Quando 13 Reasons Why fu rilasciato per la sua prima stagione, mi approcciai a quest’opera con un dubbio pressante. Prima ancora che nascessero polemiche e dibattiti, prima che si mettesse insomma in moto la macchina dell’opinione pubblica, temevo di incappare in una Serie adolescenziale. Non ero poi troppo in errore. Ma allo stesso tempo sbagliavo profondamente a ritenere il genere incapace di produrre un’opera di qualità e profondità. Amori e ricatti, amicizie e delusioni sentimentali, fallimenti scolastici e successi sportivi sanno tanto di superficialità.
O almeno, il rischio che il tutto si riduca a sentimentalismo spicciolo è fortemente concreto.
13 Reasons Why però, pur ponendosi pienamente nel solco della tematica adolescenziale, inserisce una drammaticità inusuale che colpisce e spiazza. La prima visione fu per me incredibilmente disturbante. L’orrore perpetrato a più riprese e a differenti livelli (da quello psicologico a quello carnale) mi pose di fronte alla colpa che tutti noi condividiamo. A quella colpa che è perfino di Hannah. L’incapacità di agire e rispondere all’orrore.
Quando ci si trova di fronte a un dramma così profondo, si può provare a rifiutarlo. Si può scegliere di chiudere gli occhi e far finta che non sia mai esistito. Noi come Hannah abbiamo provato a farlo: abbiamo negato a noi stessi una colpa che sempre sentiamo di avere. Quel peccato di omissione che, citando Pasolini, “Non significa fare il male: // non fare il bene, questo significa peccare. // Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto: // non c’è stato un peccatore più grande di te”. E allora di fronte alla consapevolezza del nostro peccato il primo, istintivo passo, è la negazione.
Molti spettatori di 13 Reasons Why si sono fermati qui.
Hanno preferito rifiutare aprioristicamente un racconto che per il fatto stesso di essere finzione deve apparire necessariamente incredibile e irrealistico. Eppure così non è. Lo dimostra il coinvolgimento mondiale di adolescenti e ormai adulti che si sono rivisti in quelle immagini. Forse non in tutte e non in maniera del tutto stringente. Ma anche un semplice gesto, un sorriso beffardo, una frase a tono ha richiamato in loro – e in noi – anni di un passato forse non troppo remoto.
E allora che fare? Che fare se la consapevolezza ci guida ormai? Se sappiamo di essere stati carnefici anche per il semplice fatto di non aver mosso un dito? La scelta è stata spesso la giustificazione. Perché neanche Hannah è esente da colpe: in lei c’è una debolezza che la porta a esasperare la situazione e a mostrarsi incapace di reagire. Ci fa rabbia, Hannah.
Ci fa rabbia forse perché in parte in quell’inerzia rivediamo anche noi stessi. E intimamente ci odiamo.
Ci odiamo perché adesso siamo forti ma a quell’età siamo stati deboli e in balia di bisogni sociali, di desideri di appartenenza e apprezzamento da parte degli altri. E allora Hannah diventa proiezione di quella parte adolescenziale di noi che vorremmo non fosse mai esistita e, probabilmente, vorremmo non esistesse tuttora.
Non è un caso che anche la controparte femminile del pubblico mostri un apparentemente inusuale astio nei confronti della protagonista. Anzi, possibilmente è ancora più critica nei suoi confronti. Forse perché l’inettitudine della ragazza non è altro che un eterno memento alla nostra inettitudine e alle difficoltà che abbiamo affrontato per superarla e uscirne forti e maturi.
Ma a quell’età forti e maturi non lo si è, non lo si può essere.
Si è fragili e in balia di un cambiamento interiore (e fisico) che si comprende solo parzialmente. Il mondo degli adulti è ancora distante eppure non più precluso e le preoccupazioni di tutti i giorni si amplificano in un micro-cosmo, quello scolastico, fatto di piccoli arrivismi e vendette, invidie e gelosie, affronti e offese. Non è più il tempo dell’innocenza.
