“Ma la terra gli fu portata via Compresa quella rimasta addosso
Fu scaraventato in un palazzo, in un fosso
Non ricordo bene Poi una storia di catene, bastonate
E chirurgia sperimentale
Com’è profondo il mare
Com’è profondo il mare”.
Profondo tanto da inghiottire 1899, gli ultimi mesi del secolo, le sue navi, la generazione perduta dei diciottenni nati nel 1899 e destinati al massacro nel penultimo anno della Prima Guerra Mondiale. Il ciglio del passaggio del secolo, il cornicione su cui camminano i personaggi di questa serie.” La mente è più estesa del cielo perché, mettili fianco a fianco, l’una conterrà l’altro. La mente è più profonda del mare perché tienili azzurro con azzurro, l’una assorbirà l’altro come fanno le spugne nei secchi.”
Una filastrocca in rima (in originale) che accompagna le primissime immagini di 1899.
Il vortice del mare è pronto a inghiottirci e farci perdere nei mondi simulati, reali, proiettati degli stessi creatori di Dark Baran bo Odar e Jantje Friese, che in questa serie avevano iniziato a giocare non coi viaggi nel tempo da aggiungere alle classifiche delle varie serie TV che ne hanno fatto uso, ma con le finestre nascoste tra un mondo pensato e l’altro.
Spin-off e dintorni
Non proprio spin-off, non nel significato originale. Non ci sono personaggi, se non attori (Andreas Pietschmann), che nascono da Dark per ritrovarsi alla fine del primo secolo dell’età moderna. Odar e Friese portano spin-off del loro multiverso, matrioske di simboli e frasi ricorrenti, la loro visione del mondo seriale e spunti da film che non è detto siano stati pensati, ma forse generati autonomamente da uno o più dei tanti piani temporali in cui abitano. 1899 è un viaggio di una Torre di Babele navigante, la nave Kerberos che trasporta i migranti europei verso la luce della fiaccola che li avrebbe accolti nel Nuovo Mondo. La nave Cerbero a guardia degli inferi dai quali provengono, le tre simboliche teste a guardia dei peccati capitali che i passeggeri trasportano assieme alla speranza di trovare un futuro, un sogno che diventi realtà. Wake up, la frase che ricorre negli otto episodi. Abre Los Ojos, apri gli occhi, svegliati, come nel bel film di Alejandro Amenábar.
Svegliarsi dal sogno o dal sonno che nella radice della parola originale si comprendevano, erano la stessa cosa. L’uno conterrà l’altro come recita la filastrocca iniziale. Daniel (Aneurin Barnard) che insegue la memoria della moglie Maura (Emily Beecham) nei loro incontri nei vari mondi progettati dalle loro menti, un Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Se mi lasci ti cancello, il peggior titolo italiano mai scelto per distribuire un flim), la mente senza macchia, senza ricordi. Gli universi costruiti dalle menti delle anime che si affannano tra botole e navi fantasma possono essere generati solo senza ricordi che li identificano. Il disturbante è la memoria che si insinua nelle simulazioni, la mente senza ricordi non riesce a sopravvivere a lungo e auto genera suggestioni, eroina di ricordi. I passeggeri della nave Kerberos sono legati a filo doppio alla nave fantasma Prometheus che ha inghiottito nel suo mistero i suoi viaggiatori. La nave Kerberos diventerà spettatrice di un undici settembre quando i suoi passeggeri si getteranno in mare come tanti Lemmings suicidi. Resteranno in pochi, forse i ricordi di qualcuno? May your coffe kick in before reality does, l’altra frase ripetuta, letta, stampata nei libri che torna negli episodi quasi come l’ossessiva All works and no play makes Jake a dull boy di Shining.
Prima della realtà
Il sonno della ragione genera mostri secondo Goya, ma anche secondo i creatori di 1899. La mente più estesa del cielo genera il sogno, dal sonno profondo, più profondo del mare. Questo è quello che c’è prima della realtà? Forse. Le navi sono navi o sono altro, il mare è mare oppure è altro? Il 19 ottobre 1899 non è un giorno come un altro, è l’incontro tra il perturbante e la realtà prima che diventi realtà. Il vero dal falso lo decidiamo noi, spesso inconsapevolmente, come per i passeggeri delle navi mitologiche che attraversano tutti i mondi possibili creati da loro stessi.
Vale la pena vedere 1899, anche se non ha seguito, non perché si può considerare uno spin-off sui generis ma per capire quanto possa essere profondo il nostro mare, la nostra capacità di generare sogni e mostri, di recuperare i ricordi e scinderli dal sonno della ragione, di individuare quello spicchio di distanza tra il dopo ed il prima della realtà. Una serie interrotta può servire ad attivare il drone dell’immaginazione, farlo alzare in volo nel cielo o nella mente. Non fa differenza, perché l’uno contiene l’altra.