ATTENZIONE! L’articolo contiene SPOILERS su A Murder at the End of the World.
Quando Agatha Christie incontra Uomini che odiano le donne ecco che nascono i sette episodi di A Murder at the End of the World. La miniserie (disponibile sul catalogo Disney+ qui) con protagonisti Emma Corrin (qui potete trovare sette curiosità sull’attrice) e Owen Wilson è un giallo classicissimo immerso in un’ambientazione glaciale e ai margini del mondo. In Islanda, infatti, la giovane Darby Hart, scrittrice e investigatrice fai da sé, viene invitata a un ritiro esclusivo in cui, però, le cose non vanno affatto come previste. Al meeting segreto ed esclusivo sono state invitate alcune delle personalità più influenti dell’ambiente high tech contemporaneo e non solo. Incluso il suo ex fidanzato, Bill Farrah noto artisticamente come Fangs, e che Darby non vedeva da sei anni. Da quando, insieme, sono riusciti a rintracciare e identificare un misterioso serial killer.
Dopo quell’esperienza che li ha uniti ma anche indelebilmente segnati, ritrovandosi diversi e incompatibili, Darby non ha mai dimenticato Bill inserendolo persino nel suo libro best-seller: The Silver Doe.
All’altro capo del tavolo, Bill la guarda con un sorriso triste, l’ultimo che la ragazza vedrà mai più sul suo volto. La sera stessa, Bill viene infatti trovato morto in una pozza di sangue dalla stessa Darby. Sconvolta dall’accaduto ma anche molto determinata, Darby si rifiuta di credere che si sia trattato di overdose e inizia a indagare. Non tutti, però sono disposti a rivelare i propri segreti, soprattutto Andy Ronson miliardario e filantropo dalla mente tanto visionaria quanto oscura.
Incalzata dal poco tempo a disposizione e dal freddo glaciale, Darby si muove a tentoni cercando disperatamente di trovare il colpevole e vendicare la morte del suo ex amante. Ma più la sua corsa, tra gli asettici corridoi del resort, la lascia senza fiato più gli indizi si confondono gli uni con gli altri facendole dubitare di tutti. Persino di se stessa.
A Murder at the End of the World è un giallo alla vecchia maniera. Un Cluedo ambientato in Islanda in cui, in fondo, le cose sono esattamente quello che sembrano.
La serie tv è l’ultima fatica di Brit Marling e Zal Batmanglij, già creatori di The OA (qui trovate le 5 scene più evocative dello show). A Murder at the End of the World sembra celare chissà quale colpo di scena inaspettato ma a pensarci bene non promette mai nulla. L’errore sta nell’aspettarsi un qualcosa di fantascientifico o onirico, basandoci sul presupposto che gli autori ci hanno sempre abituati a prodotti di questo genere. Fino all’ultima puntata, lo spettatore fa fatica ad accettare che, in fin dei conti, la miniserie sia semplicemente un thriller dall’estetica scandinava (qui vi consigliamo le 5 serie tv scandinave migliori da recuperare).
Esiste un genere ben specifico, proprio dei romanzi polizieschi, che è denominato “whodunnit”(dall’espressione inglese “Who done it?” ovvero “Chi è stato?”).
E di cui A Murder at the End of the World non è che l’ultimo esempio di una lista lunghissima. Il genere “whodunnit” ha radici profonde nella tradizione della narrativa del mistero e del crimine e, sostanzialmente, lo compongono quattro elementi chiave specifici. Il primo riguarda il mistero centrale, vale a dire quell’ evento criminale, di solito un omicidio, che costituisce il nucleo della storia diventandone il punto focale. Il secondo è l”indagine. Spesso, il protagonista è un detective, un investigatore privato o anche un semplice civile che si trova coinvolto nel caso e si impegna a scoprire chi sia il colpevole. L’indagine procede attraverso la raccolta di indizi, l’interrogatorio di sospetti e la riflessione su possibili moventi.
