American Horror Story è ormai arrivata ormai alla decima stagione. La serie ha avuto un successo incredibile e non fatichiamo a capire il perché, dal momento che si tratta di uno dei migliori prodotti horror presenti in circolazione (qui potete trovare la classifica di alcuni dei più inquietanti e iconici personaggi della serie). Ma non solo: American Horror Story ha fatto da apripista per altri show antologici magnifici come The Haunting.
E in effetti, se si confrontano le prime stagioni di queste due serie, non possiamo non riscontrare diverse analogie. Certo, The Haunting of Hill House ha dei toni più delicati e spirituali. Il tema horror viene usato più come pretesto per raccontare in maniera approfondita il concetto di elaborazione del lutto, le dinamiche familiari che si creano in seguito a una tragedia in grado di sconvolgere numerose vite.
American Horror Story, invece, è tutto fuorché delicata.
La prima stagione, American Horror Story: Murder House sembrerebbe quasi pacchiana, per certi versi. Ridondante, sarebbe un altro aggettivo calzante. Ma il punto è che questi non sono considerabili difetti, perché sono effetti volutamente ricercati.
La prima stagione della serie comincia in quello che potrebbe definirsi il più banale dei modi: la famiglia Harmon si trasferisce nell’assolata California per iniziare una nuova vita. I coniugi Vivien e Ben sembrano usciti da una pubblicità patinata. Belli, ricchi, affascinanti, con una figlia splendida, sono l’incarnazione del Sogno Americano. Ma è chiaro fin da subito che qualcosa non va. Vivien è infatti stata sconvolta da un aborto spontaneo avvenuto a uno stato molto elevato della gravidanza. Un simile shock ha inevitabilmente sconvolto la vita familiare e intima degli Harmon. Motivo per cui il marito, Ben, pensa bene di cercare conforto fra le braccia di una sua giovane studentessa, Hayden.
Vivien, cogliendo il marito sul fatto, vorrebbe separarsi, ma Ben la convince a cercare di ritrovare l’armonia familiare, trasferendosi in un altro Stato. Ed ecco che da Dallas, la famiglia Harmon si trasferisce a Los Angeles, in una bellissima villa appena ristrutturata. Quello che però la famiglia non sa, è che la casa, fin dai tempi della sua costruzione, è stata teatro di atroci delitti. Ma non tarderanno a scoprirlo.
La casa è infatti infestata da moltissime presenze, che girano per le stanze interagendo con i membri della famiglia e creando non poco scompiglio. Ad aggravare la situazione, ci si mette anche la vicina di casa, Constance, con la figlia Adelaide, affetta da sindrome di down. La ragazza si diverte a girovagare da sola per le stanze della villa, entrando di nascosto per chiacchierare con quelli che lei definisce “i suoi amici”. Dal canto suo, Constance sconvolge Vivien con il suo agghiacciante cinismo e il suo malcelato disprezzo verso l’umanità. A completare il quadro si aggiunge la domestica Moira, che per qualche misterioso motivo Vivien vede anziana, mentre Ben giovane, bellissima e provocante.
Violet, dal canto suo, è un’adolescente che va fiera della sua (ricercata) condizione di outsider. Motivo per cui non ha difficoltà a stringere subito amicizia con Tate, un giovane paziente psicotico del padre. Che, a quanto pare, non incontra nessun ostacolo nell’intrufolarsi in casa quando gli pare e piace. Insomma, non si può dire che a Murder House non ci sia sempre un certo viavai.
American Horror Story: Murder House parte subito con il botto.
A differenza di altre serie tv del genere, che presentano un climax ascendente verso l’orrore, American Horror Story: Murder House ci fa saltare dalla sedia fin dalle prime scene. E, in perfetta coerenza con la tradizione horror americana, è piena di jumpscare. Non è neppure così necessario comprendere la logica narrativa: non appena si entra nella Casa degli Omicidi, si viene gettati in un caleidoscopio di orrori dove non è più possibile distinguere la realtà dalla finzione. Se all’inizio lo spettatore cerca di fare ipotesi, di capire che cosa sta succedendo, dopo getta inevitabilmente la spugna. Anche perché è davvero difficile capire chi sia il fantasma e chi no. Le presenze che popolano la casa, infatti, sono materiche, tangibili. Interagiscono senza alcun problema con gli abitanti della casa. Al punto che neanche loro non riescono a comprendere che cosa siano davvero. Il nostro sguardo si fonde con quello dei protagonisti, gettati in questo incubo allucinato dove l’eccesso regna sovrano.
