ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste imbattervi in spoiler su 1923.
Finalmente! Dopo un’attesa lunga e snervante – 684 giorni pari a 1 anno, 10 mesi e 12 giorni esatti – la seconda stagione di 1923 fa la sua trionfale apparizione su Paramount+. Un’interruzione resa interminabile dagli scioperi degli sceneggiatori, ma ora il tempo dell’attesa è finito. Possiamo tornare a seguire le vicende della famiglia Dutton, custodi di un’eredità messa alla prova dall’avanzata inarrestabile della modernità.
Il Montana, con le sue distese implacabili e il gelo che morde la terra, non concede tregua. E come i lupi e i puma seguono la preda nella neve, così gli sciacalli – quelli con volto umano – si aggirano attorno al ranch, pronti a colpire al primo segno di debolezza. In maniera legale o, peggio, illegale. Perché la stagione in cui si apre questa nuova epopea è l’inverno. E l’inverno, si sa, è tempo di predatori.
1923. In memoriam
Dopo il classico riassunto introduttivo, le prime immagini della nuova stagione di 1923 si aprono con un tributo: frammenti della precedente annata scorrono sullo schermo, dedicati a Cole Brings Plenty, l’attore che ha dato vita a Pete, scomparso nell’aprile scorso. Poche sequenze, ma cariche di significato, accompagnate da una musica struggente, per un omaggio doveroso a un personaggio cruciale nella storia di Teonna Rainwater. Lei, la giovane nativa americana interpretata da Aminah Nieves, fuggita dall’orrore della scuola cattolica in cui la sua identità veniva brutalmente cancellata.
E poi, senza soluzione di continuità, la narrazione riprende il suo corso. Il gelo del Montana avvolge lo schermo: distese bianche, montagne imponenti, cieli vasti e silenziosi. Il respiro della terra sembra sospeso sotto il peso dell’inverno. La voce di Helen Mirren, roca di malinconia e resistenza, rompe il silenzio: Cara Dutton scrive l’ennesima lettera a Spencer, aggiornandolo sulla tragedia che incombe sulla famiglia. Il ranch è accerchiato, stretto nella morsa del ghiaccio e degli uomini senza scrupoli. Sporchi raggiri e leggi spietate stanno cercando di strapparlo ai Dutton, come avvoltoi che attendono il momento giusto per ghermire la loro preda.
Le immagini mostrano gli ultimi uomini rimasti, a cavallo, mentre guidano una mandria ormai ridotta all’osso. Poi, un’inquadratura indugia su Cara: lo sguardo fisso sull’orizzonte, incerto e minaccioso come il futuro. La sua voce ci svela la cruda verità: la famiglia è intrappolata. Il gelo e l’isolamento li tengono prigionieri, confinandoli nei confini del ranch. L’inverno ha cancellato i fasti dell’estate: niente più banchetti sotto il sole, solo stufati scarsi e pane raffermo. Sono in letargo, come orsi nelle loro tane, in attesa della primavera. In attesa del ritorno di Spencer.
Il viaggio di Spencer: l’uomo solo contro il destino
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La puntata riprende esattamente da dove si era interrotta. Spencer, interpretato da Brandon Sklenar, è su una nave in viaggio dalla Sicilia verso l’America, nel tentativo disperato di raggiungere il Montana. E, come sempre, dimostra di essere un Dutton fino al midollo: integerrimo, responsabile, pronto a difendere i deboli e a rimettere in riga chi abusa del proprio potere.
Sulla nave, Spencer salva un giovane palermitano dall’aggressione brutale di un marinaio. Ma la violenza subita lascia un segno indelebile nel ragazzo, che decide di porre fine alla propria esistenza. Sul ponte della nave, seduto sul parapetto, è pronto a gettarsi in mare. Spencer, con la sua calma da uomo temprato dalla guerra e dal dolore, gli parla. Gli spiega, senza mezzi termini che una pallottola è più sicura di un annegamento. Alla fine lo dissuade mostrandogli che esiste sempre un’altra via. Il ragazzo ascolta. Si fida e non si butta.
