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Justin Foley: più ci provi, più la vita ti tira giù

13 Reasons Why
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ATTENZIONE: QUESTO PEZZO CONTIENE SPOILER SULLA QUARTA STAGIONE DI 13 REASONS WHY

È il finale di 13 Reasons Why. C’è il ballo dell’ultimo anno ma Justin Foley non vuole andarci. L’influenza l’ha messo al tappeto. Ma per un attimo si sente meglio. Indossa il suo vestito bianco e si reca lì, al centro della pista da ballo, per scatenarsi con la sua Jessica. Lo fa per lei, per i suoi amici ma soprattutto per sé stesso. Perché vuole esserci. E poi succede. Gli occhi vuoti e confusi, la testa pesante, il corpo che non risponde più ai comandi, le mani tremanti. La caduta. La diagnosi inaspettata, i suoi ultimi istanti di vita, le lacrime, la morte.

Non lo meritava, non dopo il suo percorso in 13 Reasons Why.

È vero, non lo abbiamo amato all’inizio. Lui ha scatenato tutto con quel suo maledetto sorriso. Se non avesse chiesto di uscire ad Hannah Baker, scattato quella foto e messo in giro brutte voci su di lei, niente sarebbe successo. Era arrogante, impulsivo, crudele, sbruffone e prepotente. Insomma, un vero e proprio str***o. Il classico sportivo che si lascia trascinare dagli altri. Ma era solo quello che voleva mostrarci.

Il suo tentativo di essere forte quando in realtà nascondeva una profonda fragilità e una grande sofferenza.

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Justin era solo, abbandonato a sé stesso. Finché non arriva Bryce Walker che lo aiuta nelle difficoltà e lo tratta come un essere umano, non come un rifiuto della società. Si sente così in debito con lui che lo protegge sempre. E questo lo distrugge, lo frantuma in mille piccoli pezzi. Non è Bryce il suo salvatore, ma Clay Jensen. Quest’ultimo non si arrende con Justin, nemmeno quando gli vomita in camera per i sintomi dell’astinenza. E per la prima volta in 13 Reasons Why Justin si sente parte di qualcosa. Clay non è solo un fratello, ma anche la madre e il padre che non ha mai avuto. La sua unica famiglia. È il motivo per cui ritrova la voglia di vivere e la speranza di un futuro migliore. Gli fa capire che cosa vuol dire avere una relazione genuina, naturale e sincera con qualcuno.

Allora ci prova. Inizia il suo percorso di redenzione, con Clay al suo fianco. Il suo esempio positivo.

Glielo dimostra con il suo saggio per il college, con quel “ti voglio bene” detto sul letto di morte, cercando di far entrare più aria possibile nei polmoni. Perché aveva bisogno di dire a Clay che gli aveva cambiato la vita. Che gli ha dato la forza di rialzarsi, di andare in riabilitazione, di ripulirsi.

Grazie a lui decide di dedicarsi a sé stesso, alla sua sobrietà e al suo star bene. Come dice a Jessica:

Questo sono io che cerco di migliorare.

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È felice, ha trasformato i limoni che la vita gli ha dato in limonata.

Ma quando un piatto si rompe, anche se rimettiamo i pezzi insieme, non sarà mai più come prima. Justin è spezzato, tormentato. Avrebbe davvero potuto avere un lieto fine? L’abbiamo sperato, lo volevamo. Vediamo la luce nei suoi occhi quando festeggia il Natale con i Jensen o riceve la lettera di ammissione al college. Ma il destino lo prende a calci nuovamente, più volte, per poi dargli il colpo di grazia. Non basta litigare con Jessica e Clay (il suo colore è il senape). Non basta la morte della madre. Non basta essere stato costretto a vivere sotto i ponti, a prostituirsi per qualche misero spicciolo. Ecco che una malattia, una delle più letali, stronca la sua giovane e tormentata esistenza.

Proprio nel momento in cui era riuscito a recuperare quello che gli era stato tolto.

Justin è un disastro perché la vita lo ha reso tale. Pensa di non meritare di essere salvato, che i suoi problemi rovinano chi gli sta intorno. E anche quando è in lutto per la madre, il suo primo pensiero è proteggere Clay: preferisce non dirglielo per evitare di peggiorare il suo stato mentale. Perché non vuole essere un peso, perché il suo cuore è più grande di qualsiasi cosa e farebbe di tutto per difendere chi ama. È sicuro di aver distrutto la vita a Jessica e magari lo ha fatto inizialmente. Ma non per lei. Perché Justin le ha insegnato ad amare.

Forse il punto è proprio questo. Ancora ci chiediamo: perché mai Justin Foley ha avuto un destino così crudele in 13 Reasons Why? Se così la serie tv voleva lanciare un messaggio potente sull’AIDS, non c’è riuscita un granché. E se era solo per far crescere e maturare Clay, non gli sono bastate tutte le morti precedenti?

La verità è un’altra.

Talvolta il danno è così enorme da non poter essere riparato. Non importa quanto ci proviamo. Non tutti possono essere salvati, soprattutto quando perdono loro stessi. Eppure quel Justin piegato dal destino riesce ancora ad aver impatto sulla vita delle persone che ama. Tutti in 13 Reasons Why lo danno per scontato, lo trattano come se non fosse speciale. Peggio, come un drogato senza speranza. E se ci riservano un trattamento del genere, spesso finiamo per credere a quelle dicerie. Come Justin. Ma il ragazzo non esita a raggiungere Jessica e stare con lei, nonostante ci fosse un uomo armato nella scuola. Non esita a mettersi in primo piano nella rivolta degli studenti o a pedinare Tyler (qui un approfondimento sul personaggio) per paura che faccia nuovamente una sciocchezza. Non esita a sostenere uno Zach alla deriva, a voler bene a un Clay che non fa che attaccarlo.

Solo quando lo perdono capiscono quanto è fondamentale nelle loro vite. Insegna a loro, a tutti noi, a non voltare mai le spalle a nessuno: non si sa mai quando sarà l’ultima volta che vedremo qualcuno. Ecco perché Justin non è un fallimento, perché meritava di più dalla vita: c’era sempre, anche quando lo affossavano, ed è cambiato in meglio.

È che certe volte non si riesce a scappare da quello che siamo e si soccombe alla vita stessa.

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