Nel 1915 Sigmund Freud in Caducità descrisse l’elaborazione del lutto in tre fasi: diniego; accettazione; distacco. Ma quanto dura realmente il dolore? Per quanto tempo saremo sopraffatti dalla perdita di una persona a noi cara? Dopo quanto potremmo finalmente essere sicuri di aver completato questo processo? Freud una risposta univoca non può darla perché tutto dipende dal lavoro di analisi (e soprattutto di auto-analisi) che compie l’individuo segnato dal lutto. Nè tanto meno a questo quesito può rispondere Ricky Gervais. E così nasce After Life 2.
La prima stagione di After Life mostrava con crudo realismo la frammentazione dell’identità di un uomo, Tony, colpito dalla morte della moglie, Lisa. Al tempo stesso offriva gli strumenti salvifici per agguantare un lieto fino o qualcosa che gli somiglia molto. Ma il dolore non è una linea retta, ha scritto qualcuno. “Il punto di After Life è che sembra non ci sia un punto” – scrivevamo a margine della prima stagione – e il lieto fine non si raggiunge con uno schiocco di dita. After Life 2 si basa proprio su questo presupposto e ci mostra quel pezzetto mancante tra la presa d’atto del lieto fine e l’effettivo raggiungimento dell’happy ending (ammesso che ve ne sia uno).
Verso il lieto fine
Il Tony della seconda stagione è ancora cinico, è ancora sarcastico. Eppure ha cambiato atteggiamento, si è autoimposto di agire al servizio di chi gli sta intorno. “La felicità è così meravigliosa che non importa se è la tua o di qualcun altro”, gli ricordava Anne nell’ultimo episodio della prima stagione ed egli, di questo assunto, ne ha fatto un mantra. Tuttavia è ancora sopraffatto dal lutto. Di più, è depresso.
Secondo Freud, quando viene a mancare la rielaborazione della perdita – ovvero l’individuo mantiene ancora dei legami con la persona scomparsa – il lutto diviene malattia, depressione appunto. Tony non ha smesso nemmeno per un attimo di guardare i video di Lisa, a ogni ora del giorno. Sono parte di sé, della sua routine. Affiancano i progressi compiuti nei legami sociali. E ne diventano un limite nel momento in cui egli non riesce a intraprendere una nuova relazione amorosa.
“La gente pensa che le cose che facevo con Lisa potrei farle da solo ed essere felice lo stesso. Ma non è quello il punto. Non mi manca fare cose con Lisa. Mi manca non fare niente con Lisa. Sai? Stare semplicemente in casa, senza uscire, senza fare granché, nemmeno parlare solo…stare seduto sapendo che è lì“
Tony non è pronto a lasciar andare via il dolore. Non può e non vuole dimenticare Lisa. Però si impone di far rivivere Lisa in tutte le donne entrate a far parte della sua vita. Emma, l’infermiera che accudisce suo padre, è quanto di più vicino possa sembrargli un nuovo amore. Ma da sola non basta, perché diventerebbe un avventato tentativo di rimpiazzare la moglie.
La sua routine non può prescindere da Sandy, la sua pupilla, una sorta di figlia putativa a cui fare da mentore. Non può prescindere da Daphne, la professionista del sesso che lo aiuta a tenere la casa in ordine. Non può prescindere da Emma, che ha provato il suo stesso dolore e che più di tutti è in grado di capirlo. Non può prescindere da Brandy, la cagnolina che le è stato vicino prima e più di chiunque altro. Non può, tanto meno prescindere da Lisa, perché il ricordo è sì dolore, ma anche motore per andare avanti.
Lisa, Emma, Sandy, Daphne, Emma, Brandy. Tutte le donne della sua vita. Non più un unico epicentro della sua esistenza dunque, ma tante sfumature del concetto di amore ad arricchire la sua vita altrimenti priva di senso. Come fossero ingranaggi, tutte insieme alimentano l’agire del nuovo Tony: se uno viene meno tutto il sistema crolla e ritornano le pulsioni suicide. Un equilibrio precario, ma anche un compromesso necessario per continuare a vivere. In attesa di ricominciare da capo, per davvero. In attesa di meritarsi il lieto fine.