Come abbiamo accennato nella recensione precedente, Altered Carbon camuffa in un’ambientazione cyberpunk la sua natura spiccatamente crime. È una scelta inevitabile quella di ancorarsi a un genere estremamente familiare per lo spettatore, in questo caso appunto il poliziesco, per rendere l’opera fruibile a un pubblico di massa e non relegarlo a una nicchia. Come troppo spesso accade, purtroppo, alla narrazione fantascientifica.
Se da un lato, pertanto, è una procedura necessaria, dall’altro c’è il rischio di rendere la trama prevedibile e troppo facilmente inquadrabile nel “già visto”. Quanti crime hanno come protagonista un detective non convenzionale in preda a un passato nebuloso, la cui strada si intralcerà con quella di un ambiguo miliardario che nasconde un segreto (ma che non è mai il vero villain) e con l’incorruttibile poliziotta inizialmente diffidente nei suoi confronti?
E quante volte l’affascinante detective e l’incorruttibile poliziotta, frecciata dopo frecciata, incrementano le loro pulsioni erotiche finendo a letto insieme?
Altered Carbon, nel quinto episodio, non sfugge a questa logica, un retaggio delle dinamiche alla base della serialità tradizionale. Quella che oggi chiameremmo ship, tra due personaggi con queste caratteristiche, costituisce un innesco teso a catturare lo spettatore settimana dopo settimana, ansioso di capire come evolverà la loro love story. Un meccanismo che in un contesto come quello di Netflix, nel quale abbiamo il rilascio dell’intera stagione hic et nunc, non viene quasi mai rispettato. Tranne in questo caso.
Oltre a essere un risvolto di trama prevedibile, la storia d’amore tra Kovacs e Ortega risulta anche un po’ forzata nella messa in scena. Noi spettatori, così come i due personaggi, non abbiamo neanche avuto il tempo di metabolizzare un twist importante, come la scoperta che la custodia occupata da Kovacs appartiene a Ryker, l’ex fidanzato dell’agente ispanica, nonchè ex poliziotto, coinvolto in un complotto più grande di lui. Non c’è stato, pertanto, uno sviluppo graduale nel loro rapporto, si passa subito alla scena d’amore che appare così costruita a tavolino.
Trascurando l’eccessivo ricorso ai clichè di genere, Altered Carbon arriva al giro di boa senza intaccare il gusto della visione, mostrandoci due episodi nei quali prevale l’aspetto interiore dei personaggi.
Ci eravamo lasciati con Kovacs, privo di sensi e catturato a tradimento nel bordello in cui stava indagando. Lo ritroviamo in una sorta di laboratorio nel quale i prigionieri vengono torturati e uccisi nella realtà virtuale, senza subire danni fisici nella vita vera. Tuttavia, come si scopre ben presto, il rischio di subire danni psicologici è palpabile.
Ad averlo portato lì è Dimi II, fratello del militare che aveva attaccato Kovacs nella hall del Raven Hotel, salvo poi essere ucciso. L’interrogatorio è crudo e disturbante, sensazioni acuite anche dal loop continuo ogni qual volta il protagonista viene virtualmente ucciso. Non di meno diviene un pretesto per indagare più a fondo nella psiche di Kovacs e sulla filosofia degli Spedi.
Nei flashback che si alternano alle torture di Dimi II, infatti, assistiamo all’addestramento dell’uomo, votato proprio alla resistenza in uno scenario virtuale. La tecnica basata sul rigido controllo della propria mente, peraltro, ricorda tantissimo il modo di curare la pararibulite nella seconda stagione di Dirk Gently. E resterebbe un’analogia buttata lì a caso, se non fosse che Dimi II è interpretato dallo stesso attore che veste i panni del leader del Trio Chiassoso.
L’aspetto più interessante dei flashback è naturalmente l’evoluzione del rapporto tra Kovacs e Quellcrist Falconer, sua mentore, la quale dovrà necessariamente fare la sua comparsa nella timeline presente. Chissà che non possa essere rivestire proprio lei i panni del villain dietro alla sequela di omicidi irrisolti, in un twist un po’ telefonato ma estremamente utile per una eventuale evoluzione caratteriale del protagonista.
Così come queste due puntate segnano una svolta nello sviluppo del personaggio di Ortega.
Come dicevamo nelle recensioni addietro, il suo personaggio incarna il dilemma etico-religioso che persiste, più che mai, nel futuro 2384. La componente religiosa ci viene mostrata per mano di sua madre, fervente cattolica e oppositrice della vita eterna (“è davvero evoluzione prolungarsi la vita con strumenti alieni? Siamo ancora creature di Dio?“).
Sull’accezione di “etico” pone invece l’enfasi la figura della nonna di Ortega. Al di là dell’ironia che si cela nel notare una nonna ispanica nelle vesti di un punk tatuato. Nella sua rassegnazione finale a non voler più tornare in vita emerge l’impossibilità dell’uomo di elevarsi a Dio (“per quanto uno possa vivere non può portare a termine tutto“).
Dal punto di vista individuale, invece, assume grande rilievo il quinto episodio, nel quale viene mostrato il suo rapporto con Ryker, e il suo dilemma nel trovarsi a scegliere tra l’amore e il lavoro. Capiamo, pertanto, che il suo atteggiamento nei confronti di Kovacs è guidato dai sensi di colpa per aver perso l’ex partner (a cui cerca di porre rimedio tentando di preservare la custodia).