ATTENZIONE: l’articolo potrebbe contenere spoiler su Acapulco!!
È forte, Acapulco. È sgargiante, rilassante, ritmata, allegra. Totalmente immersa in tonalità accese, avvolta dai colori vivaci del rosa e dell’azzurro, sembra la serie tv perfetta da guardare nella stagione estiva. Le sue atmosfere rilassanti, l’abbigliamento dei personaggi, il clima da perenne vacanza, gli ombrelloni, le piscine, gli aperitivi a bordo vasca, fanno venir voglia di approfittare della sua compagnia finché fuori c’è il sole e l’energia dell’estate ci pervade. È una serie tv divertente, Acapulco, che si nasconde fin troppo bene nel catalogo di Apple TV+.
Apparsa per la prima volta nel 2021 sulla piattaforma (intervistammo i suoi protagonisti), la serie è giunta alla sua terza stagione, convincendo chi ha avuto la curiosità di guardarla, ma rimanendo perlopiù ai margini della grande attenzione mediatica. Ed è uno spreco, perché Acapulco, in fondo in fondo, ha un’anima generalista. Non si tratta di una serie tv di nicchia. La sua comicità è accessibile a tutti, riprende stereotipi e cliché che appartengono da sempre al mondo delle sitcom. È leggera e rilassante, priva di passaggi oscuri o indecifrabili. Presuppone una visione senza impegno, da pausa relax. È un po’ una siesta che ci si concede nel bel mezzo della routine quotidiana. Un tuffo in piscina rinfrescante, una bibita ghiacciata a fine giornata.
Non è una commedia complessa e ingarbugliata, Acapulco. Eppure sta facendo fatica ad attrarre il grande pubblico delle piattaforme.
Messa in ombra da altri titoli più sgargianti, nascosta forse fin troppo bene nel catalogo della piattaforma, la serie Apple TV+ è uno di quegli show di cui si sta parlando pochissimo. Immeritatamente. La comedy è ispirata al film del 2017 How To Be A Latin Lover, di cui ritroviamo qualche volto. È stata creata da Austin Winsberg, Eduardo Cisneros e Jason Shuman e ha tra i suoi interpreti Eugenio Derbez, Enrique Arrizon, Jessica Collins, Chord Overstreet e il settantenne Damián Alcázar.
Racconta la storia di Maximo Galliardo, un miliardario messicano che vive in California, ma che è partito dalla sua città natale e ha poi scalato tutta la gerarchia sociale fino al suo apice. Come in How I Met Your Mother, la storia prende avvio dal racconto del protagonista, che decide di fare un tuffo nei ricordi e ripercorrere a grandi tappe la sua storia, filtrata dal suo punto di vista. Il narratore onnisciente, egocentrico e accentratore, è una formula già vista nelle commedie televisive, a partire dalla già citata How I Met Your Mother fino a tantissimi esempi più recenti. Il bello di Acapulco è però proprio questo: non vuole proporre novità strabilianti, non si serve di schemi narrativi innovativi.
Utilizza il materiale già messo a disposizione dal genere per giocare con i suoi strumenti e offrirsi come un prodotto a metà tra le comedy moderne e le telenovelas latine.
Il che, al contrario di quanto si possa credere, non disturba affatto. C’è tanta brillantezza nella scrittura di Acapulco, per quanto la serie scelga di essere leggera e confortante. Attraverso il racconto delle esperienze lavorative di giovani messicani che negli anni ‘80 si affacciavano per la prima volta al mondo del lavoro, Acapulco vuole parlare di tematiche sociali attuali, unendo intrattenimento, cliché, esagerazioni e nostalgia. In una cornice da favola lussuosa e lussuriosa, muovono i passi i sogni e le utopie di un gruppo di giovani attratti dal fascino ammaliante delle opportunità. Sono proprio i sogni i protagonisti veri di Acapulco. In particolare, il sogno di Maximo, che da responsabile della piscina del resort aspira a diventare il braccio destro dell’eccentrica proprietaria.
