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13 Reasons Why: la recensione dell’ultima stagione – Troppe cose dette, troppe cose non dette

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Alla fine l’importante è sopravvivere. Nonostante tutto quello che nelle tre stagioni precedenti è accaduto, è rimasta una sola cosa fondamentale da fare. Sopravvivere. L’ultima stagione di 13 Reasons Why ha chiamato a raccolta il passato, il presente e il futuro. Nell’incastro dei tempi abbiamo trovato molte cose negative e, scavando, anche cose positive.

Nell’analisi oggettiva di Tredici non si può prescindere dal partire dall’inizio, soprattutto quando questo inizio si sposa perfettamente con la fine. La morte di Hannah Baker, le violenze subite e perpetrate, i puntuali incontri con la fine e ogni ricominciamo detto tra i denti, come a nascondere qualsiasi spiraglio di felicità. 13 Reasons Why è stato questo dalla prima fino all’ultima stagione, non si è mai tradita. E sicuramente è stato tutto questo a creare quel surrealismo che si è portata dietro, che l’ha fatta diventare persino pesante a lungo andare, che l’ha allontanata sempre di più dalla realtà.

La prima stagione, quella che è stata costruita per funzionare e per essere funzionale a un nobile scopo, ha dato il via e da lì Tredici non si è voluta fermare. Sembra quasi che da lì abbia perso il suo obiettivo originario e ne abbia creato un altro durato fino al penultimo episodio della quarta stagione. Come se il romanzo avesse preso il sopravvento sullo scheletro della trama. Quest’ultima sfilza di puntate ha seguito il secondo obiettivo, ritrovando la vera natura della serie solo nell’ultimo episodio, a un passo dall’addio.

Da Hannah a Bryce a Monty e da Monty a Justin, ogni morte ha avuto il suo significato, tutte hanno rivelato dei segreti e ne hanno costruiti degli altri. Su questo 13 Reasons Why non ha mai tradito se stessa, è sempre stata fedele alla crudeltà e alla malinconia che in ogni personaggio si trasforma in qualcosa di diverso.

Ciascuno studente ha dato il suo contributo nella creazione di quel caos che pian piano è diventato insostenibile, e non solo loro. Tutta la serie per come è stata costruita non ha voluto dare speranza, fino al penultimo episodio appunto.

L’ultimo ha cercato qualcosa che forse doveva essere cercato molto prima. L’unità di un gruppo che fino ad allora è stata solo apparente, nel finale diventa ossigeno. Il continuo puntarsi il dito a vicenda nelle stagioni precedenti e ripreso anche in quest’ultima è stato forse deleterio, ha permesso l’allontanamento da una realtà che sicuramente è contaminata e marcia, ma lo è con una sua terrificante coerenza, che in Tredici troppo spesso è mancata.

Eppure separarsi da un prodotto come questo non è semplice. Nonostante tutto, ha permesso a molti temi considerati fino a poco tempo fa dei tabù di emergere e in qualche modo ha dato la possibilità di potersi confrontare con demoni nascosti.

13 Reasons Why

C’è un altro aspetto secondo me che deve essere considerato, il tema dell’ultima stagione è forse uno dei più adeguati che si potessero usare per concludere la serie. Clay Jensen che si trova di fronte a tutte le sue paure concentrate dentro e di fonte a sé ha un significato importante, ma anche questa volta parliamo di un tema delicato, difficile da rappresentare visivamente.

E in fondo il discorso finale di Clay è il riassunto perfetto di quello che abbiamo visto accadere. Alla fine ci si chiede se si riuscirà a sopravvivere dopo aver fronteggiato la morte così tante volte, dopo aver visto così tante morti e dopo aver pensato che ogni giorno in quella scuola sarebbe potuto essere l’ultimo. Qui sta la forza e purtroppo anche la grande debolezza di questa serie.

Appare chiaro come sia impossibile proporre un prodotto del genere a vittime di violenza o a chiunque sia direttamente o indirettamente coinvolto in eventi che nella serie vengono citati. Siamo di fronte al racconto adolescenziale di eventi visti con gli occhi di ragazzi, quindi molto spesso distorti e manipolati. Non parliamo di certo di un documentario per cui è molto difficile dire a chi sia rivolta 13 Reasons Why e quale tipo di reazione universale può provocare. Ma possiamo dire che questa stagione ha ritrovato il suo potenziale nell’ultimo episodio, quando per la prima volta in quattro estenuanti capitoli si nota davvero l’unità e l’omogeneità di un gruppo, e soprattutto un minimo spunto di speranza nel futuro che prima di allora era mancata.

Si chiude con il passato delle morti, di Hannah, Bryce, Monty e persino di Justin, e da qui sembra iniziare un capitolo tutto nuovo, finalmente.

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