Proprio gli indizi costituiscono il terzo elemento chiave. Possono essere evidenti o sfuggenti e possono essere presentati in vari modi: dialoghi tra i personaggi, descrizioni dell’ambiente, riferimenti al passato, dettagli e manierismi dei personaggi. Nei whodunit, ci sono di solito diversi personaggi che potrebbero essere il colpevole e che rappresentano i sospetti. Questi personaggi sono spesso presentati con moventi, mezzi e opportunità per commettere il crimine. Alla ricerca del colpevole, l’autore della storia crea così un senso di suspence e angoscia che aleggia fino all’ultimo elemento chiave del whodunnit: la rivelazione finale: La fine della storia coincide, infatti, con al risoluzione del caso e la rivelazione sull’identità del colpevole. Questo momento è spesso accompagnato da una spiegazione dettagliata di come il protagonista abbia risolto il mistero, collegando gli indizi raccolti durante l’indagine e svelando il movente del colpevole.
Di questo Poirot è maestro indiscusso.
Nel panorama dei thriller psicologici moderni delle serie tv, il genere whodunnit ha visto una notevole evoluzione e una vasta gamma di approcci. Esistono, però, due caratteristiche che mettono d’accordo la stragrande maggioranza di produzioni. Compresa A Murder at the End of the World. Da un lato protagonisti molto più complessi e sfaccettati, che spesso affrontano dissidi interiori e la cui moralità non si muove solo tra bianco e nero. Dall’altro, anche la narrazione si fa meno lineare con flashback, salti temporali e narrazioni multiple.
Lo show Disney+ presenta entrambe queste caratteristiche e molte altre come l’ambiguità morale, l’inversione delle aspettative e l’esplorazione dei temi sociali.
Soprattutto questo ultimo è la principale chiave di lettura per comprendere lo show e il suo finale. A Murder at the End of the World è un giallo molto lineare, in cui il colpevole dell’omicidio di Bill è identificabile fin dall’inizio dei suoi sette episodi. Nel tentativo di voler pensare (e forse sperare) che ci sia di più, finiamo per incastrarci tra congetture fine a se stesse e colpi di scena inesistenti. Proprio come fa Darby.
La nostra protagonista è restia a credere che la verità sia molto più semplice di quello che pensa. Serve l’input dell’innamorato morto per farle capire che non esistono chissà quali motivazioni recondite e che l’assassino è solo un assassino. I perché servono a poco, forse nemmeno esistono davvero. Ciò che ha mosso le azioni dello spregevole Andy Ronson è solo la consapevolezza di poterlo fare. Un po’ come disse un tale che si chiamava Ted Bundy. Anche in quel caso, le uccisioni avvenivano solo e semplicemente perché Bundy sapeva di poterlo fare.
Senza alcun trauma o motivazione recondita dietro. Il potere di uccidere per il gusto di uccidere. Agghiacciante ma piuttosto lineare e semplice.
Così la motivazione di Andy è, in primis, la gelosia accompagnata da una abbondante dose di superbia. Il fastidio nei confronti di un altro uomo che percepiva come una minaccia e di cui, quindi, doveva sbarazzarsi. Un fastidio, lampante come il sole nell’esatto momento in cui vengono mostrati i due personaggi, seduti alla stessa tavola. Alla ricerca disperata di qualcosa di più che giustificasse la morte di Bill, Darby finisce con il perdersi in un bicchier d’acqua. Quando la verità l’ha sempre aspettata placidamente nello stesso identico posto.
I sette episodi di A Murder at the End of the World trovano quindi nel finale, una spiegazione dell’enigma chiara e lineare. In cui non esiste alcun arzigogolato movente o multiforme motivazione psicologica ma solo l’evidente, scialbo e oscuro animo umano (oltre a una analisi cinica della tecnologia nel mondo moderno di cui abbiamo parlato in questo articolo).