La disperazione li accomuna: entrambi cercano di lasciarsi alle spalle un passato di sofferenza gettandosi in un futuro oscuro e indefinito. E quando il giovane gli propone un modo per fare soldi, combattimenti clandestini nella stiva della nave, Spencer, pur rimanendo diffidente, accetta. Il contrasto tra il codice d’onore dei Dutton e il mondo corrotto in cui si muove è palpabile. Spencer è un uomo di frontiera, in un mondo che sta cambiando troppo in fretta.
Alexandra: una prigioniera dell’antichità
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Spencer non è l’unico a lottare contro il destino. In Inghilterra, infatti, ritroviamo sua moglie Alexandra, uno dei personaggi più affascinanti di 1923. Abbandonata da tutti, rinchiusa in una prigione dorata, ci rendiamo conto di quanto Alex non sia nata per essere pioniera. E che la sua battaglia non sia contro predatori a quattro zampe o strozzini senza scrupoli. Al contrario, lei combatte contro la società che l’ha generata ed è pronta a spezzarla e incasellarla per renderla una moglie obbediente e silenziosa.
Alexandra non è donna da catene, lo abbiamo già visto. In un intenso dialogo con l’amica del cuore, Jennifer, ribadisce il suo bisogno di raggiungere il marito negli Stati Uniti. E per farlo è disposta a tutto. A vendere i suoi gioielli, rischiando la galera. E a viaggiare nella classe turistica della nave che la porterà lontana da tutto e tutti, verso la sua rinascita, dopo esser stata spogliata definitivamente della sua vecchia vita.
Julia Schlaepfer interpreta perfettamente questa giovane donna alla ricerca della libertà. L’intensità con la quale è calata nella parte è toccante, per nulla costruita. Risulta sincera e il suo moto di ribellione ci fa tifare per lei. Ha preso in mano il suo destino, come una pioniera, senza una terra da conquistare ma con la consapevolezza che il mondo non le farà sconti e lei nemmeno.
Teonna: il passato di un popolo e la lotta per il futuro
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Se Alexandra fugge da una prigione dorata, Teonna fugge da una gabbia ben più crudele. Il suo viaggio non è un atto di ribellione personale, ma un grido di libertà che risuona attraverso generazioni. Lei non è scappata solo da una scuola cattolica, ma da un sistema che ha cercato di cancellare il suo popolo.
Nella sua fuga, finalmente al sicuro accanto al padre e a Pete, Teonna si concede un momento raro di leggerezza. Eppure, anche in questo istante di normalità, il peso della storia incombe su di lei. Il dialogo con suo padre è quasi uno specchio in questo 1923: da una parte il passato, la tradizione, il dolore di un popolo che sta scomparendo; dall’altra il futuro, l’amore, la speranza di un domani in cui essere nativi americani non significhi più essere considerati un problema da estinguere.
Il padre di Teonna le parla con affetto, con la fermezza di chi sa che il mondo non è gentile con chi porta il loro sangue. Le ricorda che il matrimonio è sacro, che la loro cultura ha regole, che il sesso prima del matrimonio non è contemplato. Anche se nessuno segue questa imposizione.
Dietro questo dialogo apparentemente divertente si cela un significato più profondo con domande angoscianti. Cosa resta della loro cultura? Cosa sopravvivrà di loro?
Il governo li sta riducendo a mendicanti, privandoli della loro indipendenza, sottraendo loro non solo la terra, ma anche l’anima. Essere nativi americani, un tempo, significava appartenere a qualcosa di grande, a un popolo libero, forte, autosufficiente. Ora significa dipendere da un sistema che li vuole sottomessi.
Eppure, in questo scenario cupo, c’è una scintilla di speranza. Teonna e Pete si amano. Il loro amore è giovane, puro, senza paura. È la prova che, nonostante tutto, qualcosa della loro cultura è ancora vivo. Forse non hanno più la terra dei loro antenati, forse il mondo sta cercando di cancellarli, ma finché esisteranno storie d’amore come la loro, la loro gente non sarà mai davvero sconfitta.
1923 e il progresso: salvezza o distruzione?
Il mondo di 1923 è un mondo in transizione. Il vecchio e il nuovo si scontrano con una ferocia quasi brutale. È un’epoca in cui il passato non vuole morire, ma il futuro avanza inarrestabile. E chi non riesce ad adattarsi rischia di essere travolto.
