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ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste imbattervi in spoiler su 1923.
Tanta roba. Abbiamo appena concluso la visione del secondo episodio di 1923 e siamo rimasti senza parole. Ancora una volta, Taylor Sheridan dimostra di essere un maestro della narrazione. Le sue sceneggiature hanno un respiro ampio che somiglia moltissimo a un fraseggio musicale. Sembrano le arie di un’opera lirica: iniziano in sordina, si aprono con un crescendo, esplodono in momenti di drammaticità assoluta e si chiudono lasciando un’eco che risuona a lungo nella mente dello spettatore.
Ogni puntata di 1923, a cominciare dalla prima di questa seconda stagione, sembra una composizione sinfonica. In cui le voci dei personaggi si alternano come strumenti di un’orchestra. Il violino teso e vibrante del destino di Spencer, la melodia malinconica di Alexandra, le note aspre e profonde del Montana in inverno, il ritmo tribale della fuga di Teonna. E poi il contrappunto brutale di Donald Whitfield e Banner Creighton, che aprono l’episodio con un dialogo che sa di minaccia e di ambizione.
Un futuro che divora tutto

L’episodio si apre con Whitfield e Creighton, due uomini diversi ma accomunati dalla stessa fame di potere. Il primo è un predatore raffinato, il secondo un bruto che ancora fatica a comprendere le regole del gioco. Whitfield gli fa notare che un semplice verme ha distrutto la sua mandria di pecore: un dettaglio insignificante agli occhi di molti, ma non ai suoi. Lui non si interessa di greggi e pascoli, ma di oro e di ciò che ha veramente valore per il futuro. Come l’adrenalina per i ricchi annoiati della città
Mentre parlano, lo sguardo dell’uomo d’affari viene attratto da tre uomini che scivolano sulla neve con gli sci. “Sono norvegesi,” dice Creighton. “Hanno chiesto il permesso.” Ma la mente di Whitfield è già oltre. Lui non è un uomo che chiede permesso, lui è un uomo che prende. “Non hai fretta perché non vedi il futuro,” dice, con il distacco di chi sa già chi vincerà questa battaglia. Perché il futuro non aspetta nessuno. O lo domini, o ne vieni travolto.
1923: ci sono anche i lupi nel pollaio
Al ranch dei Dutton, Elizabeth viene aggredita da un lupo. Un’immagine potente e simbolica: il pericolo non arriva solo dagli uomini, ma dalla stessa natura, come a ricordare che ogni giorno è una lotta per la sopravvivenza. Cara Dutton la medica con la dolcezza di una madre, ma le sue parole, seppur nate da un sincero affetto, sono un coltello nel cuore della giovane donna. “Sei sfortunata,” le dice. E a Elizabeth, che ha già subito un aborto e si è ritrovata più volte a un passo dalla morte, queste parole pesano come macigni. Minano il suo desiderio di restare al ranch, scavando un solco tra la volontà di resistere e la paura di non farcela.
Al termine della puntata, dopo aver subito la violenza di un’iniezione di antibiotici per prevenire la rabbia, tra le lacrime Elizabeth confessa a Cara di non essere più in grado di sopportare oltre. Vuole tornare a casa. Vuole lasciarsi alle spalle il dolore, il gelo, le continue prove a cui questa terra la sottopone senza tregua.
Ma il Montana non è solo un luogo, è una condizione. E Cara, che ha imparato a conoscerne le leggi spietate, le offre una semplice ma profonda risposta: “Resta a guardare come sono le montagne in primavera.” Perché il destino delle donne del ranch è questo: resistere. Non con la forza fisica e nemmeno con le armi, ma con la volontà incrollabile di chi sa che, dopo ogni inverno, la primavera tornerà sempre. Anche quando tutto sembra perduto. Anche quando la terra sembra volerle spezzare.
Spencer e il peso della legge criminale

