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Supereroi – La Recensione del nuovo film di Genovese che premia chi è ancora in grado di rimanere

Supereroi
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Supereroi. Quand’è che puoi appropriarti di questa definizione riuscendo davvero a incastrartici non è chiaro. Per esserlo, o almeno per diventarlo, cosa devi fare esattamente? Sorreggere un grattacielo che crolla? Salvare una specie in via di estinzione? Evitare una catastrofe naturale? Salvare il mondo dalla sua fine? Forse, anzi, probabilmente. Ma diciamocela tutta: non è detto che quel qualcuno che farà tutte queste cose sia proprio tu. Non è da escludere, certo, ma è molto probabile che non sia tu. Anche volendo pensarci sul serio, per riuscire a fare almeno la metà di tutte queste cose devi avere della forza fisica, delle doti intellettuali tali da creare la giusta strategia per salvare il mondo dalla sua fine decisiva. Insomma, devi farne di strada e non è che potrà essere così semplice percorrerla. Non è come andare a fare una passeggiata, ecco. Quindi, se vuoi appropriarti di questo termine, è meglio che tu scelga qualcosa di diverso da fare. Non per forza più semplice, ma più alla tua portata. Una cosa che puoi umanamente fare. Ci pensi e ci ripensi. Cos’è che puoi fare?

Restare. Puoi fare questo. Puoi provare a smetterla di scappare dalle cose, provando – per una volte per tutte – a imparare a rimanere anche quando sembrano complicate. Anche quando la malinconia ti massacra e il silenzio non t’aiuta. Anche quando l’altro sta zitto e tu invece puoi parlare. Anche quando l’altro fa tutto bene, e tu invece fai tutto male. Ed è così che Genovese dà vita a un film che parla, sostanzialmente, di supereroi. Gli toglie il mantello, l’armatura perfetta. Al posto dei muscoli inserisce le incertezze, e al posto del mantello la malinconia. Da poco disponibile su Amazon Prime Video, il regista di Perfetti Sconosciuti torna con una nuova storia. Una di quelle che ti sembra già esser stata raccontata e scritta, ma che poi si rivela differente. Differente, perché uguale a noi. E a nessun altro.

È la storia di due persone che si amano e che alla fine, chissà come, non se ne vanno. Finché c’è vita, stanno lì. Non li puoi schiodare dal luogo che hanno costruito con le loro mani stando insieme, dando vita a un legame che non voleva essere infinito ma che, semplicemente, lo è diventato. Insieme hanno costruito un quotidiano che ha smesso di essere precario senza che nessuno dei due se ne accorgesse tanto da far diventare reale, ogni giorno, quel a domani che ci si dice giusto per consuetudine, giusto per cortesia. Genovese ci racconta, così, una storia sull’amore che dura nel tempo narrandoci il suo inizio, il suo sviluppo, il suo epilogo.

Si sa. Lo svolgimento di una trama del genere ce lo si immagina fin dal principio. Perché pensi di trovare due persone che, a un certo punto del film, non riusciranno più a trovare un argomento di discussione. Te li immagini in silenzio, dalla parte opposta della stanza, con il telefono in mano. Te li immagini mentre parlano del più e del meno senza trasporto. Ma poi Genovese ti piazza in primo piano questi due che in comune non hanno assolutamente nulla, se non il fatto di non avere assolutamente niente in comune, e ti racconta di come – senza pensarci – tirano avanti sopportando le differenze, gli sbalzi d’umore, la vita sempre uguale. E tutto questo solo perché sono normali, come noi. Non possiamo, d’altronde, mettere la data di scadenza in fronte alle persone che incontriamo. Non possiamo farle fuori non appena smettono di sorprenderci. Lì sono bravi tutti. Ma qui non si può parlare di chi è più bravo. Dobbiamo parlare di chi è coraggioso, di chi rimane anche quando i silenzi battono dieci a zero le parole.

Lei è terrorizzata dal futuro. Riesce a immaginarsi solo dentro a un fumetto. Ha la testa un po’ per aria. È sarcastica, un po’ ambigua forse. All’apparenza sembra inaffidabile. Lui è razionale, meno fantasioso. Apprezza tutti i disegni in cui lei lo ritrae. È paziente, anche se sembra non tollerarla il più delle volte. Cerca il compromesso, ma solo dopo aver litigato. Da fuori, così, vediamo una coppia che ha tutte le probabilità di durare solo qualche ora. Però poi, chissà come, dura dieci anni. E lo fa perché, insieme, crea un team di supereroi che di certo non sarà in grado di sorreggere un grattacielo, ma certamente sarà in grado di sorreggere l’altro.

Genovese sceglie di spingersi oltre al semplice amore da routine andando a toccare i più vari argomenti, anche quelli più dolorosi, più antipatici, più devastanti. Non si tace quando si fa l’ora di farci vedere la parte brutta della monotonia, e non si tace quando diventa il caso di non affrontarla per far spazio ad altro. A stare insieme, ad esempio. Perché ad andarsene sono bravi tutti, ma a rimanere no. E attenzione: rimanere non significa non dire mai basta. Significa comprendere che quel tempo di solitudine che hai decretato sia in realtà la cosa più lontana dalle tue volontà. Perché essere supereroi significa anche questo: perdere tutto, ma andare a riprenderlo.

Supereroi non è un film che stupisce. È lineare, incoerente nella sua incoerenza, esattamente come l’amore. Non dà giudizi, non critica e non urla. Non insegna e non provoca. Racconta solo la storia di due persone che rimangono insieme diventando il supereroe dell’altro semplicemente versandogli dell’acqua da bere quando l’altro ha sete. Non vive di grandi gesti, di corse in aeroporto. Vive di piccolezze, di gelosie quotidiane e di una buonanotte scritta anche se si ci è appena sentiti al telefono. Parla di supereroi che non finiranno mai nella prima pagina di un giornale per le loro gesta, ma che tutt’al più se la canteranno e se la suoneranno da soli. Parla di cosa significhi rimanere accanto a qualcuno sviscerando tutti i pro e tutti i contro. Ti mette in guardia, ti avvisa. Ti dice che il tempo sarà la tua più grande gioia, ma anche il tuo più grande dolore perché non potrai fermarlo, sarai costretto ad accettarlo così com’è con tutte le sue variabili. Anche se fa male. Ti dice che è possibile diventare un supereroe, e che anche tu puoi esserlo. Ed è così che, senza rendertene conto, ti accorgi che essere Spiderman non è poi così complicato. E se sei fortunato, questo lo sai già.

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