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Il fascino misterioso di A Discovery of Witches

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Esistono prodotti, nello sconfinato panorama televisivo del ventunesimo secolo, ai quali ci affezioniamo nonostante siano sghembi, difettosi, manchevoli, imperfetti. Show che non sfiorano neanche lontanamente il capolavoro e che però riescono comunque ad attirarci nella loro rete misteriosa, ad irretirci e accalappiarci nelle loro trame ordinarie, prive di slanci e stoccate brillanti. A Discovery of Witches è un po’ una Torre di Pisa delle serie tv: apprezzabile malgrado le storture, bella anche se storta. O forse proprio per quello. La storia è tratta da un romanzo di grande successo, frutto del lavoro dell’accademica e scrittrice statunitense Deborah Harkness, ma la sua trasposizione televisiva è un prodotto che tutto sommato potremmo definire mediamente nella norma. Il mondo del fantasy è stato così rimpinzato negli ultimi anni che qualsiasi proposta rischia di suonare ripetitiva e floscia. Mondi fantastici, creature misteriose ed eventi sovrannaturali, per risultare veramente appetibili ad un pubblico sempre più esigente, richiedono un lavoro che punti ogni giorno di più sull’alta qualità – nell’impostazione narrativa, nella struttura di base, nel lavoro di post-produzione, nella credibilità della trama e così via.

A Discovery of Witches ci prova, ma si incammina verso una strada lontanissima dal capolavoro.

A discovery of witches

Lo show mette insieme una serie di elementi che non per forza starebbero assieme: è un po’ un dramma sentimentale, un po’ un’opera fantasy, un po’ un period drama e talvolta persino un crime sovrannaturale. Ci sono tanti topoi visti e rivisti, strizzati fino all’osso da una narrazione che ha puntato molto sugli amori impossibili e sulle relazioni contrastate. I protagonisti sono un vampiro e una strega, due creature che per legge e per natura non dovrebbero stare insieme, ma che il destino vuole uniti in un legame indissolubile. È la classica storia d’amore contrastata, quella che sfida le leggi della storia e della tradizione per imporsi contro qualsiasi preclusione e tabù. Nel mondo di A Discovery of Witches le creature – vampiri, demoni e streghe – si mescolano tra gli umani senza mostrarsi, nel timore di essere riconosciuti e spaventati dalle loro stesse leggi. Si nascondono, sfuggono, tentano di confondersi.

È un mondo che ricorda vagamente quello della saga di Twilight o di The Vampire Diaries, ma non si indirizza verso la stessa deriva da teen drama.

A discovery of witches

Ha una trama avvincente, benché paghi un inizio un po’ lento. Presenta spunti importanti, ma bisogna saperli leggere tra le righe. Non è un prodotto che resta scolpito nella memoria di chi lo guarda e anzi rischia di finire nel dimenticatoio col passare del tempo. Eppure, c’è qualcosa in questa serie che ci impedisce di abbandonarla al primo episodio. Il successo del primo ciclo di puntate ha fatto sì che venisse confermata la seconda stagione e successivamente la terza, quella conclusiva. La storia ruota attorno alla figura di Diana Bishop, una strega con poteri speciali che è venuta in possesso del ricercatissimo Libro della Vita, un volume antico che tutte le creature cercano perché contiene segreti sulle origini delle varie specie.

Sulle tracce del libro, da secoli e secoli, c’è anche Matthew Clairmont, un vampiro che studia la genetica e che appartiene a una delle più celebri famiglie vampiresche del mondo. Le creature vivono una fase di profonda decadenza. Si sono date una forma di autogoverno attraverso la Congregazione, un’assemblea che riunisce periodicamente i rappresentanti di streghe, demoni e vampiri e che vigila sul rispetto delle leggi e di antichissime tradizioni. Ma l’apparente tranquillità è minacciata da guerre intestine, gelosie, ritrosie al cambiamento. E dalla relazione tra Diana e Matthew, che mette in subbuglio tutta la comunità di creature. Per sfuggire alle grinfie dei membri della Congregazione, i due protagonisti dovranno nascondersi tra le pieghe del tempo, ma le difficoltà aumenteranno man mano che si andrà avanti nel prosieguo della storia.

A Discovery of Witches non è una serie tv sbalorditiva, eppure non è così semplice resisterle una volta iniziata.

È quel guilty pleasure di cui un po’ ci vergogniamo ma del quale non riusciamo a fare a meno. Ma perché funziona nonostante le manchevolezze e le imperfezioni? Perché, malgrado qualche scivolone, la struttura narrativa ha una sua coerenza logica e la storia si lascia seguire. Le beghe interne alla Congregazione, lo sfaldarsi e ricomporsi degli schieramenti interni sullo sfondo, spingono lo spettatore a voler capire come andrà a finire. Il salto nel vuoto tra passato e presente, benché all’inizio crei un po’ di stordimento, alla lunga non guasta e anzi a tratti rende persino più appassionante la visione.

E poi ci sono i due protagonisti, Teresa Palmer e soprattutto Matthew Goode, che abbiamo imparato ad apprezzare in Downton Abbey. La figura del vampiro che ha vagato per secoli sulla Terra tra luci e ombre è capace di irradiare sull’intera serie un fascino misterioso che non ha una sua particolare giustificazione razionale. Piace e basta. E costringe lo spettatore ad andare avanti nella visione anche se lo show non ha nulla di sensazionale. A Discovery of Witches non piacerà mai a un pubblico di grosse pretese, che ne caverà fuori senz’altro incongruenze, punti deboli e contraddizioni. Ma per chi si accosta a questa serie col solo fine di staccare la spina dalla quotidianità e immergersi in una storia sovrannaturale e fantastica, le avventure di Diana Bishop e Matthew Clairmont potrebbero risultare particolarmente coinvolgenti. Questo è uno di quei casi in cui la sospensione dell’incredulità potrebbe generare una sorta di parziale dipendenza.

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