Spencer Dutton è finalmente tornato negli Stati Uniti. Ma la sua prima tappa non è il Montana, bensì Galveston, in Texas, dove finisce nelle mani della mafia locale. Il giovane palermitano che aveva salvato in mare si rivela legato a un mondo che vive nell’ombra della legge, tra traffici di alcol e giochi di potere. Qui, subito, le emozioni rimandano a Boardwalk Empire, e ti viene immediatamente voglia di un rewatch!
Spencer, con la sua mentalità da uomo di frontiera, non si rende conto di essere entrato in un altro tipo di giungla. Qui, parlano una lingua diversa. E non conta quanto sei forte, conta chi conosci. Il boss lo osserva e lo comprende: sa che Spencer non è un nemico, ma non può lasciar passare il suo comportamento senza conseguenze. Perché nella mafia, come in natura, chi sgarra deve pagare.
Nel frattempo, Alexandra affronta il suo viaggio attraverso una tempesta in mare. Il suo corpo ondeggia, nel transatlantico in balia tra le onde, ma la sua mente è fissa su un solo pensiero: Spencer. Sogna il momento in cui lo raggiungerà, quando potranno costruire insieme la loro famiglia. È incinta, e nella sua fantasia vede già una schiera infinita di figli, la loro stirpe che cresce forte come i Dutton del Montana.
Ma prima deve sopravvivere alla tempesta. E le tempeste, in 1923, non sono mai solo meteorologiche.
Mamie Fossett: la legge in un mondo senza legge
In Oklahoma, la caccia a Teonna continua. Padre Renaud, accecato dalla sua missione di purificazione, si spinge sempre più a sud, accompagnato da due Marshal. Ma sulla sua strada compare una nuova figura: Mamie Fossett, una donna in un mondo di uomini, uno sceriffo che tiene a bada il testosterone dei suoi colleghi e che sembra avere un profondo rispetto per i nativi.
La prima cosa che salta all’occhio nella scena presente in questa puntata di 1923 è la calma e la misura con cui Mamie risponde al tono sprezzante del Marshal Kent. Mamie sa che non può e non deve cadere nella trappola delle provocazioni. E dalla sua dimostra di avere una forza davvero incredibile. Usa un linguaggio semplice, non ricorre alla violenza né alle minacce. Racconta la storia per quella che è, con il vigore di chi sa di essere nel giusto.
Non sappiamo ancora molto di lei, ma già promette di essere uno di quei personaggi destinati a lasciare il segno. Sheridan, ancora una volta, dimostra che la forza femminile non ha bisogno di artifici o stereotipi: basta mostrarla nella sua autenticità.
1923: Storia e storie, filosofia e destino

Ancora una volta, questa puntata dimostra che 1923 non è solo una serie sulla famiglia Dutton. È un’opera che racconta la Storia attraverso le storie. È un affresco sulla condizione umana, sulle sue battaglie quotidiane e sulla sua eterna lotta contro il tempo.
I Dutton non sono eroi, non sono prescelti da qualche volontà divina. Sono uomini e donne qualunque, scelti solo dal caso per rappresentare una battaglia che è sempre esistita: la lotta per il controllo del proprio destino. È la Storia che li ha messi al centro di questa epopea, ma sono le loro scelte, le loro filosofie personali, a determinare se sopravviveranno o saranno spazzati via.
1923 non si limita a raccontare la lotta tra passato e futuro. Ci mostra come ogni personaggio viva la propria battaglia interiore, la propria idea di sopravvivenza. E lo fa attraverso un’immagine che chiude la puntata con un’intensa riflessione. La voce fuori campo teorizza che l’inferno sia sempre stato rappresentato come un luogo di fuoco e fiamme perché i primi a parlarne erano uomini che vivevano in terre torride. Ma la realtà, per chi conosce il Montana, è ben diversa. L’inferno non è caldo. È un fiume gelato con pareti di ghiaccio e un’aria così pungente da lacerare i polmoni.
Ed è proprio questo il senso più profondo della serie: l’inferno non è un luogo remoto, un’idea mitologica. L’inferno è ovunque. È il gelo del Montana che logora il corpo e lo spirito, sono le spiagge assolate del Texas, è il mare in tempesta che inghiotte chi osa attraversarlo. È la solitudine, la perdita, la paura, il dolore di un mondo che cambia troppo in fretta.
Non esiste un solo inferno. Ognuno porta il proprio, lo vive sulla propria pelle, lo affronta come può.
Taylor Sheridan non sta solo raccontando un western. Sta costruendo una tragedia universale, un racconto che parla di uomini e donne, di ambizione e resistenza, di passato e futuro. 1923 non è solo una serie: è un frammento di Storia, di quelle storie che, forse, nessuno ha mai raccontato, ma che hanno determinato il mondo in cui viviamo oggi.
E noi, spettatori del XXI secolo, restiamo immobili, con un’unica certezza: 1923 se non è un capolavoro, poco ci manca.