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Altro che Caffè, tra genio e follia

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Il suo titolo originale è Family Business ma in Italia è noto con il particolare nome di Altro che caffè (trovate qui la recensione della terza stagione). Trattasi di una serie tv comedy francese prodotta da Netflix come non se n’erano mai viste prima e che ha saputo costruirsi una piccola nicchia di fan grazie alla propria originalità e alla propria capacità di rinnovarsi episodio dopo episodio, stagione dopo stagione, per merito di un creativo mix di diversi tipi di umorismo e di una sceneggiatura fluida e organica, senza alcuna sbavatura.

Protagonisti di questa folle serie sono gli Hasan, una peculiare famiglia che, su idea del primogenito Joseph, decide di trasformare la macelleria kosher di cui è proprietaria nel primo coffee shop di marijuana di tutta la Francia, dopo aver saputo in anteprima che la Cannabis sarebbe stata legalizzata da lì a poco. Ogni membro della famiglia avrà un importante ruolo in questo nuovo business, ma i problemi non mancheranno, anzi, non faranno altro che peggiorare in un’escalation che metterà in seri guai tutti gli Hasan, i loro amici e i loro collaboratori.

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Se anche le premesse della serie già promettevano di portare una vera aria di novità nel panorama delle comedy, trasponendo in chiave comica il mondo della criminalità, nessuno dei telespettatori avrebbe mai potuto però prevedere le derive che Altro che caffè avrebbe preso successivamente, effetti che non potrebbero essere definiti in altro modo se non “genialmente folli”.

Quella che parte come una commedia familiare a tratti dipinta con tinte malinconiche e sentimentali ben presto assume sfumature che vanno dalla commedia nera alla comicità slapstic, passando per dialoghi martellanti e sarcastici fino al grottesco più marcato. Eppure, quest’accozzaglia di tematiche, di tipologie di umorismo e di atmosfere non sono mai risultate come mal assortite. L’entusiasmante risultato che traspare dall’insieme di tutti questi fattori non pare infatti essere strutturato da elementi miscelati senza continuità.

Altro che caffè, infatti, non fa altro che uscire rafforzata da questo genere di commistioni, che riescono a donare alla narrazione un ritmo incalzante che rende impossibile allo spettatore annoiarsi. Un costante senso di tensione accompagna infatti scenari tanto folli quanto esilaranti, che portano molto spesso lo spettatore a provare un grande senso di meraviglia. Rare sono infatti le occasioni in cui il pubblico può vantare di aver previsto una delle assurde situazioni in cui gli Hasan si ritrovano a finire, così come le conseguenze delle molto spesso scellerate decisioni dei vari personaggi.

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Le tre stagioni della serie, che messe insieme constano di soli diciotto episodi da trentacinque minuti circa, scorrono velocemente e non possono fare altro che invogliare lo spettatore a continuare una visione che non risulta mai banale, ma piuttosto fluida e ricca di colpi di scena. Nella sceneggiatura di Altro che caffè infatti nulla viene dato per scontato, ma ogni singolo particolare, anche quello che all’apparenza sembrerebbe più insignificante, finisce per avere un ruolo fondamentale per le scene e gli episodi a venire, cosa che riesce in qualche modo a rendere credibili anche le più folli e assurde situazioni in cui la famiglia Hasan finisce per essere coinvolta.

E di cose ne cambiano dalla prima alla terza stagione: i personaggi verranno infatti ben presto risucchiati dal potente vortice originatosi dagli effetti delle loro decisioni e dal fallimento dei loro piani. Da imprenditori con qualcosa da nascondere a criminali le cui vite rischiano di essere messe in pericolo non solo dalle indagini della polizia, ma anche da gang, reti di mercenari e boss della droga, in una climax di situazioni degne di un thriller o di un film d’azione e che non perde mai di brio e di originalità.

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A rendere tutto speciale all’interno della narrazione sono però soprattutto le dinamiche che si instaurano tra i vari membri della squadra, familiari e amici che dovendo cooperare non fanno altro che mettersi nei guai.

Ciascuno dei personaggi è caratterizzato da alcuni determinati aspetti che lo rendono allo stesso tempo comico ma anche sfaccettato nelle proprie fragilità. Ognuno degli Hasan ha infatti una propria personalità predefinita, capace di essere sempre coerente con se stessa e di creare personaggi impossibili da non amare proprio per le loro debolezze, difetti e mancanze. Joseph con la sua stralunata parlantina che non fa altro che peggiorare la situazione, Gérard con i suoi burberi e sarcastici modi, la folle Clémentine con la sua incapacità di trattenersi e di provare qualsiasi tipo di vergogna o imbarazzo.

È davvero incredibile come la comedy francese sia riuscita ad alternare con estrema naturalezza momenti fortemente drammatici a sezioni caratterizzate da un umorismo dissacrante capace di far ridere a crepapelle lo spettatore. Trattasi di una comicità in grado di variare tantissimo sia per quanto riguarda le modalità che le intenzioni e che in molti potrebbero non gradire a causa degli eccessi di volgarità, ma soprattutto di umorismo nero, di battute scorrette e di un forte senso del grottesco, sia uditivo che visivo.

Aspetti che certamente in molti potrebbero considerare fin troppo invadenti ed eccessivi, ma che di fatto costituiscono uno dei punti di forza di uno show che ha scelto di osare sempre di più, non ponendo limiti di fronte a sé e puntando a creare qualcosa di mai visto prima. La narrazione passa infatti da dialoghi serrati con tanto di giochi di parole e da un tipo di comicità più raffinata a dinamiche più grezze che puntano sullo scatologico e il grottesco, capace di creare un senso di contrasto e che permette di unire in modo incredibile attrazione e repulsione. L’obiettivo degli autori della serie pare dunque chiaro: da un lato dissacrare per spingere a una ridata smodata, dall’altra ironizzare su alcune tematiche dell’attualità, come il senso di inevitabile cambiamento e d’altra parte il desiderio di restare attaccati alle tradizioni del passato, lo scontro generazionale, il lutto e le difficoltà familiari e relazionali.

Puntando su un senso dell’assurdo che paradossalmente finisce quasi per sembrare credibile grazie a ottime battute e alle performance del cast della serie, Altro che caffè ha saputo rivelarsi come un piccolo diamante del genere commedia, capace di mostrare che anche al di fuori dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra è possibile realizzare serie davvero divertenti e con una propria e definita personalità. A dimostrazione che, anche grazie a un diverso punto di vista e modo di vedere le cose, con la giusta creatività e i giusti autori è ancora possibile creare prodotti originali e divertenti senza puntare sull’usato sicuro.

Con le sue tre stagioni la serie è infatti riuscita a costruire una storia solida e ben scritta, con un inizio e una fine ben delineati che non hanno per nulla deluso i fan della comedy. Noi quindi non vediamo sinceramente l’ora che questi autori tornino presto a regalarci un prodotto di simile qualità!

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