Fringe
Qualche tempo fa, intitolammo così un articolo d’approfondimento: “Fringe è l’erede di X-Files di cui il mondo avrebbe avuto bisogno per più tempo”. Definizione impegnativa, ma necessaria: X-Files è una serie di fantascienza che ha scritto una pagina centrale della storia del genere, combinando la trasversalità con un certo attaccamento ai dettami del filone sci-fi, mentre Fringe l’ha in qualche modo riscritta. Così come The Shield ha portato avanti un’operazione del genere per i polizieschi, Fringe si inserisce nella fantascienza come elemento di rottura. Una rottura che ha ampliato il pubblico, senza rinunciare all’autorialità .
Anche se la fortuna non è stata dalla sua parte: così come abbiamo riportato nell’articolo appena citato, la storia quinquennale di Fringe (2008-2013), fu caratterizzata da una certa diffidenza nei suoi confronti. La Fox sembrò non crederci mai granché fino in fondo, e tra programmazioni infelici e voci continue di possibili cancellazioni non ci fu mai pace. Il pubblico, inoltre, non rispose sempre presente: i numeri furono insoddisfacenti in più fasi.
Un peccato, ma Fringe non perse mai la strada maestra.
Poggiata sulla scrittura di un mostro sacro del calibro di J.J. Abrams e su un cast d’ottimo livello, la serie sci-fi è riuscita comunque a portare a casa cinque stagioni e 100 episodi tondi. Un grande risultato, viste le condizioni in cui si è trovata ad agire. Numeri importanti, sintomo della grande qualità di Fringe. Certificata, soprattutto a posteriori, da un pubblico importante che ne reclama ancora oggi il ritorno. Non sappiamo se sarebbe una buona idea, ma una cosa è certa: riscrivere la storia, quando hai tutti contro, è un merito che solo i più grandi hanno.
In un universo parallelo, uno di quelli che Fringe ha tanto amato raccontare, ci piacerebbe vedere cosa sarebbe successo se Fringe avesse avuto maggiore sostegno alle spalle: la sua sarebbe stata una storia ancora più maestosa? Con ogni probabilità , non lo scopriremo mai.
The Man in the High Castle
A proposito di universi paralleli, ce n’è uno in cui la Seconda Guerra Mondiale si è sviluppata in un modo molto diverso: uno scenario terrificante che ha visto la vittoria del nazismo, con gli Stati Uniti che hanno perso, non esistono più e sono stati spartiti e saccheggiati da tedeschi e giapponesi. Il 1962 è allora un anno in cui la storia affronta dei binari inediti, inquietanti. Un’ucronia terribile, presentata con grande efficacia da The Man in the High Castle.
Immancabile tra le serie tv da vedere assolutamente su Prime Video, l’opera, scritta da Frank Spotnitz e tratta dal celebre romanzo di Philip K. Dick, è necessaria almeno quanto lo è The Handmaid’s Tale.
E risponde, come sempre fanno le ucronie ben architettate, a una domanda che si ha sempre paura di porsi: quanto dovremmo dare per scontato tutto quello che di buono ha saputo offrirci l’evoluzione della nostra storia?
Non dovremmo mai darlo per scontato. Ma solo quando ci ritroviamo con la visione dell’alternativa, di un mondo nel quale non ci siamo ritrovati per questioni che spesso riguardano dettagli, prendiamo coscienza della preziosità offerta da vite stabili e in qualche modo agiate. Perché certe conquiste non sono mai definitive, e dovremmo pensarci ancora di più in un periodo storico complesso come quello che stiamo vivendo. Avventurarsi all’interno di un’America profondamente diversa da quella che conosciamo rappresenta, allora, un’opportunità unica e irripetibile per vedere il mondo con occhi alternativi. Quelli di chi si svegliato suo malgrado nel mezzo della parte sbagliata della storia, ed è costretto a combattere ogni giorno per riportare gli eventi su binari più rassicuranti.
The Man in the High Castle, terminata ormai cinque anni fa, non ha ottenuto per molti versi i crediti che avrebbe meritato, pur non essendo un capolavoro esente da difetti e passaggi a vuoto. La sua visione, tuttavia, resta imprescindibile. Oggi come non mai.