Quanto sarebbe stato facile fare questo articolo a punti? Tredici punti, è ovvio. Avrei modificato leggermente il titolo in: Le Tredici ragioni per cui una generazione ha fallito, avrei giocato così sul titolo della Serie Tv. Sarebbe stato semplice e sarebbe venuta fuori una cosa molto catchy, molto clickbait, per usare termini cari alla generazione millennials.
A proposito di noi (perché anch’io ne faccio parte), salve, colleghi generazionali, questo articolo è soprattutto per voi.
Il 31 marzo 2017 esordisce su Netflix 13 Reasons Why. Nuovo arrivato della piattaforma streaming incentrato su suicidio, violenza sessuale e bullismo, il tutto ambientato in un liceo, ovviamente.
Quelle cose proprio belle che, ai tempi delle medie o dei primi anni delle superiori, incupivano anche le bidelle che spingevano sino in aula il carrello sormontato da un enorme televisore a tubo catodico, al cui interno si alternavano immagini di pellicole incentrate sui temi sopracitati. Era devastante, tu aspettavi con ansia l’assenza della prof di turno per passare un’ora a giocare a Uno, e invece ti toccava sorbire Christiane F.- Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino.
Sta di fatto che da quel maledetto 31 marzo 2017 tutti quanti non facevano altro che parlare di 13 Reasons Why. Chi lo elogiava, chi lo criticava, chi creava petizioni per renderlo obbligatorio nelle scuole (o mio Dio, l’internet), chi voleva fosse censurato perché “devia le giovani menti verso il suicidio” (o mio Dio, il bigottismo). Spoiler su spoiler su spoiler della trama e gittate di informazioni su personaggi e contesto ovunque. Mancava soltanto la bambina di The Ring che uscendo dal monitor ti sussurrava all’orecchio: “Hai visto Tredici?”.
Maledetti.
Perché dobbiamo far sempre di una pulce un elefante? Perché troviamo necessario ripetere una cosa un miliardo di volte fino a farla odiare?
Io scrivo per un sito che parla di Serie Tv, avrei voluto e dovuto guardarla per poterne scrivere in futuro. Sapete invece perché ho iniziato? Perché se avessi aspettato ancora, avrei letto su Facebook anche la trama della seconda stagione che ancora non è stata scritta (ma che è stata da poco annunciata), per dire eh.
Qualcuno potrebbe obbiettare (immaginate una vocina stridula e fastidiosa): “Se internet non ne avrebbe parlato (congiuntivo sbagliato volontariamente), tu non la conosceresti!” Io risponderei:“Se internet non ne avesse parlato così tanto e in modo così sconclusionato, non avrei iniziato la visione con numerosi spoiler e con una carogna addosso che neanche Sgarbi”
Poi ho iniziato a guardare 13 Reasons Why…
Ho cliccato play con un misto di rabbia e curiosità. Il primo episodio è volato via leggero. Mi è piaciuto. Il secondo meno del primo, iniziavo a farmi un’idea su quali personaggi mi stessero più o meno antipatici. Il terzo l’ho odiato, non sopportavo l’idea che due dei motivi del suicidio di Hannah (non è uno spoiler, tranquilli) fossero: la fine di un’amicizia durata qualche mese e una lista che eleggeva “il miglior sedere della scuola”. Ho finito l’episodio in modalità Sgarbi ripetendo una parola che nel corso della Serie Tv ricorre fin troppo spesso:”Seriously?“.
Ero sempre più arrabbiato, ma sempre più curioso. Andai avanti. E poi capii.
Le emozioni che stavo provando erano esattamente quelle previste dalla Serie Tv, ma non solo. Il meccanismo ossessivo di condividere e ricondividere tutto su internet fino alla noia che mi ha portato a vederla è raccontato nei primi episodi. Parte tutto da lì.
Volevo scrivere su questa serie, ma non sapevo come. L’idea di utilizzarla come pretesto per confutare la mia teoria che la nostra generazione ha fallito mi è sembrata un buon punto di partenza.
