“Gli anni dell’adolescenza sono i migliori”, dicono. “È al liceo che vi creerete gli amici e gli amori di una vita”, sostengono. La storia di Hannah Baker e Clay Jensen, protagonisti della serie tanto discussa 13 Reasons Why (di cui abbiamo parlato approfonditamente in questo articolo), è una storia che esula da questo genere di lieto fine. Il loro è il racconto di un amore breve, che non lascia marchi sulla pelle ma nel cuore e nella mente. È un sentimento nutrito dal “non detto” e colmo di “e se”. Le azioni di entrambi sono come fumo, si percepiscono ma appannano la vista e fanno lacrimare gli occhi, per poi scomparire senza lasciare traccia. Ormai Hannah ha deciso.
Clay…’Casco’ […] tu non sei come tutti gli altri. Tu sei diverso, sei buono, sei dolce e corretto e […] io non ti merito.
Sono queste le parole che Hannah riserva a Clay, un addio pronunciato da una bocca fatta di metallo, di plastica e nastro per cassette. A esso Clay lega un sorriso ormai scomparso e visibile solo nel ricordo: l’unica cosa a cui potersi aggrappare nella vita. Con esso Clay ci fa rivivere i momenti più belli e tragici passati con Hannah Baker.
È il senso di colpa a prevalere, la paura di non essere accettati!
Sentire la forza e la volontà di reagire essere prosciugate dalla sensazione che il ciclone degli eventi abbia ormai reso ogni cosa sterile, arida, insalvabile. Ecco cosa crede Hannah Baker (nella miriade delle sue contraddizioni): di essere sbagliata e di non meritare l’amore di Clay, che è così puro e gentile ai suoi occhi. Eppure, anche Clay ha commesso molti errori, è davvero così buono come sembra? Lei invece si vede sporca, sfruttata e piegata dalla cattiveria del mondo. Anche se desidera essere felice, si preclude quell’amore che entrambi avrebbero potuto condividere con serenità, perché ormai è troppo tardi. Tutto è irrecuperabile. Ma è questo che si pensa quando si è giovani, no? Che tutto sia la fine, che non ci sia una luce in fondo al tunnel. Le emozioni sono amplificate e ci sembra di impazzire.
In 13 Reasons Why, Hannah e Clay vivono la stessa realtà con due psicologie diverse.
Sono entrambi costretti a vivere sulla propria pelle l’egoismo, la paura, l’inettitudine e l’eccessivo senso di potenza che domina i cuori adolescenziali. Lei però è stremata, cerca di lottare e di ignorare ma ogni volta che riesce a emergere da questo oceano di oppressione una mano la rispinge giù, una mano che porta i nomi di Justin, Tyler, Marcus, Jessica… Hannah si sente una pedina nelle vite altrui.
L’unico luogo sicuro è quel cinema dove ogni pomeriggio va a lavorare, quel posto in cui è sommersa dai pop corn e dove può ridere e scherzare accanto a Clay Jensen, il ragazzo buffo con il casco da bicicletta. Lui è la sua via d’uscita, lei vuole che lui sia la sua via d’uscita e sia la ragione da spuntare nella colonna dei “perché non farlo, perché non togliermi la vita”, una ragione per vivere un amore sincero.
Ma come si è già detto, la loro è una storia di “e se”, di momenti mancati che avrebbero forse potuto fare la differenza.
Questo è il dubbio che attanaglia Clay, che nel cuore della notte vaga per le strade della sua città con la voce della ragazza che ama nella testa, una voce che racconta una storia che lui non riconosce, che non sente di aver mai vissuto perché ha guardato ma non ha visto veramente.
No, io non me ne vado, non adesso né mai!
Nella notte fredda, con la ferita sulla fronte ancora sanguinante, è questo che pensa Clay ogni volta che rivede il volto di Hannah nella mente. Ogni volta che rivive quella sera in cui non è rimasto quando lei lo ha cacciato con gli occhi pieni di lacrime e le labbra tremanti, il corpo tremante, come se avesse paura anche di lui. Ma chi era Clay Jensen quella sera? Un ragazzo. Ecco che ritorna, come una litania, la condanna che il tempo ha sentenziato per questi due amanti: che tutto accada troppo presto, in un’età in cui nulla è abbastanza e non vi è certezza.
Clay ha avuto paura proprio come Hannah, ed è per questo che prova rabbia e rancore.
Ma sono molti i sentimenti che Clay Jensen, colui che avrebbe voluto essere un eroe ma che si è scoperto un comune mortale ingenuo, avverte dentro di sé ascoltando le cassette che Hannah ha scritto con il suo smalto blu preferito.
Clay sente la rabbia ribollire verso sé stesso e verso la ragazza poiché lei ha lasciato la presa, prova rancore per coloro che le hanno fatto del male e prova rimorso ricordando i bei momenti accompagnati dalle note di The Night We Met.
In questo modo capisce di non aver mai conosciuto realmente la ragazza.
Solo ora vede la vera Hannah, ciò che c’era dietro i sorrisi e ancora una volta si sente in colpa per non essere intervenuto, per non aver capito e non essere stato la sua luce alla fine del tunnel.
Ciò che all’inizio 13 Reasons Why mostrava come l’evoluzione di una relazione semplice, fatta di battute e risate tra un ragazzo e una ragazza che da estranei sono diventati amici e hanno poi iniziato a provare qualcosa di più forte, scompare. Anzi, è proprio quella sincerità che avrebbe dovuto rappresentare il Deus ex Machina della loro tragedia a voltare loro le spalle, impedendogli di comunicare.
La storia di Hannah Baker e Clay Jensen non è la storia di un grande amore, ma una storia interrotta.
È lasciata incompiuta e i due amanti non hanno avuto la possibilità di fuggire insieme felici, ma hanno visto le loro strade separarsi a causa di un percorso disseminato di ostacoli spezzati e non superati.
Tutto ciò che rimane è solo un grande “e se”. Più precisamente: e se fossimo stati adulti? Clay l’avrebbe capita? Hannah avrebbe aspettato? Sarebbero stati più forti? Non vi è una vera risposta, ma solo un’opzione che tormenta Clay nel profondo e che oscura il sole della sua adolescenza rubata da un evento inatteso.
Ma c’è un momento, quel momento in cui Clay deve smettere di premere ‘play’ per rivivere i momenti del passato tormentandosi.
È il momento in cui dover mettere da parte il registratore e renderlo un monito per il futuro, per imparare a capire e affrontare la realtà senza voltarle le spalle, portando nel cuore il sorriso e il ricordo di Hannah Baker, la ragazza che, nonostante tutto, lo ha amato sinceramente.
Con la sua sceneggiatura non originale, Brian Yorkey porta in vita due dei personaggi più problematici di Jay Asher, sottolineando come anche i piccoli gesti (un saluto, una carezza o un invito) sono in realtà fondamentali per la felicità di una persona, per sollevarle il morale e farle capire di essere amata.