Possiamo storcere il naso o apprezzarle, ma in ogni caso bisogna ammettere che Skins (che offre perle non indifferenti) e 13 Reasons Why sono pietre miliari nella storia delle serie tv adolescenziali. Anche The O.C. a suo tempo aveva apportato il proprio contributo alla causa, dando però un’immagine dei teenager che li rispecchiava solo in una infinitesimale parte. Ma non temere, Marissa: noi e Ryan ti ricorderemo sempre. La serie corale britannica e la favorita di Netflix, invece, hanno centrato il segno. Il bersaglio è stato colpito facendo soprattutto leva sulle rispettive protagoniste: Effy Stonem e Hannah Baker. Nella forma, questi personaggi potrebbero sembrare agli antipodi l’uno dell’altro.
Ma andando a fondo, nella sostanza, le due figure femminili di spicco non sono che due facce della stessa medaglia.
La depressione, così come le nevrosi in generale, suscita da sempre un perverso appeal e non a caso, infatti, è uno dei temi più ricorrenti in tv. Se alla malattia mentale vengono poi associate droghe, promiscuità, bellezza, si ottiene una gallina dalle uova d’oro. Per quanto riguarda Skins, la chioccia si chiama Effy Stonem. Nel suo caso, sesso e stupefacenti non sono un mezzo per perdere il controllo e cedere agli impulsi, bensì il netto opposto. Effy si rifugia nelle proprie dipendenze, sfoggiando una maschera di impudenza al solo fine di seppellire il suo unico autentico problema: il disturbo mentale. Per quanto da principio questo personaggio, così abilmente romanzato e romantico, ispiri una buona dose di simpatia, col tempo la facciata si sgretola. E la psicosi si rivela per ciò che è: una malattia infingarda e per nulla glamour, contrariamente a ciò vorrebbero farci intendere.
Effy Stonem incanala il proprio malessere nella ribellione, Hannah Baker ci si crogiola.
La trasgressione è l’unica forza su cui la protagonista di Skins sente di poter far leva per sfuggire ai turbamenti, anche se con risultati fugaci e scarsi. Al contrario, Hannah Baker abbraccia senza riserve i suoi sentimenti. 13 Reasons Why ci presenta la classica adolescente americana, molto lontana dal prototipo di bella e dannata proprio di Effy: viso pulito, ceto medio, carina e intelligente quanto basta per godersi una giovinezza spensierata. Ma è esattamente la ragazza della porta accanto, che nessuno si aspetterebbe covi un malessere tanto radicato e profondo, a essere soffocata dalla depressione. E per quanto Hannah tenti di allungare la mano verso qualcuno, o meglio verso chiunque possa offrirle a sua volta la propria, nessuno afferra la presa. Inizia così un circolo vizioso di compiacimento della propria patologica condizione.
Per farla breve, Effy trucca la partita fingendo un disinteresse cosmico verso tutto e tutti. Al contrario, Hannah gioca a carte scoperte.
Attraverso la giovane di 13 Reasons Why, la depressione si palesa senza filtri in tutte le sue sfaccettature: manipolazione, vittimismo, ipersensibilità. E proprio per questo, e al contrario della sua equivalente inglese, Hannah Baker non piace. Infatti, per quanto siano validi e comprensibili i motivi della sua discesa in uno stato che oscilla tra apatia e disperazione, la ragazza tende ad attirare gli sbuffi di chi la circonda e dello spettatore stesso. Poiché una persona depressa nella realtà non risulterà mai intrigante come la superfiga “sigaretta e smokey eye” dello schermo. Piuttosto, qualcuno come Hannah, che lascia a briglia sciolta i propri sentimenti, risulterà semplicemente ammorbante. Questo è il difetto di un personaggio che nei rating si è rivelato il pregio della serie Netflix, riuscendo a distinguersi rispetto ai teen drama finora prodotti.
Per quanto mi riguarda, in un mondo in cui droga e prostituzione vengono romanticizzate per restituire un quadro completamente fallace dei disagi contemporanei (sì Baby, ce l’ho con te), scelgo la crudezza e la petulanza di Hannah Baker alla ipocrita ribellione di Effy Stonem.