Nel novembre del 2021. Amazon Prime Video ci ha portato all’interno del mondo Juventus. Lo ha fatto in un momento delicato, visto che i bianconeri venivano da una stagione deludente e ne stavano vivendo una ancora peggiore. La smania di capire cosa è andato storto dopo nove anni di dominio era enorme e l’uscita del capitolo dedicato alla Vecchia Signora del format All or Nothing rappresentava un’occasione davvero unica per curiosi e appassionati.
Con la produzione sulla Juventus, la serie di documentari sportivi di Prime Video è arrivata anche in Italia. Il successo di questo format è incredibile, dal football americano gli studios di Amazon si sono spostati sul calcio, concentrandosi prima sulla Premier League inglese con le stagioni su Manchester City e Tottenham Hotspur, e poi approdando in Serie A con la Juventus. Già in condizioni normali l’attenzione su un esperimento del genere sarebbe stata alle stelle, considerando la morbosità con cui il calcio è seguito in Italia, ma dopo la prima stagione fallimentare della Juventus arrivata dopo nove anni trionfali è chiaro che la curiosità sia cresciuta a dismisura. Ma com’è andato questo esperimento di penetrare nei meandri del club più titolato e discusso d’Italia?
All or Nothing: Juventus: la storia di una fallimento col sorriso
Per riuscire a valutare l’efficacia dell’esperimento All or Nothing in Italia è bene contestualizzare una volta per tutte, anche a rischio di suonare ripetitivi, la premessa con cui è partita la serie e che ne ha inevitabilmente condizionato la ricezione. La troupe di Amazon ha seguito la Juventus per la stagione 2020-2021, casualmente la prima in cui, dopo nove anni, i bianconeri non sono riusciti a vincere lo scudetto. L’annata della Vecchia Signora si è conclusa con la vittoria di due trofei, la Coppa Italia e la Supercoppa Italiana, ma con il deludente quarto posto in campionato – acciuffato tra l’altro per il rotto della cuffia all’ultima giornata – e con l’eliminazione prematura dalla Champions League.
Una stagione fallimentare, dunque, per gli standard della Juventus e ciò non ha fatto che aumentare la curiosità intorno alla serie. Il calcio in Italia ha un pubblico di tifosi più che di appassionati e le storie di fallimenti, se non riguardano la propria squadra, attirano molto più di quelle di trionfi. In molti si sono approcciati dunque alla serie con la curiosità di assistere al crollo di un dominio lungo nove anni, anche con una buona dose di soddisfazione, ma sono rimasti totalmente delusi dalla narrazione che ne è uscita fuori.
Nelle otto puntate che compongono la serie, non c’è quasi mai la sensazione che la stagione della Juventus stia andando alla deriva. Ogni tanto emerge qualche problematica, i toni si fanno più accesi soprattutto quando la squadra viene eliminata in Champions League dal Porto, ma ogni lato drammatico viene soffocato dal solito ritornello sulla mentalità e la grandezza della Juventus. All or Nothing di fatto nasconde il fallimento stagionale dei torinesi, lo cela dietro alla tradizione del club, ai successi del passato. Il tono celebrativo che pervade tutta la serie causa una grande alterazione della realtà dei fatti e chi non segue il calcio, ma magari ha voluto vedere la serie, non percepisce la portata del fallimento stagionale della Juventus.
Giù il muro e su i sentimenti
A dispetto dell’artificiosità della cornice narrativa, All or Nothing: Juventus presenta molti tratti positivi. Innanzitutto ci porta dietro le quinte di un mondo che sembra costantemente impenetrabile. Siamo abituati a vedere le squadre di calcio in campo, magari i giocatori intervistati in televisione o sui social, ma non abbiamo mai la percezione di poter entrare in contatto con la loro intimità. Questo muro viene parzialmente sgretolato nella serie. Entriamo a casa di Andrea Pirlo, di Leonardo Bonucci, conosciamo le famiglie e gli amici dei calciatori, familiarizziamo con le loro abitudini. Soprattutto vediamo la loro quotidianità, dagli allenamenti ai momenti di leggerezza.
