La preparazione al grande salto nel buio finale in questa stagione di American Horror Story ci sta regalando numerose evoluzioni dei personaggi. La scacchiera si sta svuotando, e le pedine continuano a cambiare direzione, colore e ruolo alla velocità della luce, rendendoci sempre più difficile stare dietro ai mille voltafaccia, alle mille indecisioni, ai tradimenti e alle rivelazioni.
Cominciamo da Winter, fulcro di questa puntata e citata anche nel titolo (che si rifà volutamente a Shakespeare): la sua lealtà verso il fratello, già vacillante dopo il suo avvicinamento all’utopia femminista militante, viene messa a dura prova dalla follia galoppante di Kai, che vuole servirsi di lei per generare il nuovo Messia, costringendola a giacere, durante un rituale che ha del grottesco e del trash insieme, con il poliziotto biondo e ariano che abbiamo visto preferire decisamente la compagnia di altri uomini e dello stesso Kai.
Ally è più combattiva che mai. La sua furia si indirizza verso Vincent, il suo psichiatra, reo di non averla protetta e di aver lasciato che per la sua negligenza Kai avesse un accesso facilitato alle sue fobie, alle sue debolezze e alla chiave per scardinarle la vita. Scoprire che Kai, Vincent e Winter sono fratelli, poi, fa scattare dentro di lei la molla del complotto, che avvia definitivamente il processo di vendetta che vediamo muovere i suoi primi passi con una negoziazione che sfocerà nel sangue. Ally vende a Kai il fratello (lo intuiamo nella splendida scena di confronto tra i due, che ormai non si temono più), e Vincent sfuma in tutta la sua autorevolezza implorando inutilmente il perdono fraterno, che non gli viene ovviamente concesso.
L’uccisione di Vincent di fronte a Winter sarà, probabilmente, la molla che farà scattare nella combattuta ragazza la volontà di dissociarsi completamente dalla setta e da un Kai sempre più sconnesso dalla realtà e ubriaco di potere. Speriamo che il personaggio di Winter vada in questa direzione: è rimasta solo lei, ormai, all’apparentemente invincibile ma in realtà già distrutto Kai. L’entrata di Ally nella setta è sintomatica del cambiamento che sta avvenendo in lei: distruggere il sistema dall’interno, smascherare la moglie, sempre più codarda e vigliacca, e riprendersi suo figlio sono i suoi obiettivi principali. Ereditare il costume da clown di Beverly è solo il primo passo per prendersi tutto.
Un altro polo di questa stagione di American Horror Story, che speriamo dia i suoi frutti migliori nelle battute finali, è Beverly: ribelle, coerente con se stessa nella malvagità come nella rettitudine, fiera, il suo personaggio è, insieme a quello di Kai, uno dei più riusciti di questa settima stagione. Beverly ormai è in lotta aperta con Kai, che non prova nemmeno a nascondere la delusione per la sua preferita: la Giuda nera di questa stagione di American Horror Story verrà risparmiata al plotone di esecuzione, e ci auguriamo che l’intervento di Winter la riporti sul campo di battaglia al più presto. Non possiamo più fare a meno di lei.
Questa puntata di American Horror Story presenta i soliti pregi e i soliti, purtroppo, difetti: una certa ingenuità nella presentazione di alcune situazioni (diciamocelo: la scena alla Seven nella casa delle torture del pastore potevano risparmiarsela o renderla più credibile), la solita foga di utilizzare i flashback per spiegare anche i retroscena più scontati o meno necessari, la fretta di mettere nel calderone troppi elementi senza dare il tempo di spiegarli e farli digerire al pubblico, la ricorrenza di alcuni leitmotiv nel personaggi. Fa eccezione, e non ci stancheremo mai di dirlo, Evan Peters, che con il suo Kai rischiava di tratteggiare il solito trito e ritrito elettore medio di Trump, e che invece ha contribuito a creare un personaggio complesso, un villain con mille sfaccettature che sfugge a tutte le definizioni e alle briglie sociali e culturali per collocarsi in un Olimpo in cui gli dei esigono regolari sacrifici di sangue.
Il finale di American Horror Story potrebbe seguire due strade: attestarsi sul pessimismo cosmico che caratterizza il lavoro di Ryan Murphy e presentarci Kai sul tetto del mondo, incontrastato padrone di tutto. Oppure potrebbe mostrarci un colpo di coda della sorellanza femminista che prende in eredità il sogno di Valerie Solanas di un mondo libero dall’arroganza maschile. In tutti e due i casi, o in previsione di un finale completamente inaspettato, potremo tirare un sospiro di sollievo: American Horror Story, dopotutto, ha ancora molto da dire.