Le pulsioni più incredibili arrivano a scuotere l’interiorità di ogni ragazzo e i drammi della nostra società si riflettono in una dimensione adolescenziale crudele e senza scrupoli. Hannah non va giustificata ma neppure crocifissa perché nelle sue debolezze ci sono le debolezze naturalissime e reali di un’adolescente che cerca di essere accettata. Se allora né il rifiuto né la giustificazione hanno ragioni che tengano, la rabbia nei confronti di 13 Reason Why è ugualmente fuori luogo.
Non si può criticare una Serie perché mette in scena in maniera cruda una storia verosimile.
Certo, può esserci forse una qualche esasperazione che porta a calcare la mano su determinati comportamenti. Emergono rappresentazioni di ragazzi senza scrupoli, egoisti e arrivisti. Ma riflettiamoci bene: non era forse questo il drammatico mondo quotidiano in cui anche noi ci siamo trovati a dover sopravvivere anni fa? Non è tutto bianco o nero, ovvio. Ma quegli atteggiamenti di rifiuto apparentemente insignificanti, quell’isolamento del diverso che passa da semplici sguardi di disgusto o sorrisetti maliziosi, prima e più ancora della violenza carnale, rappresentano un logorio emotivo costante.
Se 13 Reasons Why ha dovuto condensare per evidenti ragioni narrative comportamenti che si susseguono per mesi se non per anni, riusciamo a immaginare il logoramento di chi costantemente deve subire questa aggressività passiva? Forse non del tutto se non proviamo a calarci in quella realtà o se non ci siamo mai trovati ad affrontarla.
Ma se anche ci riusciamo, a questo punto in alcuni di noi subentra una sorta di razionalizzazione del problema che ci porta a ridimensionare la questione.
In fondo, problemi d’adolescenza. Niente più che fasi, certo dolorose ma condivise, destinate a finire. In questa logica Hannah sarebbe più vittima di se stessa e della propria debolezza implicita che di un altrimenti incomprensibile accanimento nei suoi confronti. Ma anche questo tentativo di toglierci il peso della colpa a ben vedere risulta vano.
Perché il mondo scolastico e quello adolescenziale sono nient’altro che l’atrio d’accesso all’età adulta e alla società. E in quell’arrivismo quotidiano come non poter rivedere lo stesso atteggiamento in ambito lavorativo? E nelle invidie? Nelle gelosie esasperate di relazioni sentimentali morbose e mal costruite?
Non si tratta di una “fase” se non si opera attivamente per correggere certe tendenze. Non verrà da sé il superamento di certi comportamenti e modi di agire. Anzi, risulteranno semmai sempre più accentuati perché ben radicati proprio nella fase di formazione del ragazzo. Insomma, l’adolescenza non può essere relegata a momento di momentanea follia prima del rinsavimento dell’età “matura”. Semmai è un’espressione amplificata di discrasie che corrodono la nostra società.
Ma allora 13 Reasons Why ha ragione di suscitare tante polemiche e dibattiti?
Per certi versi il fatto stesso di aver colpito tanto l’immaginario collettivo (pensiamo soltanto ai meme che ne sono derivati o alle espressioni d’uso ormai comune) è già una dimostrazione di quanto l’opera abbia la capacità (e quindi il merito) di provocare. Di metterci di fronte a una realtà che neghiamo, giustifichiamo, razionalizziamo ma che dentro di noi, in quella strana aggressività che ci prende tutti e che indirizziamo verso Hannah o verso la serie in sé, sappiamo essere qualcosa di concreto.
Ben vengano le polemiche, le critiche, i dibattiti perché significa che si è colpiti nel vivo. Starà poi a noi avere la maturità per comprendere le ragioni che ci spingono a parteggiare per una parte o per un’altra. E quest’ultimo passaggio, purtroppo, è tutt’altro che scontato.