La sua è un’ambizione che proviene da lontano, che riporta al sogno romantico di un bambino che vedeva nella frizzantezza di Las Colinas la possibilità di emanciparsi e accedere al mondo dei grandi. Una volta diventato dipendente dell’albergo, Maximo tenta di farsi largo tra la concorrenza e mirare a scalare le posizioni per giungere alla tanto agognata vetta. Sarebbe una bella storia di rivalsa da raccontare, quella di un ragazzino partito dal niente che ha ottenuto tutto. La storia di un umile, di uno del popolo che è riuscito a strappare il pass per la società che conta. Acapulco è impostata in modo che lo spettatore possa sapere sin dalla prima scena che il protagonista è riuscito nel suo intento. Il racconto parte con Maximo adulto circondato da tutti i comfort e servito da maggiordomi bianchi. Sappiamo quindi che il sogno alla fine si è realizzato. Ma a quale prezzo?
La serie non ha un intento moraleggiante, ma vuole affidarsi comunque a una morale.
La critica sociale è addolcita dal tono comico della serie, ma è comunque presente e leggibile nella natura ambivalente di fondo. Acapulco sa essere le due facce di un’unica medaglia. Così come parla di sogni e ambizioni, parla anche di illusioni e utopie. Se è vero che per Maximo i desideri coltivati sin da bambino troveranno una realizzazione, la stessa cosa non è altrettanto vera per una schiera di altri personaggi che invece non ce l’hanno fatta. L’ambivalenza della serie si riflette anche nella sua natura bilingue: i dialoghi sono tutti in inglese o in messicano. I sottotitoli diventano una parte importante del prodotto, ma la scelta narrativa tende a sottolineare la volontà di inquadrare bene le due anime di Acapulco: quella lussuriosa e sfrontata del capitalismo bianco, sfruttatore e opportunista, e quella invece genuinamente latina, molto più concreta e realista, ma anche piena di illusioni.
La serie AppleTV+ ci mostra, pur senza calcare troppo la mano sul tema, l’enorme distanza che separa due mondi attigui eppure lontanissimi. I dipendenti del resort, in larga maggioranza messicani, sono una componente essenziale del mondo sgargiante di Las Colinas, ma non ne fanno mai veramente parte. Sono tutti ingranaggi indispensabili per far funzionare la giostra, ma a prender posto sui seggiolini sono sempre gli altri. I ricchi, le famiglie bianche in vacanza, i vip, quelli con le tasche piene. Gli ospiti del resort si concedono una pausa esotica nella capitale del Messico, ma non entrano mai realmente in contatto con la comunità del posto. Tra gli ospiti ricchi e i dipendenti di Acapulco esiste sempre una distanza che appare insormontabile. I primi non si immergono mai totalmente nel mondo dei secondi. E i secondi a loro volta non riescono mai ad essere parte integrante del soffice microcosmo dei primi.
Non è quindi né banale né scontato quello che vuole dirci Acapulco.
La sua frizzantezza, i suoi colori forti, sono un invito immediato a guardarla. Così come gli ospiti del resort vengono attratti dalle offerte allettanti di Las Colinas, allo stesso modo noi spettatori siamo attirati dall’estetica e dal ritmo accelerato della serie. Dietro quel cromatismo acceso però, si nasconde appunto un’ipocrisia di fondo, che scomoda una certa critica sociale già vista in altri titoli di peso come The White Lotus (ecco le serie da vedere se l’avete amata). Acapulco, a metà strada tra sogno e favola, resta però uno show televisivo leggero e frivolo, anche se mai banale.
L’anima pop convive con quella latina, in un mix riuscito che fa della nostalgia e dei rimpianti uno dei motori narrativi più efficaci. Nella straordinaria offerta di prodotti televisivi di Apple TV+, questo titolo è rimasto un po’ sullo sfondo. La piattaforma ha proposto negli ultimi anni serie tv di ottima qualità praticamente in ogni genere televisivo. Acapulco non sarà la comedy più famosa di Apple TV+ – anche perché dovrebbe vedersela con un titolo gigante come Ted Lasso – ma avrebbe tutte le carte in regola per essere considerata una delle migliori degli ultimi cinque anni. Solo che il pubblico non se ne è (ancora) accorto ed è un vero peccato.