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Ecco perché dovete recuperare assolutamente American Vandal

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Capita spesso che alcune Serie Tv vengano poco apprezzate dal pubblico, seppur osannate dalla critica. Rimangono nell’ombra, se ne parla poco e a volte anche superficialmente. Questo è il caso di American Vandal.

Lasciatemelo dire, American Vandal è una delle serie migliori degli ultimi anni. È giovane, innovativa e avvincente, per non parlare della perfezione tecnica. Strutturalmente è impostata sul genere del mockumentary, lo stesso filone di alcune pietre miliari del cinema horror come The Blair Witch Project o Rec. Il mockumentary, per farla breve e traducendolo alla lettera, è un falso documentario creato proprio per fare il verso (mock) ai prodotti più seri.

American Vandal prende quindi in giro e destruttura i classici documentari crime, primo fra tutti Making a Murderer. Con la volontà di aderire per filo e per segno ai cliché, visivi e strutturali, di una serie true crime si va a creare una parodia intelligente, che rispetta il genere da cui attinge senza dissiparlo in comicità fine a se stessa e, soprattutto, lo esagera, ma senza strafare. È un prodotto di una qualità inaudita, in cui è davvero difficile distinguere il falso dal reale.

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Lo show ruota attorno a due casi di vandalismo che nascondono segreti e ingiustizie scolastiche: un caso per ciascuna stagione di otto episodi. Ma andiamo con ordine.

La prima stagione ruota attorno alla figura di Dylan Maxwell, frettolosamente accusato di aver disegnato 27 peni su altrettante macchine nel parcheggio riservato ai docenti. Sulla sua testa pende un’enorme spada di Damocle che sembra condurre senza se e senza ma alla sua colpevolezza. Gli unici che non sembrano farsi abbindolare dalle generalizzazioni sono i suoi due compagni di scuola Peter Maldonado e Sam Ecklund.

Per dimostrare la sua innocenza, o quanto meno accertarsi della sua colpevolezza, Peter decide di dar frutto ad anni spesi appresso a infruttuosi cortometraggi per girare un documentario su Dylan e il caso 27 peni: American Vandal. Sono intenzionati a sviscerare il caso a ogni costo, percorrendo ogni pista, pestando i piedi ai piani alti. Nonostante i rischi che il giornalismo d’inchiesta comporta – quali sospensione dalle lezioni e censura – Sam e Peter scavano sempre più a fondo fino a giungere alla verità. Il documentario, postato su vimeo, raggiunge una popolarità straordinaria: dopo “chi ha ucciso Laura Palmer?”, “chi ha disegnato i c*zzi?” diventa un fenomeno virale.

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Ed è da questo fenomeno virale che nasce la seconda stagione: a produrre il secondo documentario sarà proprio Netflix, che acquisterà i diritti anche di quello precedente.

Così Peter e Sam, giunti ormai sotto le luci della ribalta, si ritrovano sommersi da e-mail di vario genere alla ricerca di un papabile caso su cui indagare. Tra numerosi altri disegnatori di peni ad aver attratto la loro attenzione è un caso di cyberbullismo su larga scala all’istituto privato St. Bernardine. Cyberbullismo che coinvolge atti di vandalismo con principale ingrediente le feci. Questa volta l’agnello sacrificale sembra essere Kevin McClain, l’outsider della scuola.

Entrambe le stagioni hanno (quasi) la stessa struttura: abbiamo un atto vandalico su larga scala, un capro espiatorio, segreti, bugie e soprattutto fin troppi di colpi di scena. Lo show è nato per il binge watching: è impossibile staccarsi dallo schermo. Le informazioni si accumulano, il mistero si infittisce e lo spettatore rimane attonito davanti a queste vicende che, da un lato, dovrebbero far ridere, ma che in realtà sono cariche di significato. Così si rimane incollati alla sedia, dopo aver dato buca a tutti e aver represso tutti i bisogni fisiologici delle ultime 7 ore.

American Vandal

American Vandal è una calamita, uno show che attrae e non permette distrazioni. È una serie originale e irriverente, ricca di spunti di riflessione nonostante si tratti di soli sedici episodi. Mette in luce le problematiche sociali e relazionali dell’adolescenza, e lo fa in maniera onesta e senza mezzi termini. Analizza i pregiudizi e le cause di questi; il concetto di immagine e di personalità, soprattutto in correlazione con l’argomento clou del terzo millennio: i Social Network.

Questi aspetti vengono tutti passati al vetriolo, American Vandal non fa sconti a nessuno: studenti, insegnanti, genitori, autorità varie ed eventuali.

Anche se spesso dietro la telecamera, sono però Peter e Sam le vere anime della serie. La loro amicizia – a tratti conflittuale – riesce a rendere più reale quella che potrebbe essere solo una sterile parodia. Sono le loro riflessioni a contestualizzare e sviscerare le dinamiche più inconsce e profonde in maniera totalmente analitica. Sono due personaggi complementari e fortemente caratterizzati, questo – oltre a tanti minimi dettagli – fa capire la cura che c’è dietro questo Show, che sicuramente merita più rilievo.

Fatemi e fatevi un favore: stasera cancellate tutti i vostri programmi, chiudetevi in cameretta e datevi a del sano binge watching con American Vandal.

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