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Il mondo malato di Una Serie di Sfortunati Eventi

Una Serie di Sfortunati Eventi
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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spiacevoli spoiler sulla seconda stagione di Una Serie di Sfortunati Eventi e fastidiosi flash forward sulla terza

Tremano terrorizzati, i Baudelaire. Questo è un mondo malato e loro, appena catapultati senza preavviso e con terribile tempismo nella linea di confine che separa l’età dell’innocenza da quella adulta, non possono far altro che lottare. Sono più forti, nonostante tutto. Più grandi, dei grandi. In un mondo fatto di bambini, i bambini devono travestirsi. Mascherarsi, manco facessero parte di una società segreta. Spiegare agli stolti che i nemici non sono loro, ma l’inquietante Conte Olaf. È un microcosmo in fiamme, questo. Senza tempo e dallo spazio labile, così lontano dal nostro. Oppure no? Il nostro mondo è davvero così diverso da quello descritto da Daniel Handler in Una Serie di Sfortunati Eventi e da Netflix nella serie tv omonima? Forse no. E fidatevi: non leggete questo articolo, se non volete rovinarvi la giornata.

Una Serie di Sfortunati Eventi

I Baudelaire devono fronteggiare un popolo fatto, troppo spesso, di pecore. La società ha perso lo spirito critico dentro un libro chiuso, ha smarrito il senso dell’essere umani nella rabbia dell’istinto che spinge a muoversi trascinati più dalla pancia che dal cervello. Populisti, alla mercé del potente di turno. È un vile villaggio, il nostro mondo. Perseguita, emargina e distrugge i più deboli. È ignorante, talvolta. Indottrinato, da un sistema scolastico ancorato ai dettami della prima Rivoluzione Industriale. Robotizzati, dalla centralità del nozionismo mnemonico che spezza il respiro alla fantasia e ci costringe a limitarci ad aneddoti e inutili misurazioni, impedendo un’esplosione reale. “Sia beata l’ignoranza“, pensa qualcuno. Ma è un frutto amaro, indigeribile. Anche se ci chiude in una prigione dorata, senza pensieri. Relegati alla lettura delle fake news del Daily Punctilio di turno, schiavi delle mode e del pensiero comune che ci fa uscire a pancia piena dal peggiore dei ristoranti. In, seppure out.

Una Serie di Sfortunati Eventi

Non è una serie di sfortunati eventi ad averci catapultato in un mondo in fiamme nel quale i pompieri vengono trucidati tragicamente. È una nostra colpa, non aprire gli occhi. Non guardare tutto con la prospettiva di un bambino. Essere ingenui come un Poe qualunque. Incatenarci con l’inutile burocrazia che rovina gli ospedali e schiavizza gli operai in sinistre segherie. Non sappiamo più distinguere i buoni dai cattivi. Ci mascheriamo, per sopravvivere. Annulliamo la distanza, senza rendercene conto. Ci divertiamo se messi di fronte a squallidi spettacoli. Tremeremmo terrorizzati, se si accendesse la luce. Incontriamo ogni giorno un Conte Olaf o una Esmé Squalor. Siamo loro, in tante occasioni. Burattinai brutali e mortiferi manipolatori. Mostri, alla ricerca di una fossa di leoni nella quale gettare il nostro nemico.

Una Serie di Sfortunati Eventi

Vi avevamo avvisato: non dovevate leggere fin dall’inizio. Pensate arrivare qui, quasi in fondo. Lemony Snicket non vi ha insegnato niente? Ma non preoccupatevi più, forse c’è una speranza: quando si parla di Una Serie di Sfortunati Eventi, i cattivi mettono in ginocchio i perseguitati, eppure son costretti puntualmente alla fuga. Smascherati, per un incantesimo spezzato. I Baudelaire, nonostante tutto, si salvano sempre. Grazie al martirio delle menti più illuminate e coraggiose, pompieri di una Resistenza che non si fa abbattere dallo Scisma. E alla conoscenza che trasforma il mondo più cupo e inespugnabile in un castello di carte da buttar giù. Basta un po’ di ingegno innato, e una bella biblioteca. Piena di libri, alla portata di tutti. Troveranno il loro posto nel mondo, i Baudelaire. Noi, chissà. Grandi, in una società che dovrebbe essere un po’ più grande. Lontani dall’avidità degli eterni Peter Pan. E dal cinismo di chi non può più usare lo zucchero. Senza più fuggire. Finalmente felici.

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