In Mediterraneo, film di Gabriele Salvatores, si dice che la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi in tempi avversi. Spencer Dutton, una delle anime più carismatiche in 1923, ha inseguito la fuga come un cervo che si ritira al buio per leccarsi le ferite, come l’unico luogo in cui riconoscere la sua stessa ombra. Le sue ferite, così laceranti, provenivano da una guerra combattuta in prima linea tra una trincea e l’altra, a quattro passi da un inferno deplorevole come le armi usate per ferire i nemici. La prima guerra mondiale aveva il volto del diavolo e Spencer ha rischiato di essere risucchiato da quel male, ma, una volta uscito dall’inferno impregnato di puzza di morte, ha cercato di ritagliarsi una nuova vita senza destinazione, immaginando di poter essere soltanto un uomo diverso da quello che era: adesso è importante recuperare la parte del suo ego che ha perduto, come recita una lettera di sua zia Cara.
La fuga di Spencer in 1923: Dall’orrore della prima guerra mondiale all’Africa
Così Spencer ha cercato la sua fuga e i pezzi della sua anima tormentata in Africa, in un posto lontano dove mischiare le sue idee alla stanca e perpetua solitudine. Ma per lui il dolore della solitudine non sarà niente in confronto al dolore che sentiva un tempo, quando i suoi fratelli soldati cadevano come foglie stanche lungo i percorsi acerbi segnati dal sangue. 1923 non ci dona moltissimi flashback, ma i pochi frame bastano per capire quanto la guerra abbia segnato Spencer e quanto sia entrata a gonfie vele nella sua mente anche durante i sogni più puri della notte. In Africa è un cacciatore di animali feroci su commissione ma gli incubi post traumatici fanno riemergere gli orrori dei combattimenti affrontati durante la prima guerra mondiale, e a questo si aggiunge la morte del suo collega indigeno per far disegnare a 1923 un quadro grigio come il fumo sparso nei cieli. Dov’è la speranza? E soprattutto, esiste la speranza?
L’altro grande tormento che morde Spencer alle caviglie si chiama lontananza, quel burrone enorme che si staglia tra noi e le persone che amiamo, e che ci spinge a credere che l’unico salto per evitare la caduta nel fosso sia il sacrificio – Sacrificio per Spencer significa tornare a casa per salvare i suoi cari da una fine precoce, in un posto che aveva quasi del tutto dimenticato. La fuga verso casa occupa buona parte del percorso di Spencer in 1923, dalla prima lettera inviata a sua zia Cara al disastro che lo vede protagonista sulla nave diretta verso Londra. In tutto questo tempo sembra quasi che Spencer sia stato perseguitato da una cruda maledizione, da eventi avversi che vogliono testare e mettere alla prova il suo grande coraggio, quasi come se dovesse rispondere alla chiamata di un Dio trascendentale. Spencer risponde colpo dopo colpo come un pugile che non vuole finire al tappeto, come chi, provato da una vita fin troppo amara, capisce che in guerra ti senti più vivo quando stai per morire. Così, mentre la morte viene a bussarlo sotto mentite spoglie, prima con il volto di un leopardo nei deserti dell’Africa, poi con le sembianze di un mare bastardo che fa precipitare a fondo la sua imbarcazione, Spencer grida al mondo che il suo destino non è nelle mani altrui, e nemmeno la sua fine. A questo punto l’immagine più giusta per descrivere Spencer e la sua avventura è la seguente: naufragato e in mezzo al nulla, Spencer si siede sulla sua imbarcazione a fissare il sole e, mentre spaventosi squali tentano di incutere timore, dirà: “La mia fine non è oggi”.
Spencer deve tornare In America per regolare i conti una volta per tutte
Intanto a casa lo aspettano come un messia, come colui che può decidere le sorti di un’altra guerra, quella che si consuma tra mandrie e sceriffi, la stessa in cui la famiglia Dutton è in serio pericolo dopo una faida per il controllo dei territori. Spencer avrebbe voluto piantare tutto e ricominciare da capo, spezzare i fili con una trama già conosciuta, e godersi il primo sole del mattino con Alex, quell’angelo conosciuto nell’inferno della sua esistenza, e forse l’unica donna che sappia mettere in bilico i suoi sentimenti. Ma alla fine, il protagonista di 1923, ha scelto di tornare a pagina 1, a solcare mari e tempeste per risentire il profumo dell’erba che cresce sulle strade del Montana perché il tempo guarisce tutte le ferite, persino quelle più dolorose. Spencer ha cercato il coraggio nella paura, smorzando ogni tipo di difficoltà e, restando nell’isola dell’oblio, ha galleggiato anche tra le onde meno innocenti. Dopo la bellissima Elsa, voce narrante di 1883, Sheridan ci ha donato un altro personaggio memorabile, uno di quelli che, proprio come Elsa, muove i fili di una trama intricata e selvaggia quasi quanto i cavalli che corrono al di là del ranch di casa Dutton. Uno di quelli che ha fatto i conti con la sua stessa libertà.
Fuga è l’unico mezzo per sentirsi vivi ma per Spencer è arrivato il momento di fermarsi: 1923 si chiude con Spencer che è obbligato a sbarcare da solo, e con una lettera che ha l’indirizzo dei Dutton stampato in prima linea come il marchio più importante della vita. Il Montana è più vicino. Casa è più vicina. Non è più senza destinazione l’avventura di Spencer, l’uomo perseguitato dalla maledizione.
“‘Non sapevo nulla dell’orrore che si nasconde nell’ombra della libertà.” – Elsa, protagonista di 1883 e con un’anima così simile a Spencer.