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American Primeval è un vero e proprio colpaccio – La recensione della nuova miniserie western su Netflix

i protagonisti di American Primeval osservano il loro futuro con sconcerto
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American Primeval, uscita lo scorso giovedì, 9 gennaio 2025, è uno di quei prodotti che farà parlare a lungo di sé? O, data la collocazione di uscita così presto nell’anno, c’è il rischio che finisca nel dimenticatoio?
Quel che è certo è che la miniserie composta da sei puntate ci ha lasciati piacevolmente sorpresi, dall’inizio alla fine.
Naturalmente, è venuto spontaneo fare il paragone con altri western che negli ultimi anni hanno riempito i palinsesti delle piattaforme online. Ma American Primeval ha il pregio di prendere un determinato periodo storico con personaggi realmente esistiti e di ricamare sopra una storia che possa raccontare, seppure in parte, gli albori tutt’altro che pacifici degli Stati Uniti d’America.

American Primeval è molto più che verosimile

Nel 1857 gli USA non sono ancora quelli che conosciamo oggi. I confini geografici della nazione vanno dall’oceano Atlantico fino a un pezzo del Texas e poi la California. Nel mezzo il territorio è occupato dai nativi americani, quelli che nell’immaginario collettivo vengono erroneamente chiamati indiani. Poi c’è lo Utah, uno stato caratterizzato da deserti aridi e folte foreste, occupato prevalentemente dai mormoni. È proprio qui che si sviluppa la storia di American Primeval. O forse converrebbe dire le storie. Perché in questa miniserie i protagonisti sono davvero tanti. Ma andiamo con ordine.

La miniserie si apre con un grande classico: la ferrovia. Una sperduta stazione, al limite del mondo moderno (per l’epoca). Sulla banchina, di fronte a binari che finiscono letteralmente lì, ci sono Sara e il figlio Devin. La donna è piuttosto inquieta. Da come si guarda attorno è chiaro che stia aspettando qualcuno. Qualcuno che tarda a venire. Il figlio, interpretato da Preston Mota (Asteroid City), invece è piuttosto annoiato. La incalza con domande apparentemente banali ma che racchiudono l’essenza di tutta la miniserie. La donna, interpretata da Betty Gilpin (candidata a tre Emmy per il ruolo di Debbie Eagan in Glow), risponde come può, come sa. E finisce per invitare il figlio a rileggere il libro appena terminato (un altro classico dell’epoca: Oliver Twist, di Charles Dickens).
Un uomo, su un carro, avvicina la donna. Si tratta della loro guida. C’è un breve alterco tra i due. L’uomo è in ritardo sulla tabella di marcia e Sara non gliele manda a dire. Alla fine partono per raggiungere Fort Bridger, dove la donna e il ragazzino hanno appuntamento con un Jim Beckwourth e la sua carovana, diretta all’Ovest.

Un ottimo cast

Jim Bridger, interpretato da Shea Whigham e Brigham Young, interpretato da Kim Coates
Credits: Netflix

Dalla piena luce solare della sperduta stazioncina alle tinte opache di questo accampamento. Dal caldo dell’arido deserto al freddo delle montagne innevate. La natura e i suoi colori cambiano radicalmente. Questo mutamento introduce lo spettatore nel mood della serie sottolineando un cambio repentino nella vita dei due protagonisti finora incontrati. Madre e figlio non possono più tornare indietro. Il loro passato è alle spalle, occorre dimenticarlo. Per Sara e Devin inizia una nuova vita. Anche se non proprio nei migliore dei modi.
Quella che doveva essere semplicemente una tappa di passaggio risulta invece il centro nevralgico dal quale si dipanano le altre storie. In particolare quella tra Jim Bridger e Brigham Young, interpretato da Kim Coates (celebre per il suo Tig Trager in Sons of Anarchy). I due, realmente esistiti, sono rispettivamente il fondatore di Fort Bridger e il secondo presidente della chiesa mormone.
All’interno di Fort Bridger, luogo dimenticato da Dio e dalla pietà umana, lo spettatore farà la conoscenza di altri personaggi, protagonisti. In particolar modo di Isaac, che accompagnerà Sara e Devin lungo tutto il loro peregrinare. E di Abish e Jacob Pratt, la cui vita matrimoniale appena iniziata si rivelerà una tragedia, e certo non per colpa loro.

American Primeval e Leonardo DiCaprio

American Primeval è ideata e scritta da Mark L. Smith, nuovamente alle prese con il tema del selvaggio West dopo la sceneggiatura di The Revenant con Leonardo DiCaprio. Ha le sue radici proprio nel film che ha assegnato l’Oscar all’attore americano. L’autore, infatti, ha ripreso e sviluppato il personaggio di Jim Bridger che in The Revenant appare ragazzino. “Rimasi molto colpito da questo personaggio storico e decisi che avrei voluto approfondirlo. L’occasione me l’ha data Netflix“, dice Mark L. Smith.
La figura di Bridger non è l’unica realtà storica riadattata per fini narrativi. Tutta la miniserie, infatti, è piena di personaggi, luoghi e momenti storicamente esistiti. Come l’attacco alla carovana che dovrebbe portare Sara e Devin all’Ovest. L’ispirazione viene dal famigerato massacro di Mountain Meadows ed è il fattore scatenante delle varie vicissitudini dei nostri protagonisti.

