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Il problema principale di 1899 è l’asfissiante paragone con Dark

1899
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E’ impossibile dimenticarsi di quei momenti, al cinema o in televisione, davanti ai quali noi spettatori rimaniamo totalmente spiazzati. Confusi, irretiti e persi dentro una narrazione che sembra scavalcare il media e diventare un tutt’uno con la realtà attorno a noi. Dove l’unica cosa sensata da fare sembra semplicemente chiederci come siamo finiti a guardare qualcosa che non comprendiamo fino in fondo e che nonostante questo ci intriga profondamente. E’ successo con Dark, popolarissima serie tedesca andata in onda su Netflix nel 2017, ed è successo di nuovo con 1899, la sorella più giovane e non per questo inesperta sbarcata da poco sulla stessa piattaforma. Che Baran Odar fosse un genio l’avevamo già capito, ma non ci era ancora chiaro il quanto. E adesso lo sappiamo, perché il problema principale di 1899 è l’asfissiante paragone con Dark. Niente di più, niente di meno.

1899
1899 (640×360)

Se è vero che in 1899 non serve stilare un intricato albero genealogico anche solo per comprendere i fondamenti della trama, questo non vuol dire che la nuova serie tedesca su Netflix si lasci guardare tranquillamente. Tutt’altro, aggiungeremo. Perché nonostante si senta profondamente il tentativo di 1899 di aprirsi un po’ di più ad un pubblico stratificato allontanandosi da una caratterizzazione “di nicchia”, rimane la sorella di Dark. E se Dark era contorta, oscura e quasi nauseante, 1899 lo è allo stesso modo. Per dei motivi completamente diversi.

E’ il 1899 e una nave sta attraversando l’oceano Atlantico. La Kerberos, portante un nome che evoca l’atmosfera infernale che si cela al suo interno, potrebbe essere un’imbarcazione come mille altre: viaggia dall’Europa verso New York ed è carica di immigrati. Provenienti da tutte le parti del mondo, diversi per etnia, estrazione sociale, lingua ed età. Eppure tutti indissolubilmente legati da un obiettivo comune: la speranza di una vita migliore al di là del mare. Se pensavamo di poter stare tranquilli con la nuova creazione di Baran Odar, si impiega davvero poco tempo per accorgersi che in 1899 di concreto c’è solo il legno che ricopre le pareti delle cabine. E forse nemmeno quello. Le atmosfere sono cupe e spettrali, l’ambientazione non è da meno (forse così riuscita anche grazie alla popolarissima paura del mare e di che cosa si cela al di sotto della superficie, la talassofobia). E la storia? Beh, la trama di 1899 si può riassumere con una sola parola: inganno. Perché all’interno della serie la preoccupazione minore è rappresentata dalla natura esterna. E’ il dentro, ciò che dovrebbe proteggerci, a far paura davvero.

1899 (640×360)

Due navi gemelle, dove una ha subito una sorte sconosciuta e possibilmente tragica. Sulla scia del Titanic e della sorella più fortunata Olympic, la Kerberos viaggia portandosi sulle spalle il peso della nave Prometheus, scomparsa sulla stessa rotta qualche mese prima e non ancora ritrovata. Una nave che porta un altro nome dal dubbio significato, che ad un certo punto ricompare e che da inizio ad una storia piena di mistero, dubbi, punti oscuri e tanta, tanta confusione. Una nave che richiama un inquietante caso vero di cronaca , quello della sparizione della Mary Celeste, e che da perfettamente l’idea del senso profondo della serie. Due navi, due storie. Una realtà, due realtà. Verità, finzione, o addirittura entrambe le cose? Perché sì, è vero: in 1899 si capisce molto poco, e quello che si comprende si fatica a dargli una forma di senso. Esattamente come in Dark, arriva un punto in cui lo spettatore deve accettare di trovarsi all’interno di una narrazione più grande di lui e, mai metafora fu più azzeccata, lasciarsi andare alla corrente. Con il rischio concreto di urtare un iceberg.

Non è che in 1899 non ci siano problemi, sia chiaro. Qualcuno potrebbe criticare a ragion veduta la costruzione della trama troppo complessa, che alla lunga non solo può stancare lo spettatore ma finire per perdersi all’interno di se stessa; e con lei il senso fondante che la serie di Netflix vuole trasmettere.

Il punto è che Dark e 1899 sono due prodotti gemelli, quasi a specchio, eppure profondamente diversi. Con una prima differenza fondamentale: se Dark mirava ad una, per quanto complessa, risoluzione, 1899 per il momento trascina verso il fondo.

Dark (640×360)

Forse è sbagliato paragonare una serie da tempo conclusasi (magistralmente, aggiungeremmo) con uno show appena nato, che ha ancora tanto da regalare e mille sviluppi possibili nel futuro. Eppure è difficile non farlo, anche se come in questo caso risulta una discussione sterile: Dark e 1899 in qualche modo si completano e si perdono l’una nell’altra (è anche facile per i fan riconoscere strutture narrative simili); hanno anche in comune l’elemento della musica, che fa da padrona durante la visione finendo per rubare la scena alla narrazione. Narrazione sempre e comunque inattendibile, che come già detto prima chiede un patto di fiducia con lo spettatore, un affidarsi a un qualcosa di esterno e sconosciuto. Ma sempre e comunque tremendamente affascinante.

Dark e 1899 sono entrambi prodotti contorti, tanto da mettere a disagio: non si sa mai che cosa aspettarsi. Entrambi ci hanno anche fatto capire che non c’è limite alla paura: se Dark insegna che non c’è cosa più spaventosa del tempo, 1899 rimane più con i piedi per terra. E ci insegna a non fidarci neppure di quello che vediamo allo specchio.

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