Volete una serie per svagarvi, per lasciare per qualche istante i problemi della vostra vita e staccare per qualche ora? Potreste buttarvi su una serie comedy (magari non mainstream ma favolosa come queste), oppure no.
Perché non scegliere una serie inerente ad un marito depresso e autolesionista che analizza il lutto dovuto alla perdita della moglie malata di cancro? Sicuramente state pensando “Ho di meglio da fare!” e invece dovreste, perché After Life è una serie geniale, caratterizzata da tematiche forti e per nulla facili da digerire, ma che proprio per questa difficoltà raggiunge livelli altissimi in pochi minuti e in pochi episodi (ovviamente parliamo della prima stagione, sulla seconda potremmo scrivere un libro intero in aggiunta a quest’articolo).
Partiamo dal protagonista principale. Ricky Gervais. L’unica figura attoriale e comica sulla faccia della Terra che potesse interpretare e creare al meglio questo ruolo. Un dono, quello del comico inglese, di saper scrivere la verità adeguandola ad ogni contesto, riuscendo a rappresentare la brutalità e l’eccessività anche con satira e comicità e svelandoci, infine, il velo sul taboo della morte, senza mezzi termini e con estrema crudezza.
In After Life, il britannico interpreta Tony, un vedovo di mezza età, distrutto dalla vita e completamente disilluso. Un giornalista locale, con le qualità per fare una grande carriera, ma senza la volontà di metterla in pratica.
Il pensiero fisso di Tony è uno ed uno solo: La Morte. Un pensiero pesante, distruttivo, che viene ammortizzato solo dalla presenza del suo cane e dai filmati che la moglie gli ha lasciato poco prima di morire.
La morte lo attanaglia e lo spinge all’autolesionismo mentale e a volte fisico. Lo porta a passare le sue giornate a deridere ed insultare tutti e tutto, spingendolo a credere fermamente che “l’umanità sia una piaga e che tutti avremmo il dovere morale di farla finita ed ucciderci”. Un pensiero espresso con un linguaggio tipico del Gervais stand-up comedian che ha un impatto fortissimo sullo spettatore, posto di fronte a un protagonista che è sia Eroe che Villain. Un personaggio che non accetta nulla, non vuole nulla, perché non ha nulla da perdere o da guadagnare. Un eroe/cattivo con un superpotere, espressamente esplicitato: il suicidio.
Pensiero e superpotere che ritornano sempre nei discorsi di Tony, sia con gli amici, che con i colleghi, che il disturbato e disturbante psicologo che lo segue.
Avvilente, distruttivo, Tony mette in luce e rende pubblico il pensiero della morte e la morte stessa. Geniale.
After Life è una serie mediamente lenta, che non ci sorprende con colpi di scena e relazioni sentimentali da fiaba, ma rende ridicola la continua monotonia della vita e con l’uso del black humor ci mostra l’ipocrisia che c’è alle spalle del modo con cui affrontiamo la morte.
Tony è un personaggio che viene spinto ad andare avanti come mezzo per sopravvivere. Deve superare, deve dimenticare, deve togliersi da questa situazione, secondo tutti i suoi conoscenti. Ed è proprio questo il problema. Non vuole dimenticare, non pensa di meritare una seconda vita dopo sua moglie. Non crede di poter sopravvivere al suo amore finito per la compagna di una vita.
Ed è qui che il personaggio è reso grande dall’interpretazione di Gervais.
Un ateo convinto, ma radicalmente inquieto, che in questo ruolo è in cerca di una risposta, o forse semplicemente di un motivo. Una scrittura che non si focalizza tanto sul personaggio principale come motore della serie, ma sui personaggi secondari. Sono proprio questi, con i loro comportamenti grotteschi e a tratti ironici, che infastidiscono Tony, tanto da dargli un rinnovato senso di responsabilità nei confronti della vita stessa e della comunità.
L’amico Lenny, drogato di cibo. Il cognato Matt, direttore del giornale in cui lavora, mediocre al punto tale da allontanare la moglie. Kath, stravagante ma superficiale e volenterosa di trovare un compagno. Daphne, la prostituta o meglio professionista del sesso, che lo aiuta ordinandogli la casa. Il postino senzatetto, invadente scorretto nei modi, ma genuino in un certo senso. E lo psichiatra, disturbato e folle, tanto da aver certamente bisogno anche lui di un aiuto professionale.
Ovviamente ci sono anche le figure positive, incarnate da Annie, Emma e dal nipote. Figure che con dolcezza, stabilità e speranza per il futuro spingono a loro volta Tony a ripercorrere la via verso il futuro, senza dimenticare il passato e gioendo del presente, nel suo modo satirico e a tratti blasfemo.
After Life è una strada a senso unico nei passi che compongono un lutto.
Il rifiuto, la rabbia, i tentativi di reagire, lo sconforto, fino ad arrivare all’accettazione e al bisogno di restituire al mondo il bene che riceviamo anche in questi momenti, bui e tetri. Una sorta di percorso che attraversa il male di vivere e della società, per raggiungere il bene e la felicità, anche se apparente.
In questa serie si piange, si ride e si pensa per la durezza e l’impatto che le tematiche trattate hanno su ognuno di noi. Per il modo in cui è descritto e si comporta il personaggio principale, che ci diverte nella sua meschinità iniziale, ma che al contempo ci colpisce, come un pugno in pieno stomaco, ogni qual volta cade nella voragine dei suoi pensieri.
Una risata amara, circondata da tristezza e miseria che ci fa amare questa serie più che mai.
Si piange perché la vita esige sempre di più, anche quando sei a terra dolorante. Si piange per il ricordo della moglie, che grazie alla tecnologia è vivo più che mai nella mente di Tony e nello sguardo di noi spettatori. Si piange per il racconto, carico di commiserazione, che ci dà l’idea vivida di quanto sia semplice cadere e lasciarsi andare.
È una serie che ci apre un cratere nello stomaco e nel cuore, facendoci capire di avere anche il diritto di stare male, di essere tristi o arrabbiati e non semplicemente di velare le nostre emozioni al prossimo, con finta serenità e felicità.
Gervais vuole farci capire che dobbiamo e possiamo riappropriarci della libertà di dire che la vita può essere dolorosa e che possiamo essere impotenti di fronte alle disgrazie che ci colpiscono. E soprattutto ci fa capire che non dobbiamo provare nessuna vergogna ad ammettere tutto questo, abbracciando il male per raggiungere il bene.
Siete ancora sicuri di non volervi immergere in questa serie straordinariamente descrittiva della vita?