita di un nuovo rapporto e, soprattutto, di un vero cambiamento da parte di Bryce. La sceneggiatura risulta quindi debole, perché il rapporto fra il ragazzo e la sua presunta fiamma Ani, una delle nuove protagoniste di 13 Reasons Why, non è adeguatamente approfondito, ma, anzi, trattato in maniera estremamente frettolosa, come se si volesse riabilitare il villain reinventando ex novo un personaggio che, in realtà, non aveva nessun bisogno di essere cambiato. Inoltre, inconsciamente, la relazione fra i due suscita fastidio e repulsione, perché si tratta di una storyline che regala al villain un’occasione di felicità che non merita.
L’omicidio di Bryce, poi, suscita ancora maggiori perplessità. Viene infatti mostrato di nuovo un ragazzo improvvisamente pentito, che cerca di farsi perdonare almeno da Jessica, trovando così un po’ di pace. Poi, altra cosa poco coerente, muore a causa di un eccesso d’ira di Alex, una delle persone che, forse, aveva meno motivi di volerlo morto. Inoltre, la sua morte non è certo una soluzione. Benché Bryce abbia fatto del male e abbia distrutto delle vite, non è possibile rispondere a questo con un omicidio. La giustizia non può essere amministrata in maniera arbitraria e, soprattutto, non può essere giustificata o protetta.
Come Bryce meritava una punizione finendo in carcere, che sarebbe stata la giusta conclusione delle tristi vicende delle prime due stagioni, anche Alex merita di essere punito. Ma ciò non avviene e, anzi, i suoi amici fanno in modo che la colpa ricada su un’altra persona. In questo modo, la situazione si ribalta e le vittime diventano i carnefici. Questo non solo rischia di riabilitare almeno parzialmente Bryce, che diventa una vittima, ma priva la serie di un villain forte, che riesce a creare contrasti e a portare avanti la vicenda con coerenza. Bryce Walker era il perno attorno al quale ruotava 13 Reasons Why e, nel momento in cui l’efficacia del personaggio è venuta a mancare, anche la serie ha perso inevitabilmente il mordente.