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A Very English Scandal – Il torbido Affare Thorpe

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C’è un ballo del folklore inglese piuttosto antico che si chiama Il Ballo del Morris. Le prime menzioni di tale danza paiono attestarsi addirittura attorno al XV secolo, probabilmente nasce da un ballo pagano per la fertilità della Terra e, anche questo probabilmente, ha origini moresche, cosa che giustificherebbe anche il nome. Prima che pensiate di essere finiti erroneamente su un articolo di balli popolari, vi rassicuro: siamo qui per parlare di A Very English Scandal.

E Il Ballo del Morris, quindi, cosa c’entra?

Niente. Ma la prima cosa che ci colpisce della miniserie BBC appena conclusa su SKY è proprio il ritmo incalzante e a tratti grottesco, grottescamente inglese. A Very English Scandal è, prima di tutto, English. Storicamente inglese, certo, ma anche stilisticamente inglese. Una grande leggerezza narrativa domina quella che, se non fosse la trasposizione di  una storia vera, definiremmo una “black comedy” scanzonata e godibilissima. A Very English Scandal è rivestita di una leggerezza goffa, elegante e buffa, un po’ come Il Ballo del Morris con quel suo zompettare bizzarro e sconclusionato, ma leggiadro.

Eppure quanto accaduto nella realtà, raccontato prima nell’omonimo romanzo di John Preston, poi nella serie, non fa mica tanto ridere, anzi.

A Very English Scandal
Hugh Grant è Jeremy Thorpe in A Very English Scandal

I FATTI REALI

Inghilterra, anni ’70.  Brillante leader del partito liberale, promotore dell’ingresso della Gran Bretagna nel Mercato Comune Europeo, difensore indefesso dei Diritti Umani (si batte strenuamente per l’abolizione dell’Apartheid in Sud Africa): un uomo elegante e dalla moralità inattaccabile. Questo era Jeremy Thorpe agli occhi di tutti. Almeno, fino a quel “maledetto” scandalo.

Nato nel 1929 a Londra, Jeremy affronta un percorso di studi prestigioso e, a soli trentanni, entra nel Parlamento: il partito liberale inizia a guardare in faccia il suo nuovo futuro leader. Non ci mette poi molto ad assecondare le aspettative: nel 1967 viene eletto e comincia a portare avanti le battaglie di cui abbiamo accennato e mica solo quelle. Una promessa di miglioramento per un mondo che sembra sempre essere lì lì per andare a rotoli. Finalmente una voce in cui credere, un uomo dai sani principi.

Cambio scena.

Nel 1940, undici anni dopo Thorpe, sempre a Londra, nel distretto Sidcup, nasce Norman Josiffe (conosciuto anche come Norman Scott) un tizio che nella vita si barcamena alla bell’e meglio e che lavora in qualche stalla qui e là. A un certo punto diventa anche modello. Si occupa di cani, insomma, quel che serve per campare. Ma non è questo che ci interessa. Almeno, non in modo preponderante.

Corre l’anno 1961 quando i due si incontrano per la prima volta. Solita storia: un amico in comune. Norman non sta molto bene e infatti, dopo quel primo incontro, il giovane sta per qualche tempo in un ospedale psichiatrico. Una volta uscito, Norman versa in una situazione disastrosa: non ha lavoro, non ha casa e così cerca Jeremy per chiedergli di avere la tessera di previdenza sociale.

Proprio per questo motivo Norman si rivolse a Jeremy chiedendo il suo aiuto. Dieci anni dopo, Norman denunciò la relazione omosessuale che aveva avuto con Jeremy. All’epoca l’omosessualità, in Gran Bretagna, era reato. Il politico negò fermamente qualsiasi accusa. Ormai, tuttavia, i riflettori erano puntati su di lui. Ma no, non è questo lo scandalo: è quanto seguì il vero problema.

La carriera di Thorpe venne infatti messa seriamente a repentaglio e così, almeno secondo l’accusa, Jeremy pianifica l’omicidio di Norman.

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Blake Harrison è Andrew Newton in A Very English Scandal

Inghilterra, anno 1975. Andrew “Gino” Newton, un ex pilota di aerei di Blackpool, viene arrestato poiché, così sembra almeno, ha cercato di uccidere Norman Scott e ha, invece, ucciso il cane che era con lui: Rinka. Indovinate un po’ chi era il mandante? Pare proprio fosse Jeremy Thorpe. Voleva forse metterlo a tacere per quello che andava a raccontare in giro? Questo è quanto sostenne l’accusa.

Thorpe viene allora processato, insieme ad altre tre persone, in quanto l’accusa individuava in lui il mandante del tentato omicidio. Nel 1976 ormai la situazione era gravosa al punto che Jeremy fu costretto a dimettersi. Il processo si concluse tre anni dopo e i quattro uomini, Jeremy Thorpe compreso, vennero assolti. Eppure qualcosa rese ancora più torbida la questione: Scott salì sul banco dei testimoni e depose contro Thorpe, quest’ultimo, invece, non testimoniò. Aveva forse qualcosa da nascondere?

Questo non ci è dato saperlo. Dopo il processo, Scott continuò a vivere in Irlanda (dove si era trasferito dopo il 1986, anno della morte di sua moglie Angela Mary Susan Myers).

Jeremy Thorpe si spense nel 2014 e Scott, di lì a poco, tornò a vivere nel Regno Unito. Quando gli chiesero cosa pensasse della miniserie, rispose che lo avevano dipinto un po’ più debole di come non fosse stato in realtà.

Le elezioni del 1979, comunque, Thorpe le perde. Come votare un uomo che, non solo aveva avuto probabilmente una relazione omosessuale quando era reato (il bigottismo non ha mai fine), ma aveva anche tentato di uccidere, sempre probabilmente, il suo ex amante?

Ci sono delle lettere, inoltre, una inviata da Scott alla madre del politico, che proverebbero la relazione tra i due.

Jeremy si era sposato due volte, ma la sua figura di uomo integerrimo e tutte le lotte politiche che, strenuamente, Thorpe aveva portato avanti vennero inficiate indelebilmente da questo scandalo.

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Ben Whishaw è Norman Josiffe in A Very English Scandal

Le interpretazioni di Hugh Grant (non ha bisogno di ulteriori presentazioni) e Ben Whishaw (Profumo, Cloud Atlas, per dire due titoli) sono magistrali, come ci si sarebbe aspettati. Il ritmo è incalzante. La BBC non sbaglia un colpo e A Very English Scandal si guarda con il sorriso.

Certo è che, a visione conclusa, qualche interrogativo sorge spontaneo. Fortunatamente la piega degli eventi ha permesso che se ne traesse una commedia, anche se un po’ nera. Ma quello che c’è stato, forse, nell’animo di chi ne fu protagonista ha un colore ben più cupo e non abbiamo dubbi: si tratta di una tragedia. Finita “bene”, ma pur sempre una tragedia. Quella storica di uno Stato che condanna un amore, e, forse, quella intima di un uomo che tradisce se stesso ed è pronto a trasformarsi in assassino pur di sembrare quello che gli altri vorrebbero fosse.

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