Prima del tanto atteso ritorno di American Horror Story, arrivato alla sua decima stagione (qui il trailer) dopo uno hiatus di più di un anno dovuto alla pandemia, Ryan Murphy e Brad Flachuck hanno deciso di “deliziare” i propri fan con un progetto gemello della serie madre. Perché gemello? Perché American Horror Stories parte dalle stesse premesse di fondo dello show originario, riprendendo quella cadenza antologica e applicandola, stavolta, non alla singola stagione ma a ogni episodio. L’idea di partenza della serie tv spin-off era quindi abbastanza intrigante: storie accattivanti, che pescavano dal folklore e dai classici del genere, e attori meticci cari all’attore come Matthew Bomer, Billie Lourd e Dylan McDermont. Peccato però che, come potrete evincere dal titolo, lo spin-off di American Horror Story si sia rivelato un totale incubo e non nel senso positivo che abbiamo in mente quando pensiamo al franchise.
A seguire troverete SPOILER del fratellino minore di American Horror Story, quindi se siete interessati allo show tornate pure a visione avvenuta. Vi aspettiamo nella Murder House!
American Horror Stories è come quell’oggetto (uso un termine generico così che possiate immedesimarvi meglio) che vedi da lontano e ti sembra straordinario, tanto da smuovere la tua curiosità e avvicinarti. Mentre ti avvicini, però, inizia a insinuarsi il sospetto che, tutto sommato, non si tratti di chissà quale cosa pazzesca ma ormai è troppo tardi, la curiosità ha la meglio. Ed ecco che ormai sei lì, di fronte all’oggetto in questione e ti rendi conto che non solo è come qualsiasi altra cosa ma risulta persino banale.
Applicate adesso questo stesso senso di straniamento e delusione alla prima stagione (ebbene si, lo show è stato già rinnovato per una seconda) della serie tv che voleva raccogliere l’eredità di American Horror Story ma ha fallito miseramente.
Lo spin-off si svolge in un tempo imprecisato, senza chiarire mai il “dove” rispetto agli eventi della serie tv originale. L’unica cosa certa è che appartiene a quello stesso universo e prova ne è il primo episodio. La serie tv apre infatti con un ritorno a Murder House, con un doppio pilot che ci introduce nuovi personaggi ma la cara, vecchia casa infestata. Protagonista dell’episodio è Scarlett e i suoi due padri, decisi a trasferirsi nella villa nonostante ciò che si dica in giro: “chi entra a Murder House non ne esce vivo”. Nel corso dei due episodi succede di tutto, dalle pulsioni omicide di Scarlett a pigiama party in stile Mean Girls, da morti ridicole ed esagerate a un amore ancora più ridicolo. L’indole da killer di Scarlett viene, infatti, alimentata da Ruby (Kaia Garber), un’assassina e sociopatica che uccide per divertimento e che Murphy cerca di propinarci come il personaggio più figo mai visto.
Ma non c’è niente di figo in questa Murder House e in questi personaggi, copie mal riuscite di quei primi protagonisti con i quali ci siamo innamorati della serie.
Il terzo episodio, “Drive In” riesce a risollevare brevemente il tono dello show. Dalla casa infestata passiamo a un drive in e a un film maledetto che trasforma chiunque lo guardi in un cannibale assetato di carne. La puntata rimane abbastanza nel vago e va bene così, il fulcro della vicenda risiede, in fondo, nella performance sopra la media di John Caroll Lynch e nel suo monologo sull’arte del cinema.
Il quarto e il sesto episodio rappresentano i segnali d’allarme che dovrebbero spingere ogni capitano ad abbandonare questa specifica nave. Eppure, per uno strano e contorto impulso pavloviano molto comune quando si tratta American Horror Story, la visione continua. Il quarto episodio, “The Naughty List”, vede Danny Trejo vestire i panni di un Babbo Natale omicida deciso a punire quattro influencer che secondo lui hanno un tantino esagerato. La sesta puntata,”Feral”, ci porta in mezzo ai boschi degli Appalachi insieme a una coppia alla disperata ricerca del figlio perduto tanti anni prima. Ad attenderli, non c’è solo uno sceriffo bizzarro interpretato da Cody Fern ma anche una tribù ferale dalle strane abitudini alimentari. Una puntata che è un richiamo diretto a Roanoke, ma non penso davvero che richiamare quella che viene generalmente considerata la peggiore stagione di American Horror Story sia stata un’idea tanto saggia.
Prima di parlare del finale e trarre le nostre conclusioni vorrei fare una piccola menzione d’onore al quinto episodio, ovvero “BA’AL”, in cui Billie Lourd veste i panni di una ricca ereditiera disposta a tutto pur di avere un bambino. Tra demoni, sedute spiritiche e un finale a sorpresa, la puntata ha brillato come unica luce durante queste sette settimane di disagio e cringe.
Il settimo e ultimo episodio, “Game Over”, rappresenta il punto più basso dell’intera serie tv. Torniamo nella Murder House ma stavolta i piani della finzione e della realtà si intrecciano tra loro più volte e in maniera confusionaria. Non so esattamente cosa sia stato peggio se la storia d’amore tra Ruby e Scarlet, costruita male dal principio e conclusasi in maniera tragicomica, la presenza di Noah Cyrus nei panni di una fan sfegatata dello show, oppure la figura della madre ossessiva compulsiva che pur di creare un videogioco è disposta a comprare una villa infestata e morirci dentro. Il vero finale della puntata risulta ancora più inverosimile, o meglio, è come se Murphy stesso resosi conto di essersi lasciato andare sia tornato sui suoi passi e abbia cercato di chiederci scusa. E no, non è neppure così perché quella pallina rossa durante l’ultimo minuto è proprio uno schiaffo in faccia alla pazienza di qualsiasi fan.
Insomma, American Horror Stories non è altro che il grande calderone in cui Murphy ha deciso di buttare tutto ciò che non è riuscito a inserire nella serie tv madre: un po’ di survival horror, una goccia di paranormale, un pizzico di Krampus, una dose abbandonante di prima stagione “che-piace-a-tutti-quindi-piacerà -anche-qui”. Sfortunatamente quello che ne viene fuori è una poltiglia senza capo né coda, piena di ingredienti interessanti e potenzialmente fatali ma che non riescono nemmeno a lasciarti un lieve pizzicore.