In 13 Reasons Why nessuno vince, racconta con maestria le tipologie adolescenziali moderne e ci spiega perché è necessario che ognuna di esse impari a relazionarsi con le altre in modo positivo. Tutto degenera durante gli episodi, la luce non si scorge mai in fondo al tunnel. Sembra che non ci sia il tunnel. Tu sai già come andrà a finire, ma esattamente come i protagonisti, vuoi sapere perché.
La Serie ci mostra esattamente perché la nostra generazione ha fallito. Ci racconta cose che tutti noi abbiamo vissuto o avremmo potuto vivere al liceo, ci fa sentire in colpa perché sappiamo che in fondo anche noi (forse) ci saremmo comportati in quel modo in quella situazione. Ci fa pensare alle conseguenze delle nostre azioni.
La più grande conquista dell’umanità è proprio questa: la consapevolezza che le proprie azioni abbiano sempre una conseguenza, non importa chi tu sia o cosa faccia.
13 Reasons Why esagera. Ci chiede: cosa succederebbe se le conseguenze di quelle che tutti noi consideriamo “piccole azioni veniali” ricadessero su un’unica persona? La risposta è il suicidio di Hannah Baker, la prova amara del nostro fallimento.
La nuova moda adesso è quella di minimizzare i singoli motivi che hanno composto la decisione finale di Hannah, con meme di dubbio gusto. Questa è la prova che non abbiamo ancora capito.
Conoscete l’antica tortura della goccia cinese? Docili gocce d’acqua che cadono ripetutamente sulla fronte fino a provocare la perforazione del cranio o una forte psicosi. Questo è ciò che ha provato Hannah, e noi siamo i suoi boia che a poco a poco liberavano gocce sulla sua fronte, pensando ch non fossero nulla. Sono solo gocce, in fondo…
Guardando positivamente la cosa si può pensare che non prendere troppo sul serio la vicenda può essere giusto, ma in questo modo viene meno la morale della Serie Tv. Assecondiamo così la convinzione che ritenendo noi una battuta di poco conto anche gli altri debbano essere costretti a farlo. Non è così. E finché non impareremo a soppesare le nostre parole e le nostre azioni in base alle conseguenze che possono provocare, resteremo sempre una generazione fallimentare.
Il sentimento finale e quello dopo il finale.
Ho concluso la visione di 13 Reasons Why in circa quattro giorni. L’amarezza che ho provato nel seguire il season finale penso non abbia eguali nella mia esperienza seriale. Sarebbe meglio però fare un distinguo; ero fortemente scosso per la conclusione della vicenda e per la crudezza con cui ci è stato mostrato il suicidio. Tuttavia, mi ha sorpreso in modo negativo il modo in cui hanno palesemente lasciato tutto aperto per fare una seconda stagione.
Siamo sicuri che sia la scelta giusta?
A livello commerciale forse sì, a livello narrativo mmh. A parte la vicenda di Hannah, tutto resta sospeso, stiracchiato, diluito per arrivare alla durata ideale di un episodio finale da drama series. Non mi è piaciuto. Dobbiamo imparare ad accettare l’idea che una Serie Tv, se può permetterselo, può durare anche solo una stagione, e questo mi sembra proprio il caso. Con un paio di episodi in più avrebbero potuto, a mio parere, sistemare le vicende secondarie in modo definitivo.
Altro nostro difetto: vogliamo di più, sempre di più, anche da qualcosa che magari non ha più niente da offrirci. Non ce la facciamo proprio a dire: “È stato bello, adieu!”
Le riflessioni che però emergono subito dopo il finale sono profondissime. Spingono indubbiamente lo spettatore ad interrogarsi, soprattutto se lo spettatore è della nostra generazione. Una sorta di esame di coscienza offerto da Netflix, affinché ci chiediamo se, almeno una volta nella vita, ci siamo meritati una cassetta.