Straziante. Non ci sono altre parole per descrivere il turbinio di emozioni negative che travolge lo spettatore durante la visione di Alfredino – Una Storia Italiana, la nuova serie firmata Sky.
Il racconto di una storia vera che sicuramente non ha bisogno di presentazioni, e che ha riportato a galla un ricordo che nessuno è mai riuscito realmente a seppellire. Soprattutto non l’hanno fatto le quasi 21 milioni di persone che per ben 60 ore hanno sperato in una “storia di vita”, la stessa che ha deciso invece di essere ricordata come “una storia di morte”. Sorge spontanea dunque una riflessione che ci spinga a capire se esista o meno un limite che è bene non superare (o che, a questo punto, ERA meglio non superare). La faccenda drammatica di Alfredo Rampi è stata la prima cronaca televisiva trattata in diretta h24 dalle 3 reti unificate Rai, segnando così per sempre la nascita della diretta di cronaca come prima non era mai stata mostrata.
E quindi, è giustificabile un tale accanimento mediatico? E ancora, sarebbero potute andare in modo diverso le cose se la televisione non avesse reso questo evento così accattivante agli occhi dei curiosi? La nuova serie Alfredino ci mostra proprio questo, ma anche tanto altro.
Alfredino – una storia vera e italiana
La serie riporta in maniera piuttosto fedele il fatto di cronaca avvenuto a inizio anni 80. Alfredo Rampi, detto Alfredino, è un bambino di soli 6 anni, vivace e spiritoso, e si trova a Vermicino nella seconda casa di famiglia. Il bambino è malato, ma dopo una decisione sofferta i genitori decidono di farlo operare a settembre per concedergli una vita migliore. Purtroppo, all’autunno il piccolo Alfredino non ci arriverà mai.
È una calda sera di giugno quando, tornando a casa da solo, scivola dentro un pozzo artesiano profondo 80 metri. Dopo una ricerca da parte dei genitori, poliziotti e gente del posto il bambino viene localizzato all’interno del pozzo e inizialmente a una profondità di 36 metri.
Fin da subito gli errori commessi sono tanti: la tavoletta infilata per recuperare il bambino che si blocca insieme a una corda calata nel tentativo di recuperarla ostruendo il pozzo; una mancata stima della profondità e numerosi tentativi falliti. Ciò che non manca è però la voglia di tirare fuori Alfredo vivo, cosicché mentre i soccorsi sono intenti a scavare un pozzo parallelo da far incontrare con quello dove si trova il piccolo, numerosi volontari si infilano a testa in giù per recuperarlo, fallendo.
Una volta scavato il collegamento la gioia è tanta, fino a quando non ci si rende conto che il bambino è scivolato ancora più in basso, segnando di fatto il punto di non ritorno che si concluderà con la presunta e poi confermata morte del piccolo Alfredino Rampi.
Il ruolo mediatico
L’Italia era in un paese buio e sicuramente serviva una buona notizia. È questa la giustificazione che, come ci racconta la serie tv, smuove il giornalista Pierluigi Pini a rendere un evento tragico una fonte di intrattenimento per i curiosi. La notizia si diffonde talmente tanto tramite le reti televisive da comportare essenzialmente due conseguenze: la possibilità di mettere al corrente volontari adatti a calarsi nel pozzo, ma anche il richiamo per una folla che non aspettava altro che appostarsi e fare confusione in un luogo nel quale il silenzio della tragedia da lì a poco si sarebbe diffuso.
Altro elemento non trascurabile che ha contribuito al divieto per le reti televisive di interrompere la diretta è stata la presenza dell’allora presidente Pertini. Solo in seguito Emilio Fede, allora direttore del TG1, ha riferito come Antonio Maccanico (Segretario Generale alla Presidenza della Repubblica) abbia fatto pressioni per non interrompere la trasmissione, anche quando tutti avevano iniziato a supporre l’esito e che appunto, come riferisce il giornalista alla fine della quarta puntata, si trattava ormai di “una storia di morte”.
Il dovere di cronaca è sempre concesso?
Le registrazioni dei singhiozzi del bambino, come viene mostrato all’inizio, vennero rese pubbliche (costringendo in seguito i genitori a richiedere il Diritto all’Oblio). La voce straziante di un bambino che chiama la mamma, che dice di essere stanco, che implora chiunque di tirarlo fuori da lì, dovevano essere ascoltate solo ed esclusivamente dai suoi genitori e non da 21 milioni di persone a casa.
C’è chi ha criticato Franca perchè non piangeva, chi l’ha criticata perchè mangiava e chi ancora perchè irresponsabile. C’è chi per un periodo infinito li ha chiamati giorno e notte per estorcere uno scoop, una notizia in più. In più? Ancor più oltre le 60 ore di dolore reso pubblico su schermo?
E come deve essere stato per una madre e un padre perdere il proprio figlio, davanti ad una marea di persone che non si conoscono e pronte a giudicarti?
Si è a lungo pensato, inoltre, che l’accanimento mediatico per la vicenda di Vermicino sia stata portata avanti in maniera così brutale proprio per distogliere l’attenzione dagli eventi politici disastrosi del nostro Paese in quel periodo, tanto da far dichiarare a Emilio Fede “se quel giorno fosse avvenuto un colpo di Stato, la gente avrebbe risposto: ‘Va bene, però lasciami vedere che succede a Vermicino‘”.
La Serie Tv: i pro e i contro
La serie dal canto suo non esula da quanto detto finora, riportando a galla un dolore che forse almeno a quarant’anni di distanza sarebbe dovuto restare “privato”. C’è da dire però che a livello tecnico si presenta molto bene. Inoltre, la scena che mostra Mazinga sovrapposta alle scene della macchina scavatrice ci fanno riflettere e sperare sul fatto che il bambino si stesse immaginando proprio l’arrivo del suo supereroe.
Un altro punto che è bene riconoscere alla serie di Marco Pontecorvo è l’aver messo in luce ciò che accadde quando le televisioni vennero spente. Perchè l’attenzione riservata al caso voleva solo la notiziona e in seguito le lacrime e la disperazione di una famiglia distrutta. Tuttavia, Franca e Ferdinando (con l’aiuto di Pertini e di molti altri volontari) non si sono mai fermati, dando vita alla Protezione Civile.
Ultima nota di merito va ad Anna Foglietta, una conferma per il nostro cinema, che a differenza di altri attori all’interno della serie ci regala una recitazione quasi degna della madre straordinaria che è stata ed è ancora Franca.
Tiriamo le somme
C’è dunque un limite al dovere di cronaca che non va superato?
Per rispondere basti pensare ad altri casi di cronaca trattati con poco tatto. Pensiamo al caso di Sarah Scazzi, la cui morte è stata comunicata in diretta alla madre con le telecamere appostate ad Avetrana giorno e notte.
È davvero difficile rispondere, la mente umana è curiosa per natura e si nutre spesso della spettacolarizzazione del dolore. Seppur conscia che la risposta giusta sia “sì, certo che c’è un limite che non va superato“, cercherà sempre la notizia, la curiosità. Ciò che è lontano dalla nostra quotidianità.