È difficile non cedere all’orrore che questa terza puntata di American Horror Story ci evoca. La tentazione di spegnere la Tv dopo la prima, agghiacciante, scena, è forte, ma bisogna resistere. Dopotutto, la precedente puntata ci aveva insegnato che non bisogna avere paura del buio, e noi dobbiamo essere forti. Ma come si fa ad essere forti, quando le tue peggiori paure si concretizzano, ti immobilizzano e ti chiudono in quello che sarà il guscio della tua morte, come avviene alla sfortunata coppia in apertura di puntata?
E mentre la faccina sorridente disegnata con il sangue continua ad apparire nelle case, seminando il terrore, Ally può ringraziare le leggi sulla legittima difesa dello stato del Michigan, che le consentono di sventare l’arresto per l’omicidio del suo dipendente, freddato sulla porta di casa in un impeto di paura da black out/attacco terroristico/attacco di clown. Ma non l’ha proprio del tutto fatta franca: la popolazione mulatta e ispanica della città vuole ancora farle la festa, e solo l’intervento miracoloso di Kai la salva dal linciaggio. Kai appare come un padreterno a salvare la situazione, e al suo apparire la folla inferocita si dilegua: mai prima d’ora Evan Peters aveva interpretato un personaggio così enigmatico e così carismatico, capace di suscitare brividi di terrore e allo stesso tempo ammirazione.
Kai ci tiene a far sapere ad Ally quanto ammiri il suo gesto coraggioso, e quanto abbia apprezzato il fatto che abbia freddato uno straniero. E mentre pare che Ally abbia il più improbabile degli alleati, il contesto a lei più famigliare si rivolta contro di lei: i vicini le fanno una scenata intrisa di bullismo, pietismo da quattro soldi e perbenismo, marcandola a vita, il vicinato è perseguitato dalle ronde di un misterioso camion che sparge vapore dall’inquietante colore verde. Il livello di paranoia di Ally è alle stelle, e la sua rabbia esplode dopo che trova, di ritorno da una serata rilassante con Ivy e Oz, il porcellino d’India del bambino assassinato e la loro casa marchiata con la faccina sorridente, preludio alle peggiori atrocità e ormai celebre in tutto lo stato. Le sue minacce ai vicini, sospettati subito dell’accaduto, apre una frattura tra lei e Ivy che può solo aggravarsi ancora di più quando quest’ultima vede un video, girato all’insaputa di Ally, che la ritrae nel suo momento di debolezza con Winter nella vasca da bagno.
Ma quando le cose sembrano non poter andare peggio di così, un colpo di teatro svela gli altari nascosti di questa puntata: il grande burattinaio di American Horror Story – Cult è lui, Kai, che tiene in pugno i vicini, mettendoli l’uno contro l’altra, Winter, il poliziotto che segue il caso della famiglia arcobaleno, e probabilmente anche lo psicologo di Ally. Lo intuiamo da un particolare inquietante, messo sicuramente non a caso da Ryan Murhpy, che ci fa drizzare le orecchie e getta una nuova luce sul personaggio.
La scomparsa (probabile omicidio) di Meadow può solo aggravare una situazione in cui ormai tutti sono contro tutti e ognuno è per sé. Ally è sola, consapevole della sua verità ma incapace di trasmetterla alla moglie, Oz è sempre più traumatizzato, Meadow e Harrison mostrano le rispettive fragilità e l’ostilità nascosta dietro la facciata di perbenismo; dietro a tutti c’è Kai, che inizia a muovere i fili dei suoi pupazzi. L’entità sconosciuta dietro gli omicidi e lo spargimento di sostante tossiche nell’aria è solo la ciliegina sulla torta di una rete di paranoia, sospetto e violenza che sta imbrigliando i personaggi facendoli dubitare di tutto, anche di se stessi. Ma nessuno ha più dubbi che ci sarà da avere tanta paura, in questa settima stagione di American Horror Story. E neanche noi ne dubitiamo.