La complessità di American Gods si riflette, purtroppo, nei problemi che si sono succeduti nelle prime due stagioni: cambi repentini di attori, showrunner con opinioni contrastanti tra loro, insomma tutti questi conflitti hanno avuto inevitabilmente un loro effetto sulla serie che potenzialmente è tra le più originali attualmente disponibili su Amazon Prime Video.
Con questa nuova terza stagione, però, la storia sembra voler ricalibrare le priorità , ritrovare le proprie radici e la propria strada per poter dare il meglio di sè. Questo non vuol dire rinunciare alle innovazioni e a quel pizzico di onirico che distingue American Gods dalle altre, ma indica un cambiamento sostanziale che è evidente sin dalle prime scene.
Abbiamo avuto infatti la possibilità di sbirciare nel mondo di Shadow Moon in anticipo, guardando le prime quattro puntate della nuova stagione di American Gods, inviateci in anteprima da Amazon Prime Video.
Il risultato è un prodotto coeso, più vicino alla sua controparte letteraria. È evidente un certo cambio di tono che, se dovesse risultare consistente, potrebbe salvare la serie da tutto ciò che ha subito nel passato. È meglio però andare con ordine.
Questa recensione degli episodi non contiene spoiler effettivi sulla trama: le uniche cose accennate sono già comparse nel finale della seconda stagione e nel trailer uscito lo scorso Dicembre.
Gli showrunner di questa terza stagione sono Chic Eglee – produttore di serie come Dexter e The Walking Dead – e Neil Gaiman, autore del libro da cui la serie è tratta e grande forza motrice dei cambiamenti avvenuti in questi quattro episodi. Il bisogno di ricalibrare American Gods è risultato d’obbligo dopo il finale della seconda stagione (di cui abbiamo parlato anche qui): la storia sembrava essere esplosa nelle mani degli sceneggiatori, i personaggi erano diventati poco consistenti e i lati positivi non riuscivano a compensare questo senso di smarrimento.
È per questo che il lavoro fatto per la terza stagione ha coinvolto molto di più non solo gli autori, ma anche gli attori che da quattro anni a questa parte hanno dato un volto ai personaggi di American Gods. Come ha affermato anche Ricky Whittle, interprete del protagonista della serie Shadow Moon:
Non puoi avere voci diverse e autentiche rappresentate nella storia se non le coinvolgi anche nel processo creativo […] Avrete la verità perchè siamo tutti coinvolti nella terza stagione. È merito di Chic Eglee e Neil Gaiman portare diversità sullo schermo, una diversità che gli spettatori a casa possono apprezzare e in cui ritrovarsi.
You can’t have diverse, authentic voices on camera without having them in the creative process. […] You’re getting the truth in season three, because we’re all involved. That was down Chic Eglee and Neil Gaiman wanting authentic diversity on screen, which people at home can look to and relate to.
La stagione si apre con un breve salto temporale di qualche mese, un’ottima scelta che permette di scegliere con attenzione quali trame riprendere e quali invece abbandonare senza trascinarle ulteriormente. Il ritmo della serie continua a essere lo stesso: lento, ma sempre in costante movimento verso l’inevitabile guerra tra nuovi e vecchi dei. La trama principale però rimane sullo sfondo, mentre si lascia spazio non solo allo sviluppo di personaggi già conosciuti e all’introduzione di nuove pedine, ma anche a momenti più evocativi, capaci di comunicare avvenimenti con le immagini e le canzoni più che con le sole parole.
I personaggi sembrano dunque muoversi con obiettivi più chiari e diretti rispetto alla stagione precedente: Shadow Moon cerca di lavorare su se stesso e si ritrova a vivere nell’apparentemente idilliaca cittadina di Lakeside, suo padre Odino continua a recrutare divinità e fedeli per la sua guerra, Salim cerca di convivere con l’improvvisa sparizione del Genio dalla sua vita e così via. Ogni episodio ha una storia interna abbastanza chiara e immediata: questa semplicità , apparentemente immobile, aiuta in realtà moltissimo la trama principale poichè permette di creare uno slancio narrativo e propelle la storia verso il suo obiettivo finale.
American Gods sembra dunque accettare in questi episodi un tipo di narrazione più corale, ma imposta sin dalla prima puntata una gerarchia d’importanza fondamentale: la storia è principalmente quella di Shadow Moon e del suo ruolo nella guerra tra le nuove e vecchie divinità . Il destino del personaggio, però, è in continuo divenire poichè dipende dalle sue esperienze. La sua evoluzione, tutt’altro che prevedibile, merita tutta l’attenzione non solo degli spettatori, ma anche e soprattutto degli scrittori della serie.
Ciò non esclude ovviamente l’esplorazione di altri personaggi altrettanto importanti e amati dal pubblico: dalla magnetica moglie di Shadow, Laura – che nelle scorse stagioni ha molto spesso oscurato col suo carisma la trama del protagonista – e il suo rapporto con l’ancora defunto Mad Sweeney ai piani della rinata Ms. World che cerca in tutti i modi di sabotare Odino.
Questi episodi non sembrano temporeggiare in attesa della tanto promessa battaglia, ma permettono di andare a fondo per comprendere le volontà e le motivazioni dei vari protagonisti. Ciò che potrebbe sembrare un modo di prendere tempo si trasforma così in una forza motrice fondamentale per la storia: ogni grande narrazione ha bisogno di scelte, di conseguenze. Quando lo spettatore ha la possibilità di osservare con i propri occhi ciò che si cela dietro questi avvenimenti, la qualità della narrazione non può che giovarne.
È ciò che si nota di più in questi quattro episodi: i piccoli aggiustamenti fatti hanno avuto un enorme impatto sulla storia.
Ciò non vuol dire che gli episodi siano perfetti: ogni puntata contiene un minimo di tre diverse sottotrame e, per esempio, la gestione di questi diversi racconti risulta a volte un po’ goffa e poco naturale, ma i salti da una storia all’altra permettono comunque alla trama principale di compiere piccoli passi avanti con un ritmo consistente. Ogni episodio ha nella sua totalità almeno un momento importante, risultando così utile e necessario.
Si sente molto la mancanza di alcuni personaggi interessanti come New Media e Mr. Nancy, interpretati rispettivamente da Kahyun Kim e Orlando Jones (quest’ultimo licenziato dopo la fine della scorsa stagione). La loro assenza rappresenta una grande inconsistenza rispetto la stagione precedente e a livello di trama questo cambiamento non si giustifica in alcun modo, ma anzi viene completamente ignorato. Il pericolo dunque che questa stagione rimanga con un ottimo potenziale inesplorato è presente, ma si può avere fiducia che il finale in questo caso sia diverso da ciò che è avvenuto in precedenza.
Rimane preponderante l’originalità della serie, data da un mix sapientemente studiato di simbologia, richiami mitologici e attuali. Il tutto è accompagnato da una soundtrack che, come nelle scorse stagioni, sa essere coinvolgente e risultare addirittura essenziale alla creazione delle varie atmosfere, importante tanto quanto il montaggio o le interpretazioni stesse degli attori.
Questi primi episodi di American Gods rappresentano dunque un inizio solido e promettente per la terza stagione: è evidente che gli scrittori hanno lavorato molto per farci appassione di nuovo a questo mondo così originale e hanno in mente un preciso punto della storia dove guidarci. In attesa di capire cosa succederà , non ci resta che allacciare le cinture e goderci questo nuovo approccio che punta a valorizzare, tra tutto, i conflitti tra le divinità presenti non solo nel mondo di Shadow Moon, ma anche e soprattutto nel nostro.