L’esposizione del lato umano dei protagonisti è il pregio maggiore della serie. Chi si aspettava di scoprire maggiori dettagli che riguardassero il lato sportivo ne rimane deluso, ed è anche giusto così perché si tratta pur sempre di un lavoro in cui non si possono rivelare troppi segreti. Non ci sono focus su allenamenti, sulla tattica o via dicendo, ma ci sono molti approfondimenti su aspetti emotivi, sui pensieri dei calciatori, sulle loro paure e sulle loro ambizioni.
Questo approfondimento del lato emozionale è veramente molto riuscito. Il mondo del calcio appare meno impostato, più umano. Si sgretola il muro eretto dalle televisioni e dai doveri di campo e si scoprono invece i sentimenti che animano tutti quei personaggi che solitamente percepiamo molto lontani e con cui finalmente possiamo entrare in empatia.
Ma quanti giocatori ha la Juve?
Il grandissimo difetto della serie è però il concentrarsi sempre e solo su alcuni singoli. Vediamo a ripetizione sempre gli stessi giocatori e a un certo punto viene da chiedersi che fine abbiano fatto gli altri. Ci saranno sicuramente mille motivi d’immagine e diritti dietro questa scelta, però lo sguardo che abbiamo sulla Juventus è limitato dall’espressione di pochi punti di vista. Bonucci, Chiellini e Buffon formano quasi un corpo unico, portavoce della juventinità e della grande tradizione del club. Chiesa e Morata offrono uno sguardo diverso, più giovane e fresco, ma la scena se la prende tutta Weston McKennie.
Il simpaticissimo centrocampista statunitense è un vero e proprio ciclone. Sembra un personaggio scritto appositamente per alzare il livello d’intrattenimento della serie e regala i momenti più simpatici dell’intera narrazione, tra sketch voluti e gaffe irresistibili. Anche se, la pizza con la salsa ranch anche no, caro Wes. Ne approfittiamo, comunque, per lanciare un appello a qualsiasi casa di produzione: che qualcuno realizzi uno spin-off incentrato su McKennie, sarebbe il protagonista perfetto di una serie comedy.
Tornando a noi, il grande problema di All or Nothing: Juventus è quindi che i punti di vista offerti si fermano a quelli sopracitati. Ogni tanto appaiono alcuni giocatori importanti, come Cuadrado e De Ligt, ma non offrono alcun contributo. Per non parlare di Cristiano Ronaldo, che lo vediamo praticamente quasi solo prendere il sole e autocelebrarsi. Mancano all’appello molti calciatori, su tutti Paulo Dybala, uno degli uomini simbolo della Juventus, che guarda caso ha vissuto la sua stagione più complessa in maglia bianconera. Ancora una volta quella patina di ottimismo che pervade la serie: qualsiasi fattore negativo nella stagione della Juventus viene oscurato.
Esperimento riuscito?
Ora che abbiamo illustrato i lati positivi e quelli negativi della serie, possiamo provare a rispondere a questa domanda. La risposta è sì, l’esperimento è riuscito, ma con qualche riserva. O meglio, lo è se si assume il punto di vista di uno spettatore disinteressato al lato prettamente sportivo. Come prodotto di puro intrattenimento All or Nothing: Juventus è sicuramente valido, scorre con facilità, offre spunti interessanti e appassiona parecchio. Se si considera l’aspetto sportivo, la serie aggiunge molto poco, anzi rischia anche di essere fuorviante con la propria cornice forzatamente celebrativa.
Probabilmente gli autori si aspettavano di raccontare un’altra stagione di gloria e si sono trovati a dover gestire invece una narrazione diversa. Quella patina di esasperato ottimismo è il grande difetto della serie, perché presenta una realtà inesatta. Poi alla fine allo spettatore poco cambia, ma la natura documentaristica impone una defetta maggiore alla realtà. Possiamo dunque considerare All or Nothing: Juventus un esperimento parzialmente riuscito, con alcuni elementi negativi che abbassano l’efficacia della serie, ma non la annullano. La speranza è comunque che questo tentativo non cada nel vuoto e che il format venga riproposto in futuri, esplorando magari altre piazze e differenti realtà.