Dal cinema alla televisione

Proprio la scena dell’attacco alla carovana ci porta a parlare della regia, affidata a Peter Berg. Il regista, reduce da un’altra miniserie targata Netflix (Painkiller, dedicata alla terribile tragedia della dipendenza da oppiodi), dà a questa sua nuova creatura un taglio molto preciso, netto. La sua regia alterna paesaggi meravigliosi e incontaminati a volti trasfigurati dal dolore e dalla sporcizia. Come se l’uomo non fosse adatto a camminare su questo mondo. Peter Berg sceglie di raccontare questa storia attraverso l’uso di colori freddi, privati della loro naturale vivacità come a voler rafforzare un mondo già di per sé ostile.
La scena dell’assalto al convoglio verso l’Ovest è emblematica e rappresenta, sostanzialmente, tutte le intenzioni del regista. Lo spettatore segue per pochi minuti, attraverso gli occhi di Sara, la tragedia della sopraffazione. Attraverso una serie di movimenti di macchina si ha l’impressione di vivere in diretta tutta la scena, di esser lì a terra con il panico che ci impedisce di muoverci e il terrore di non sapere cosa fare.
American Primeval risulta perciò essere una serie cruda, violenta, aggressiva, di una ferocia inaudita. Il tutto non in maniera gratuita. Anzi, la pressione con la quale Peter Berg ci accompagna è un costante crescendo che esplode nelle battute finali. La regia tende a sottolineare per tutte le sei puntate come non ci sia possibilità di sopravvivenza per chi è debole. Obbligando i personaggi a cambiare in continuazione per cercare di sopravvivere in un mondo dove i buoni sentimenti non esistono e la vita vale meno di un soffio.

Per molti ma non per tutti

Sara e Devin nel bel mezzo della battaglia
Credits: Netflix

Questa miniserie non ha l’intenzione di abbracciare un vasto pubblico. E persino per gli amanti del genere può risultare faticosa da digerire. D’altro canto se si vuole competere con Yellowstone e i suoi spin off (ma non solo) qualcosa si deve pur fare.
American Primeval non è un capolavoro ma ha la capacità di raccontare una briciola di storia americana senza particolari interpretazioni filosofiche. Cerca di attenersi ai fatti senza darne un giudizio. Permette ai suoi spettatori di godere di un affresco d’epoca meticolosamente ricostruito che rasenta la perfezione lasciando piena libertà di delibera.
Nel mezzo della costante violenza con la quale si manifesta l’umanità c’è anche spazio per un messaggio di speranza e di amore. Sara, insieme al figlio, rappresenta la ricerca di libertà contro la quale combattono religione e politica accomunate dall’arrogante appropriazione della legge, piegata per scopi personali. Per ottenerla, questa libertà, occorre rivedere le proprie priorità, le proprie abitudini, le proprie ideologie. Soltanto chi è in grado di modificarsi riesce a sopravvivere. Chi, invece, resta rigido nei suoi principi è destinato a soccombere.

American Primeval, infatti, va ben oltre la storia dei suoi personaggi. Racconta l’evoluzione dell’individuo di fronte alla crudeltà della vita. E lo fa senza concedere sconti, come accade ad Abish e Jacob. I due, separati dall’assalto alla carovana, passano tutte le sei puntate a rincorrersi, sbattuti di qua e di là da individui spregevoli le cui intenzioni non sono mai buone. La loro storia, però, inizia ben prima, quando ancora sono una coppia. Sottoposti a una scelta hanno due idee opposte che non sono in grado di conciliare.
Questa divergenza li porterà lontani, l’una dall’altro, fino agli estremi di un mondo che non erano in grado nemmeno di concepire. Per colpa della violenza alla quale sono sottoposti i due giovani sposi sono costretti ad abbandonare i loro ideali per sopravvivere. Un abbandono tragico al quale non sono in grado di adattarsi finendo travolti dalle loro stesse vicissitudini.

Un lavoro davvero, davvero interessante da guardare

American Primeval si presenta come un’opera audace e intensa, capace di immergere gli spettatori in un’epoca tumultuosa della storia americana. Attraverso una narrazione ricca di personaggi ben delineati e situazioni di grande impatto, la miniserie riesce a esplorare temi universali come la lotta per la sopravvivenza, l’evoluzione personale e la ricerca della libertà. Regia, sceneggiatura e fotografia offrono un racconto che, pur non cercando il consenso di tutti, si distingue per la sua autenticità e per la sua volontà di affrontare la brutalità della vita senza filtri.

Nonostante la sua natura cruda e spietata, American Primeval riesce a infondere un messaggio di speranza, senza sbrodolature eccessive, dimostrando che la capacità di adattamento e cambiamento è fondamentale per affrontare le avversità. I protagonisti, in lotta per trovare il loro posto in un mondo ostile, diventano simboli di resilienza e determinazione. Con il suo affresco storico meticolosamente ricostruito, la miniserie invita a riflettere sulle complessità dell’essere umano e sull’importanza di rimanere aperti ai mutamenti. In un panorama televisivo affollato, American Primeval potrebbe rimanere impressa nella memoria collettiva, non solo come un prodotto di intrattenimento, ma come un’opera che invita a interrogarsi sulle radici della nostra storia e sulla continua ricerca di libertà e identità.