Perché in effetti il nome che più si addice ad American Horror Story è proprio questo: eccesso.
Un eccesso che la fa da padrone anche nelle stagioni successive. Ma questo, appunto, non può essere considerato un difetto. American Horror Story è un concentrato di tutte le leggende americane. Case infestate, fantasmi in cerca di vendetta, serial killer a piede libero. E, esattamente come nella realtà, il mito si mescola alla verità. Fatti di cronaca nera vengono volutamente gonfiati, ingigantiti ed entrano cinicamente a far parte del folklore locale. Anche i riferimenti al terribile Charles Manson e alla sua setta, presenti nella serie, non sono casuali. La scia di sangue che il tremendo assassino ha tracciato, fa parte della storia americana.
Se si guarda American Horror Story con attenzione, ci si rende conto di avere davanti un gigantesco dipinto della cultura statunitense. Rappresentata fra l’altro senza mezzi termini. Sì, perché la serie non è affatto buonista, anzi. Vuole criticare apertamente una società cruda e violenta, che si nasconde dietro un sottile velo di ipocrisia. Gli Harmon sono una famiglia all’apparenza perfetta. Non a caso, lo stesso cognome richiama la parola harmony, “armonia”. Ben è uno psichiatra di successo, cosa che porterebbe a pensare sia una persona equilibrata e inquadrata. Ma la verità emerge fin da subito. A differenza di serie tv come The Undoing, dove il velo di perfezione viene strappato lentamente, con cura certosina, in American Horror Story viene squarciato con brutalità fin dall’inizio. Come per dire: “questa è la verità, siete pronti ad accettarla? Noi ve la propiniamo a forza”.
Nonostante American Horror Story potrebbe definirsi il padre di The Haunting, è molto più violento, crudo, sconvolgente. Si coglie quasi una sottile ironia e compiacimento nel mostrare la sequela di orrori che popola Murder House, tanto i toni diventano grotteschi in alcuni punti. Sia la prima stagione di American Horror Story, sia The Haunting of Hill House raccontano di case infestate. Entrambe mostrano il dramma di una famiglia dilaniata da problemi familiari, che vengono aggravati dalla presenza costante di una casa che fagocita le anime di chi vi abita. In entrambi i casi, è come se la villa fosse dotata di vita propria. Come un gigantesco predatore che sta accucciato, quieto e paziente, in attesa di divorare le prossime vittime. E non fa solo questo. Si diverte a giocare con loro, portandole alla follia, fino a che non sono loro stesse a consegnarsi al mostro, sperando in una rapida fine. Entrambe le case collezionano anime perdute, condannate a rimanere dentro quelle mura per sempre. Ma se in The Haunting i simbolismi sono così tanti, le metafore talmente presenti da lasciarti con il dubbio che sia tutto frutto di immaginazioni malate, in American Horror Story è chiaro fin da subito che non è così. I fantasmi della Casa degli Omicidi sono classici, canonici, perfettamente in linea con l’ideologia collettiva. Ma è giusto così. Perché la serie vuole mostrarci i nostri incubi peggiori, quelli che popolano la coscienza comune. Ci risulta difficile accettare l’idea di un fantasma inteso come anima perduta che ricerca la salvezza. Perché non avrebbe senso avere paura di loro. Nel nostro inconscio, i fantasmi sono brutti, cattivi e assetati di vendetta. Ed è così che American Horror Story li dipinge. Perché fa leva proprio sul nostro inconscio. E sui nostri istinti primordiali.
La serie ci mostra la brutalità della natura umana, la cattiveria intrinseca di una società assetata di sangue. E alla fine, per quanto i fantasmi siano terrificanti, ci si rende conto di un’amara verità. Che il mostro è l’essere umano. Morto o vivo che sia, poco cambia. La sua natura animale è lì, quiescente e pronta a esplodere in tutta la sua intensità.