ATTENZIONE: proseguendo nella lettura dell’articolo potreste imbattervi in spoiler sulle tre stagioni di A Discovery of Witches.
Con gli ultimi sette episodi, trasmessi con cadenza settimanale da Sky a partire dal 7 gennaio, si è definitivamente conclusa la serie tv tratta dai romanzi di Deborah Harkness. A Discovery of Witches era approdata sul piccolo schermo nel 2018, attirando l’attenzione di una cospicua cerchia di fan che negli ultimi anni si era affezionata alle vicende della giovane strega Diana Bishop e del misterioso vampiro Matthew de Clairmont. Lo show, realizzato da Kate Brooke, Tom Farrelly, Charlene James e Sarah Dollard e prodotto da Sky Production e Bad Wolf, è la trasposizione televisiva della Trilogia delle anime della scrittrice americana Harkness. Una storia che attinge dal fantasy, ma che si sviluppa attraverso la commistione di più sottogeneri per un risultato che non è sbalorditivo, ma neppure insignificante. Vi avevamo già parlato del fascino misterioso di A Discovery of Witches, del suo essere imperfetta e allo stesso tempo attrattiva. Delle sue manchevolezze e della sua ordinarietà, ma anche di quello strano charme che ha saputo esercitare sulla propria fan base una certa curiosità.
Il terzo capitolo della saga è anche il più breve e probabilmente il meno riuscito.
Avevamo lasciato Diana (Teresa Palmer) e Matthew (Matthew Goode) nella Londra del XVI secolo, a caccia del famoso Libro delle Creature e in fuga dai membri della Congregazione che stavano dando loro la caccia per metter fine all’unione illegale tra una strega e un vampiro. La seconda stagione – la più lunga con i suoi dieci episodi – aveva trasformato A Discovery of Witches in un period drama fantastico, una scelta azzardata ma che alla fine non si era rivelata controproducente. Il capitolo finale della trilogia ha riportato invece i suoi protagonisti nel presente, mettendoli una volta per tutte davanti alla prova finale: affrontare la Congregazione, mettere in discussione il Patto che ha governato le creature per secoli e secoli e provare a imprimere una svolta per il futuro. Il vampiro Gerberto (Trevor Eve) e lo stregone Peter Knox (Owen Teale, il ser Alliser Thorne di Game of Thrones), con le loro mire dispotiche e la loro percepibile insofferenza allo strapotere dei de Clairmonts, si confermano i grandi villain della serie. Ma a loro va ad aggiungersi nel finale Benjamin Fuchs (Jacob Ifan), lo spregevole vampiro trasformato nel 1590 da Matthew e poi abbandonato al proprio destino.
La trama ripercorre lo svolgimento delle prime due stagioni: Diana è la strega destinata dalla profezia a trovare il Libro della Vita e a riportare pace e armonia nel mondo delle creature, ora emarginate, impaurite e costrette a nascondersi e a diffidare le une delle altre. La ricerca del volume scomparso è il topos principale della storia, il fulcro attorno al quale ruotano tutte le dinamiche di A Discovery of Witches, che sin dall’inizio traccia una linea di demarcazione ben definita tra buoni e cattivi. Ma il grande tema di questa serie, la dicotomia che la anima e la pervade sin dal primissimo episodio è la contrapposizione, il conflitto tra due modi di pensiero: uno conservatore, improntato al rispetto delle tradizioni e ostile al cambiamento; l’altro progressista, deciso cioè a scardinare le sacre istituzioni delle creature per proiettarsi in un mondo nuovo, libero dai retaggi del passato.
Non bisogna temere quel che non si capisce: sembra essere questo il messaggio di fondo che A Discovery of Witches vuole lasciar leggere in controluce.
I pregiudizi, le superstizioni, le barriere erette da ciascuna specie a salvaguardia della propria sopravvivenza, sono dannose e deleterie per l’esistenza stessa del Patto. L’amore tra Diana Bishop e Matthew de Clairmont è solo l’innesco di un meccanismo che porterà tutte le creature a rivalutare la propria forma di organizzazione interna. L’unione contrastata tra i due protagonisti diviene immediatamente la metafora di un disagio e di un’avversione più potente, radicata nei modi di pensiero delle creature che osservano il rispetto del Patto. Il cambiamento è invece l’unica cosa certa, suggeriva Philippe de Clairmont (James Purefoy), il capostipite della più potente famiglia di vampiri della storia. Non bisogna avversarlo, non bisogna averne paura. La soluzione dei problemi passa per l’accettazione della diversità, per il ripensamento dei propri rapporti con l’altro, non per la sua eliminazione.
La causa della sofferenza latente delle creature sta nella ritrosia al cambiamento, nella paura che le proprie certezze possano sfaldarsi da un momento all’altro.
Il contenuto del Libro della Vita, supportato dalle scoperte scientifiche sul DNA di streghe, demoni e vampiri, conduce a una conclusione che scardina del tutto i presupposti su cui il Patto aveva retto fino a quel momento: tutte le creature sono nate dallo stesso ceppo, i dissimili in realtà sono simili. Sebbene i rami dell’albero siano cresciuti in maniera indipendente gli uni dagli altri, le radici sono sempre state le stesse. È questo il pericolosissimo lascito contenuto nel Libro, è questo il messaggio che Diana vuole lasciare alla Congregazione, suggerendo la via per riformarla completamente dalla base. Il pensiero progressista vince su quello conservatore. In questo senso, tutta l’impalcatura imbastita dagli sceneggiatori sin dal primo episodio risulta essere piuttosto coerente, sebbene in alcuni punti troppo pretenziosa. Quello che però non convince della terza stagione di A Discovery of Witches è innanzitutto una certa fretta nel giungere all’epilogo definitivo.
Dopo tre stagioni di pathos crescente, il climax degli episodi finali non conduce ad un momento di massima tensione, ma al contrario si affloscia su se stesso, facendo perdere alla storia la forza fino a quel momento acquisita.
La resa dei conti con i due grandi villain dello show – che nella terza stagione diventano tre – è liquidata nel giro di pochi minuti e a risentirne è tutto l’impianto narrativo. Tre stagioni intere di attesa per uno scontro che si consuma con poche battute e qualche incantesimo lanciato senza troppo entusiasmo finiscono per azzerare le aspettative degli spettatori che pure non sono mai state alte. Trasporre sullo schermo una saga di romanzi fantasy non è mai un percorso agevole, specie con l’attuale concorrenza che alza sempre più l’asticella delle pretese del pubblico. La terza stagione di A Discovery of Witches poteva però sfruttare meglio il suo saluto definitivo ai fan.
Molti personaggi non hanno neppure avuto il tempo di essere assimilati per bene dagli spettatori – è il caso di Benjamin, ma anche del vampiro Gallowglass o del giovane Jack Blackfriars -, altri sono stati caricati invece di aspettative che però non hanno trovato seguito nelle pieghe della trama – gli esempi del vampiro Domenico e della potente strega Satu valgono per tutti -. La stessa evoluzione di Diana, personaggio centralissimo nella storia, è stata così frettolosa da apparire poco naturale, quasi forzata e artificiosa. Le speranze di gran parte dei fan della serie – che si erano accostati allo show consapevoli delle manchevolezze e delle imperfezioni – sono andate deluse da un capitolo finale un po’ troppo sbrigativo e superficiale, che non rende onore allo sforzo narrativo di Deborah Harkness.