Il progresso è una spada a doppio taglio. Da un lato, porta comodità, sicurezza, un modo di vivere più semplice. L’elettricità illumina le case, il telefono accorcia le distanze, le automobili rendono i viaggi più veloci. Cara Dutton ne comprende il valore: vorrebbe poter ricevere notizie da Jacob senza dover attendere giornate angoscianti, da sola. Per lei, il progresso è uno strumento, qualcosa che potrebbe rendere la vita meno dura senza per forza cancellare ciò che è stato.
Dall’altro lato, però, il progresso è anche distruzione. Donald Whitfield, interpretato da Timothy Dalton, incarna questa realtà nel modo più spietato possibile. Lui non vede il progresso come una via per migliorare il mondo, ma come un’arma per conquistarlo. Per lui, il futuro è qualcosa che si può comprare. E chi non può permetterselo, è destinato a scomparire.
Il Montana ne è il simbolo perfetto. Un tempo terra selvaggia, dura ma libera, ora è sotto assedio. Gli avvoltoi della modernità si aggirano attorno ai Dutton, pronti a strappare loro il ranch con truffe e leggi ingiuste. Le stesse leggi che hanno permesso l’arresto di Zane, colpevole solo di aver sposato una donna di origini orientali. Perché il progresso, quando è nelle mani sbagliate, non è sinonimo di giustizia.
Un inverno di predatori…
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La seconda stagione di 1923 riprende esattamente da dove si era interrotta, ampliando il racconto e frammentando ancora di più le linee narrative. Un azzardo narrativo che può sembrare rischioso, ma che al tempo stesso arricchisce la storia, dando ai personaggi il tempo di esprimersi e raccontarsi, senza bisogno di scatenare colpi di scena immediati. Ogni protagonista porta con sé un pezzo di questa epopea: Alexandra e il suo viaggio verso l’ignoto, Spencer e la sua lotta contro il destino, Teonna e la memoria di un popolo in pericolo, i Dutton e la loro resistenza contro un mondo che vuole inghiottirli.
Taylor Sheridan, ancora una volta, dimostra di saper tessere una trama che non si affida solo all’azione, ma che lascia spazio alle emozioni, ai silenzi, agli sguardi che raccontano più di mille parole. Il Montana, con le sue distese gelide e la sua solitudine implacabile, non è solo uno sfondo, ma un personaggio esso stesso, un giudice severo che decide chi merita di sopravvivere.
E così, mentre la tensione tra i Dutton e Donald Whitfield cresce, ci rendiamo conto che la loro non è solo una lotta per il possesso della terra. È il simbolo di qualcosa di più grande: il conflitto eterno tra modernità e tradizione, tra il progresso e coloro che tentano di resistergli. Whitfield non è solo un avversario, è l’incarnazione di un futuro che non si può fermare, di un mondo che sta cambiando troppo in fretta per chi non riesce a stare al passo.
…e il destino di 1923
La prima puntata, dunque, non aggiunge elementi rivoluzionari alla trama, ma costruisce un ponte verso ciò che verrà. È un respiro profondo prima della tempesta. Un ritorno a un universo che, pur spezzato in tante linee narrative, mantiene intatta la sua anima. La regia di Ben Richardson è precisa, senza eccessi, le ambientazioni mozzafiato, gli attori impeccabili nel restituire il peso di una storia che non è solo di finzione, ma che parla di America, di lotte reali, di un tempo in cui ogni scelta determinava la sopravvivenza.
E alla fine, la voce fuori campo ci ricorda la dura legge della natura: l’inverno è la stagione dei predatori. Solo i più forti sopravvivono. Gli altri diventano un pasto. Perché il progresso è come l’inverno. Non si può fermare. Può uccidere i deboli, ma chi resiste abbastanza a lungo, chi è abbastanza forte da sopravvivere, vedrà l’arrivo della primavera.
Ma chi arriverà a vedere la primavera? E chi verrà spazzato via dalla tempesta? Le premesse ci sono tutte perché questa seconda stagione di 1923 sia epica.